Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

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Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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dono

      (tra sé tacito parla Sacripante):

      ma io per imitarlo già non sono,

      che lasci tanto ben che m'è concesso,

      e ch'a doler poi m'abbia di me stesso.

      58

      Corrò la fresca e matutina rosa,

      che, tardando, stagion perder potria.

      So ben ch'a donna non si può far cosa

      che più soave e più piacevol sia,

      ancor che se ne mostri disdegnosa,

      e talor mesta e flebil se ne stia:

      non starò per repulsa o finto sdegno,

      ch'io non adombri e incarni il mio disegno. —

      59

      Così dice egli; e mentre s'apparecchia

      al dolce assalto, un gran rumor che suona

      dal vicin bosco gl'intruona l'orecchia,

      sì che mal grado l'impresa abbandona:

      e si pon l'elmo (ch'avea usanza vecchia

      di portar sempre armata la persona),

      viene al destriero e gli ripon la briglia,

      rimonta in sella e la sua lancia piglia.

      60

      Ecco pel bosco un cavallier venire,

      il cui sembiante è d'uom gagliardo e fiero:

      candido come nieve è il suo vestire,

      un bianco pennoncello ha per cimiero.

      Re Sacripante, che non può patire

      che quel con l'importuno suo sentiero

      gli abbia interrotto il gran piacer ch'avea,

      con vista il guarda disdegnosa e rea.

      61

      Come è più appresso, lo sfida a battaglia;

      che crede ben fargli votar l'arcione.

      Quel che di lui non stimo già che vaglia

      un grano meno, e ne fa paragone,

      l'orgogliose minacce a mezzo taglia,

      sprona a un tempo, e la lancia in resta pone.

      Sacripante ritorna con tempesta,

      e corronsi a ferir testa per testa.

      62

      Non si vanno i leoni o i tori in salto

      a dar di petto, ad accozzar sì crudi,

      sì come i duo guerrieri al fiero assalto,

      che parimente si passar li scudi.

      Fe' lo scontro tremar dal basso all'alto

      l'erbose valli insino ai poggi ignudi;

      e ben giovò che fur buoni e perfetti

      gli osberghi sì, che lor salvaro i petti.

      63

      Già non fero i cavalli un correr torto,

      anzi cozzaro a guisa di montoni:

      quel del guerrier pagan morì di corto,

      ch'era vivendo in numero de' buoni:

      quell'altro cadde ancor, ma fu risorto

      tosto ch'al fianco si sentì gli sproni.

      Quel del re saracin restò disteso

      adosso al suo signor con tutto il peso.

      64

      L'incognito campion che restò ritto,

      e vide l'altro col cavallo in terra,

      stimando avere assai di quel conflitto,

      non si curò di rinovar la guerra;

      ma dove per la selva è il camin dritto,

      correndo a tutta briglia si disserra;

      e prima che di briga esca il pagano,

      un miglio o poco meno è già lontano.

      65

      Qual istordito e stupido aratore,

      poi ch'è passato il fulmine, si leva

      di là dove l'altissimo fragore

      appresso ai morti buoi steso l'aveva;

      che mira senza fronde e senza onore

      il pin che di lontan veder soleva:

      tal si levò il pagano a piè rimaso,

      Angelica presente al duro caso.

      66

      Sospira e geme, non perché l'annoi

      che piede o braccio s'abbi rotto o mosso,

      ma per vergogna sola, onde a' dì suoi

      né pria né dopo il viso ebbe sì rosso:

      e più, ch'oltre il cader, sua donna poi

      fu che gli tolse il gran peso d'adosso.

      Muto restava, mi cred'io, se quella

      non gli rendea la voce e la favella.

      67

      — Deh! (diss'ella) signor, non vi rincresca!

      che del cader non è la colpa vostra,

      ma del cavallo, a cui riposo ed esca

      meglio si convenia che nuova giostra.

      Né perciò quel guerrier sua gloria accresca

      che d'esser stato il perditor dimostra:

      così, per quel ch'io me ne sappia, stimo,

      quando a lasciare il campo è stato primo. —

      68

      Mentre costei conforta il Saracino,

      ecco col corno e con la tasca al fianco,

      galoppando venir sopra un ronzino

      un messagger che parea afflitto e stanco;

      che come a Sacripante fu vicino,

      gli domandò se con un scudo bianco

      e con un bianco pennoncello in testa

      vide un guerrier passar per la foresta.

      69

      Rispose Sacripante: — Come vedi,

      m'ha qui abbattuto, e se ne parte or ora;

      e perch'io sappia chi m'ha messo a piedi,

      fa che per nome io lo conosca ancora. —

      Ed egli a lui: — Di quel che tu mi chiedi

      io ti satisfarò senza dimora:

      tu dei saper che ti levò di sella

      l'alto valor d'una gentil donzella.

      70

      Ella è gagliarda ed è più bella molto;

      né il suo famoso nome anco t'ascondo:

      fu Bradamante quella che t'ha tolto

      quanto onor mai tu guadagnasti al mondo. —

      Poi ch'ebbe così detto, a freno sciolto

      il Saracin lasciò poco giocondo,

      che non sa che si dica o che si faccia,

      tutto avvampato di vergogna in faccia.

      71


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