Una Maestra D'Asilo Per Il Re. Shanae Johnson

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Una Maestra D'Asilo Per Il Re - Shanae Johnson


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della sua torta, chiudendo gli occhi mentre estraeva lentamente i rebbi della forchetta dalla bocca.

      Esme era ipnotizzata. Oh, essere uno di quei quattro denti metallici.

      «Però sei in errore sulle regole monarchiche» le disse.

      «Chiedo scusa?»

      «Parlo della monarchia moderna. Gestire un regno è molto simile a gestire un’azienda quotata nel Fortune 500, solo più difficile.»

      «Come mai?»

      «Nei tempi antichi e medievali, i re erano considerati i rappresentanti di Dio in terra. Possedevano i terreni e spesso le persone che vivevano su di essi. Nel corso del tempo, il loro potere venne limitato dai nobili feudali, perché i monarchi non potevano gestire da soli quell’immensa quantità di terra e risorse. Più tardi, fecero affidamento sull’assistenza della Chiesa. Anche se, il più delle volte, erano messi alle strette dal papato. I re giurarono di mantenere la pace, amministrare la giustizia, sostenere le leggi e proteggere i poveri che risiedevano nei loro possedimenti. La democrazia è cresciuta man mano che le persone diventavano autonome, ma l’influenza del re è rimasta forte in molti paesi.»

      Fu una deliziosa lezione di storia. Ma lei non riusciva a capirne il senso. «Allora cosa fa in realtà il re?»

      «In quest’epoca, i re e le regine delle nazioni delegano il loro potere in modo che la polizia mantenga la pace, i tribunali dispensino la giustizia e i governi si occupino di legiferare. E, in alcune monarchie, sono semplicemente delle figure di rappresentanza.»

      «A Cordoba?»

      «A Cordoba mi piace credere che il re guidi il regno. Ma non lo fa da solo. C’è un parlamento.»

      «Come in Inghilterra? Quindi il re non si limita a farsi scattare delle foto e andare in vacanza?»

      «Si procura anche affari remunerativi per le industrie del Paese. Fa accordi in base alle loro risorse. È il primo responsabile dell’economia, anche con i legislatori al timone. Cordoba ha una lunga storia di regnanti che giocano un ruolo attivo. Questa tradizione continua anche oggi.»

      «Sembra un grande uomo» disse Esme. «Non proprio roba da fiabe.»

      «L’aristocrazia non rispecchia granché ciò che viene scritto nei libri di fiabe. Quelli di sangue reale di solito sposano altri di sangue reale. Si sente parlare solo di eccezioni come i Windsor, e sono spesso sui tabloid, non sui libri per bambini.»

      «Quindi non credi nel romanticismo o nelle favole?»

      «Sono due cose diverse. Le favole sono storie inventate.»

      «E il romanticismo?»

      Leo guardò in lontananza. «Il romanticismo è reale. Ma non tutti possono permetterselo.»

      «Non riesco a immaginare di sposarmi per nient’altro che per amore. Che senso avrebbe?»

      «Sicurezza finanziaria. Protezione. Dovere. Ecco perché la nobiltà si sposava in passato, così come nel presente. Molte persone comuni si sposano ancora per convenienza. L’amore romantico ha solo poche centinaia di anni.»

      «Se ne scrive da millenni.»

      «Ed ecco le favole.»

      «Beh, allora è una fortuna che noi due siamo persone comuni e possiamo scegliere di sposarci per amore e non per dovere.»

      «Sì. Siamo proprio fortunati.»

      Una gola si schiarì alle loro spalle. Esme alzò lo sguardo per vedere il disapprovante Giles che la fissava ancora una volta.

      «Le mie scuse, Esme, ma il dovere mi chiama.» C’era vero rammarico nella voce di Leo. «Devo tornare al lavoro. È stato bello conoscerti.»

      Allungò la mano. Lei gli porse la sua. Aveva qualche briciola di torta sulla punta delle dita. Tentò di tirare indietro la mano nel tentativo di pulirla, ma Leo gliela fermò. Le girò il palmo e lo baciò.

      Le farfalle esplosero nel ventre di Esme. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma aveva la lingua incollata al palato. E nel momento in cui il cervello riprese a funzionare, lui se n’era andato.

