Impressioni d'America. Giacosa Giuseppe
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Giuseppe Giacosa
Impressioni d'America
Pubblicato da Good Press, 2020
EAN 4064066070144
Indice
CAPITOLO I. A bordo della Bretagne.
CAPITOLO III. L'intemperanza degli americani.
CAPITOLO IV. I Bars e l'alcoolismo.
CAPITOLO V. Un'intervista. — Divagazioni. — Altre interviste.
CAPITOLO VI. Da New-York al Niagara. (Appunti di viaggio) .
CAPITOLO VII. Gli Italiani negli Stati Uniti.
CAPITOLO VIII. Chicago e la sua colonia italiana.
CAPITOLO IX. Due italiani in America.
CAPITOLO I.
A bordo della Bretagne.
Alle dieci della mattina il grande bastimento si stacca dal Dock e move lentamente rasentando i muraglioni bianchi del porto: scricchiola quasi compresso nella stretta di un ponte girante e procede cauteloso nei bacini senza dar fumo nè fischi, la macchina inerte, tirato a rimorchio da un vaporetto a prua, tenuto a segno da un altro vaporetto a poppa. Nell'ultimo bacino largo e fondo, i rimorchiatori ristanno e si sciolgono: una scossa, un fischio rauco, un colpo di cannone, qualche gridolino di donne impaurite ed eccoci al mare. È una giornata chiara e variabile d'Ottobre; è già piovuto due volte da nuvole fuggenti veloci verso la terra, ma è vento alto che non tocca l'acqua. Il mare lucente, ondeggia largo senza rompersi mai. I passeggieri dato una sguardo di saluto alla malinconica collina dell'Havre, ed un'occhiata interrogatrice al cielo, scendono a prendere possesso delle cabine e ad allogarvi le robe, e per un'ora è un trillare incessante e fastidioso di campanelli elettrici e un correre di su e di giù per le corsie, di camerieri e cameriere chiamati a collocare e fissare le valigie, a dar ragione d'ogni minuto arredo della cabina od anche solamente a mostrarsi, a dire il proprio nome, a pronosticare il tempo e la durata del viaggio. Poi comincia la sfilata all'ufficio del commissario ed a quello del maggiordomo. Al commissario, molti passeggieri consegnano speciali e inutili lettere di raccomandazione; il maggiordomo assegna i posti a tavola e riceve le iscrizioni per il primo od il secondo servizio. La sala da pranzo non ci capirebbe tutti ad un tempo (siamo trecento e nove), si danno dunque due servizi della colazione e due del desinare. La gente navigata preferisce il secondo che è quello del comandante.
La prima campana della colazione ci richiama tutti sul ponte soleggiato. La terra dell'Havre è già bassa ed annebbiata e già vediamo la punta di Cherbourg. I passeggieri si squadrano a vicenda ed argomentano l'uno dell'altro la condizione ed il carattere. Rivedo rasserenati e rabboniti dei visi che avevo notato per crucciosi la sera innanzi a Parigi sul partire del treno transatlantico. Ma chi cerca posto in un treno notturno non mostra la sua faccia abituale: la fretta, l'inquietudine, la diffidenza, l'avversione al prossimo, intorbidano gli sguardi e contraggono i lineamenti.
Quasi tutti i passeggieri sono muniti di un seggiolone pieghevole che si affrettano di collocare al riparo dal vento e dal fumo. A chi non lo possiede di suo ne è offerto uno a nolo, per cinque lire, dalla società dei camerieri. Quei seggioloni e l'innumerevole quantità di scialli, di pelliccie, di soprabiti, di libri e d'altri minuti oggetti dell'uso domestico, sparsi per ogni dove, danno all'alto ponte il piacevole aspetto di una terrazza aperta sulle immensità oceaniche.
Innanzi di partire, quando volevo tranquillare quella sorda inquietudine che l'idea di un lungo viaggio sveglia in chi non ne ha fatto mai, mi dicevo che da Milano a New-York sono in sostanza, venti ore di ferrovia, fino all'Havre, ed il soggiorno di una breve settimana in un fastoso albergo galleggiante. Col tempo bello, la vita a bordo, somiglia infatti a quella dei grandi alberghi cosmopoliti di Nizza e di San Remo, se non che vi è più ghiotta e copiosa la tavola, più pronto e puntuale il servizio, più diversa la gente, più rapida la diffusione della cronaca giornaliera. L'attesa della posta è, a bordo, sostituita da quella dell'accertata ora solare e del punto. Quando il muggito della sirena annunzia ai naviganti che il sole è per essi al sommo dell'arco, tutti correggono l'orologio e subito i buoni calcolatori dalla differenza fra l'ora di ieri e quella d'oggi, argomentano la strada fatta, e mettono scommesse che son poi definite sul ripiano della scala, dove il capitano segna con spilli e banderuole infitti nella carta geografica il punto preciso raggiunto sul mezzodì e registra più sotto in cifre il cammino percorso e la distanza che ancora ci separa dall'America. Il primo giorno le 3200 miglia che ancora ci rimanevano a fare, mi parvero un'inezia, ma la cifra andò di poi sempre ingrossando in me, via via che diminuiva sulla carta.
Verso le due pomeridiane, che è l'ora del lunch, poichè in mare si mangia ogni tre ore, il ponte di sopra è festosissimo. Una folla di gente sfaccendata, va, viene, guarda, discorre, legge, si lascia andare al dolce movimento dell'onde e carezzare dalla brezza salata. Passano lontano isole e promontori: sulla bruna scogliera dell'Inghilterra s'ergono campanili raggianti al sole; le coste sembrano avvicinarsi curiose, o retrocedere spaurite, avvivate dalla nostra velocità. Il tempo è bello, ma un inglese osserva che non incontrammo ancora il bastimento partito l'altro sabato da New-York, e che già dovrebbe essere arrivato all'Havre. Qua e là qualche signora sdraiata sul seggiolone ed impellicciata fino al mento tradisce al viso pallido ed agli occhi chiusi le prime svogliatezze del mal di mare. Ma l'immobilità e l'aria viva la ristorano e a poco a poco gli occhi si riaprono e si incarnano le gote. Fra i passeggieri prevalgono, in numero, gli americani reduci alla patria poichè corsero l'Europa la primavera e l'estate. Sono intere famiglie numerose, pompose e rumorose, i giovani e specie le ragazze, socievoli oltre il nostro costume, i fanciulli adorabili per forza briosa e sicura, i padri e le madri imperterriti usurpatori ed accaniti difensori dei migliori posti, incuranti della figliuolanza, finchè questa si allontana o si apparta in compagnie diverse ed improvvisate, festosi e verbosi per rapide e fitte domande ad ogni suo ritorno nella cerchia delle seggiole, dominio famigliare. Giovani e vecchi, gli uomini pipano di continuo un tabacco che sa di camomilla, e le donne croccano o succhiano confetti.
Mi trattengo a lungo con un giovane prete americano, vestito in abito secolare s'intende, giudizioso e colto conoscitore dell'Italia e del nostro movimento letterario. Da sei anni professore in Roma al collegio De propaganda fide, egli parla spedito e corretto l'italiano con schietto accento romano. Sa a memoria tutte le odi barbare del Carducci, mi recita con foga giovanile alcuni squarci delle Fonti del Clitummo:
«Tutto ora tace, nel sereno gorgo,»
esalta il Fogazzaro, ammira il Bonghi, stima che Michetti sia il maggior pittore