La Bugia Perfetta. Блейк Пирс

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La Bugia Perfetta - Блейк Пирс


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capitano che si era avvicinato alla portiera del passeggero.

      “Capitano Decker,” disse con tono formale, porgendogli un portablocco con un foglio attaccato. “Il servizio di sicurezza federale statunitense non è più richiesto. Riconsegno qui ufficialmente la custodia di Jessie Hunt al Dipartimento di Polizia di Los Angeles.”

      “Custodia?” ripeté Jessie risentita. Murph la ignorò e continuò.

      “Qualsiasi altra misura di sicurezza è ora obbligo del vostro dipartimento. La firma su questo documento la sancirà come tale.”

      Decker prese il portablocco e firmò il foglio senza neanche leggerlo. Poi lo restituì a guardò Jessie.

      “Buone notizie, Hunt,” disse con tono burbero, senza il minimo accenno dell’entusiasmo che solitamente accompagnava le buone notizie. “I detective che stanno tentando di rintracciare Bolton Crutchfield hanno trovato il video di una persona che corrisponde alla sua descrizione e che ha varcato ieri il confine con il Messico. Pare che lei si sia finalmente liberata anche del secondo inseguitore.”

      “È stato confermato anche il riconoscimento facciale?” chiese Jessie scettica, rinunciando ora alla vocina farsesca di prima.

      “No,” ammise il capitano. “Ha tenuto sempre la testa bassa mentre attraversava il ponte a piedi. Ma corrisponde quasi perfettamente alla descrizione fisica, e il fatto che sia stato attento a non farsi riprendere in viso suggerisce che sapesse quello che stava facendo.”

      “Questa è davvero una buona notizia,” disse Jessie, decidendo di tenere per sé qualsiasi ulteriore commento.

      Era d’accordo con il fatto che probabilmente non si trovava più tra le mire di Crutchfield, ma non per un qualche video approssimativo che le pareva fin troppo comodo. Ovviamente non le sembrava di poter raccontare a Decker il vero motivo della sua tranquillità, vale a dire la consapevolezza che il serial killer avesse un debole per lei.

      “Pronta a tornare al lavoro?” le chiese, soddisfatto di aver sollevato ogni preoccupazione lei potesse ancora nutrire.

      “Solo un minuto, capitano,” rispose Jessie. “Devo solo scambiare una rapida parola con gli agenti federali.”

      “Faccia veloce,” disse Decker mentre si allontanava. “Ha ad aspettarla una lunga giornata da passare dietro alla scrivania.”

      “Sì, signore,” gli rispose, poi si chinò verso il finestrino dalla parte dell’autista.

      “Penso che mi mancherai più di tutti, Spaventapasseri,” disse a Toomey, che era l’agente principale assegnatole negli ultimi due mesi. L’uomo annuì in risposta. A quanto pareva non c’era bisogno di parole. Poi Jessie andò dall’altra parte dell’auto, dal lato del passeggero e guardò Murphy con volto colpevole.

      “A parte tutti gli scherzi, volevo solo dirti quanto abbia apprezzato tutto quello che hai fatto per me. Ti sei messo in prima linea per difendermi e non me ne dimenticherò mai.”

      Aveva ancora le stampelle, anche se i gessi alle gambe erano stati tolti la settimana precedente, sostituiti ora da stivali morbidi. E anche la fascia attorno al braccio era stata recentemente eliminata.

      Tutti quei danni erano stati causati da Xander Thurman quando l’aveva investito con l’auto durante la sua imboscata a lui e Jessie in un vicolo. Murph ne era uscito con la frattura di entrambe le gambe e della clavicola. Quindi era ufficialmente in congedo dal lavoro per altri quattro mesi. Si era presentato questa mattina solo per salutarla.

      “Non iniziare a fare la sentimentale con me, adesso,” protestò. “Abbiamo questa perfetta ‘alleanza’ fredda e immusonita. Rischi di rovinare tutto.”

      “Come sta la famiglia di Emerson?” gli chiese lei sottovoce.