      Capitolo Cinque

      Leo raccolse con la punta delle dita le ultime briciole di quel dolce che gli ricordava casa e se le leccò. La crosta dorata lo aveva trasportato sulle spiagge sabbiose dell’isola appena a est di Barcellona. Le note dolci e fruttate gli avevano ricordato la regione vinicola francese a nord di Cordoba. E la miscela di spezie aveva dato un calcio ai suoi antenati moreschi che venivano dal sud. La pasticcera aveva catturato tutta la storia e la cultura di Cordoba in un boccone perfetto.

      «Puoi ordinarne un po’ per la cena di stasera?» chiese Leo a Giles.

      Il suo assistente tirò fuori il cellulare e fece l’ordine mentre Leo si leccava l’ultimo pezzetto dalla punta delle dita. Era maleducato succhiarsi le dita, certo, ma nessuno lo stava guardando. Giles era occupato al telefono con la pasticciera. L’autista aveva gli occhi sulla strada. E la mente di Leo era... altrove.

      Poco più avanti, vide il furgone della lavanderia con il disegno del drago verde parcheggiato davanti a un negozio. Se fosse stato in movimento, Leo avrebbe potuto essere tentato di lanciarsi nella mischia ancora una volta. Ma la sua damigella era sistemata al sicuro su uno sgabello nel negozio di torte.

      Leo si chiese se, accostando l’orecchio al telefono di Giles, fosse stato possibile sentire la risata tintinnante di quella donna. Lei aveva trattenuto il fiato mentre si chinava in avanti e lo ascoltava recitare i noiosi dettagli del lavoro di un re, un lavoro che lui aveva finto non fosse il suo. Eppure, ne era rimasta comunque affascinata.

      Esme lo aveva chiamato cavaliere, un eroe. Da vero re, quelle definizioni non gli appartenevano. Era solo un nobile in giacca e cravatta. Un uomo d’affari. E il titolo lo poneva come una figura di spicco con molte responsabilità. Una di quelle responsabilità era trovare una nuova moglie.

      Pensò al sorriso di Esme. A quanto spontanee fossero state le battute tra di loro. Alla sua immaginazione selvaggia. Al suo accento americano e al bell’aspetto da ragazza della porta accanto. Era così americana che di più non poteva essere, e senza una goccia di sangue blu che le scorresse nelle vene.

      Era tutta sbagliata per lui, ovviamente. Di certo non era la candidata ideale da far sedere accanto a lui sul trono. Ma una deliziosa compagna seduta accanto a lui su uno sgabello.

      Gli era piaciuta la loro conversazione. Gli era piaciuta la fuga che lei gli aveva offerto, anche se solo per un momento. Davanti a una fetta di torta, era stato un uomo normale che chiacchierava del più e del meno con una bella ragazza. Lui non aveva mai fatto niente di banale in vita sua. Ogni sua mossa, pensiero e decisione erano una questione di Stato.

      Il tempo passato con Esme era stato come una fuga in un libro di favole. Ora era di nuovo al lavoro mentre l’auto si fermava al quartier generale delle Nazioni Unite.

      L’alta struttura in vetro e cemento era simile a qualsiasi altro edificio per uffici in città. Ciò che la distingueva era la schiera di bandiere che sventolavano dai pennoni. Ce n’erano decine. Centonovantatre, per l’esattezza. Leo individuò facilmente la bandiera cordovana con i suoi fedeli colori arancione, rosso e blu.

      «Ha i suoi appunti?» chiese Giles.

      Certo che li aveva. Era sempre preparato. Ma Giles doveva fare quella domanda, era il suo lavoro.

      Leo sapeva che altri nella posizione di Giles avevano vita dura con i nobili che servivano. Alex non riusciva a tenersi un cameriere o un assistente. Uomini e donne si arrendevano nel giro di poche settimane cercando di domare la sua natura ribelle. La maggior parte delle volte, non riuscivano a trovare Alex perché era salito su un jet o su uno yacht ed era in qualche angolo sperduto del globo a riempirsi la pancia di piatti esotici. Leo era il perfetto datore di lavoro, Giles non avrebbe dovuto davvero lamentarsi.

      «Che cosa è successo al suo


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