      Troy Emerson era l’agente federale a cui suo padre aveva sparato alla testa in quella terribile serata. Jessie non aveva neanche saputo il suo nome di battesimo prima che morisse, e neanche sapeva che si era sposato recentemente e che aveva un figlio di quattro mesi. Non aveva potuto andare al funerale a causa delle sue ferite, ma aveva successivamente contattato la vedova. Non aveva ricevuto risposta.

      “Kelly si sta riprendendo,” le assicurò Murph. “Ha ricevuto il tuo messaggio. So che vuole risponderti, ma ha solo bisogno di un po’ di tempo ancora.”

      “Capisco. A essere onesta, capirei anche se non volesse mai rivolgermi la parola.”

      “Ehi, non prenderti tutta la colpa,” le rispose lui quasi arrabbiato. “Non dipende da te se tuo padre era un pazzo. E Troy conosceva i rischi quando ha preso questo lavoro. Li conoscevamo tutti. Puoi sentirti vicina a loro. Ma non sentirti in colpa.”

      Jessie annuì, incapace di pensare a una risposta adatta.

      “Ti darei un abbraccio,” le disse Murph, “ma salterei per il male, e non per motivi emotivi. Quindi facciamo finta che l’abbia fatto, ok?”

      “Tutto quello che vuole, agente Murphy,” gli rispose.

      “E adesso non metterti a fare la formale con me,” insistette lui mentre si rimetteva comodo, appoggiato allo schienale del sedile passeggeri. “Puoi ancora chiamarmi Murph. Non è che io smetta di chiamarti con il tuo soprannome.”

      “Che sarebbe?” gli chiese Jessie.

      “La mia rottura di scatole.”

      Jessie non poté fare a meno di ridere.

      “Arrivederci, Murph,” gli disse. “Dai a Toomey un bacio da parte mia.”

      “Lo avrei fatto anche se non me l’avessi chiesto,” gridò, mentre Toomey schiacciava sull’acceleratore e i copertoni fischiavano contro il pavimento del garage.

      Jessie si girò e trovò Decker che la guardava impaziente.

      “Ha finito?” le chiese col suo modo brusco. “O dovrei forse mettermi comodo a guardare Le pagine della nostra vita, mentre voi elaborate ancora un po’ le vostre emozioni?”

      “È bello essere tornata, capitano,” disse lei sospirando.

      Il capitano si diresse verso l’ingresso e le fece cenno di seguirlo. Jessie ignorò i dolorini a gambe e schiena e fece una piccola corsa per raggiungerlo. L’aveva appena raggiunto, che lui subito si buttò a spiegare il piano che aveva per lei.

      “Allora, non si aspetti del lavoro sul campo per un po’ di tempo,” le disse burbero. “Non stavo scherzando quando parlavo di tenerla alla scrivania. È ancora arrugginita, e vedo che sta disperatamente tentando di non zoppicare da quella gamba, mentre cammina. Fino a che non sarò convinto che è tornata del tutto in forma, dovrà abituarsi alle luci fluorescenti della centrale.”

      “Non pensa che potrei tornare più rapidamente quella di prima se mi tuffassi a capofitto in qualche caso?” chiese Jessie, tentando di non apparire implorante. Doveva fare due passi per ciascuno di quelli del capitano per non restare indietro mentre percorrevano velocemente il corridoio.

      “Buffo, è proprio quello che ha detto anche il suo amico Hernandez quando è tornato la scorsa settimana. Ho messo anche lui alla scrivania. E indovini un po’? È ancora lì.”

      “Non sapevo che Hernandez fosse tornato,” disse Jessie.

      “Pensavo che foste amiconi,” rispose il capitano, mentre svoltavano l’angolo.

      Jessie lo guardò di sbieco, cercando di capire se il suo capo stesse alludendo a qualcosa. Ma sembrava essere sincero.

      “Siamo amici,” confermò lei. “Ma pensavo che con le ferite che ha subito e con il divorzio, volesse un po’ più di tempo per sé.”

      “Davvero?” disse Decker. “Avrebbe potuto quasi convincermi.”

      Jessie non aveva idea di come interpretare quel commento, ma non ebbe il tempo di fare domande perché arrivarono al centro della stazione, una grande stanza piena di un marasma di scrivanie tutte messe insieme e popolate


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