La Bugia Perfetta. Блейк Пирс

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La Bugia Perfetta - Блейк Пирс


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      “Dovrei dire grazie, penso.”

      “Beh, forse dovremmo parlarne un po’ di più,” rispose lei.

      “Penso che sarebbe la cosa matura da fare,” confermò lui. “Intendi dopo che abbiamo dato un’occhiata al cadavere su di sopra, giusto?”

      “Sì, Ryan. Prima il cadavere. Poi le conversazioni strane.”

      CAPITOLO QUATTRO

      Fu come se nella testa di Jessie si fosse accesa la luce.

      Nel momento in cui chiuse la portiera dell’auto e guardò l’edificio che ora conteneva il cadavere di una donna, la sua mente si schiarì. Tutti i pensieri che ruotavano attorno al suo padre assassino, alla sua sorellastra orfana e alle proprie mezze probabilità sentimentali svanirono.

      Lei e Ryan erano sul marciapiede vicino all’angolo tra la Sunset e la Vine e guardavano la zona. Questo era il cuore di Hollywood e Jessie era stata qui un sacco di volte. Ma era sempre successo per una cena, un concerto, o un film oppure uno spettacolo dal vivo. Non si era mai veramente concentrata su questo posto pensandolo come un luogo dove c’era gente normale che lavorava, viveva e a quanto pareva moriva.

      Per la prima volta notò che tra le torri di uffici, i ristoranti e i teatri, molti degli edifici erano come quelli del suo quartiere, con attività commerciali al piano terra e appartamenti ai piani superiori.

      In fondo alla strada vide un condominio di dieci piani con un Trader Joe’s al piano terra. Dalla parte opposta della strada c’era una palestra Solstice alla base di un edificio che doveva avere venti piani. Si chiese se i residenti avessero degli sconti sugli abbonamenti, ma ne dubitava. Quel posto era incredibilmente costoso.

      Sembrava che il condominio in cui risiedeva la vittima fosse un po’ meno di lusso. Aveva diversi ristoranti e un centro yoga al primo piano. Ma c’erano anche una farmacia Walgreens e un Bed, Bath & Beyond. Mentre percorrevano il marciapiede verso l’ingresso principale, dovettero allargarsi per lasciare spazio a una fila di barboni accampati lungo la parete dell’edificio. Molti di loro non erano ancora svegli, ma c’era una donna anziana seduta a gambe incrociate che borbottava tra sé e sé.

      Passarono oltre senza fare commenti e arrivarono all’ingresso dell’edificio. Confronto al condominio dove abitava ora Jessie, la sicurezza qui era uno scherzo. C’era un ingresso a bussola che richiedeva una carta d’accesso e un’altra chiave era necessaria per chiamare l’ascensore. Ma quando lei e Ryan si furono avvicinati all’entrata, un residente tenne la porta aperta per loro e attivò il sensore dell’ascensore senza chiedere loro niente. Jessie notò delle videocamere fisse nell’atrio e nell’ascensore, ma sembravano di fattura economica. Ryan premette il pulsante per l’ottavo piano e nel giro di pochi secondi si trovarono a destinazione, senza aver incontrato la minima difficoltà.

      “È stato facile,” disse Ryan, mentre percorrevano il corridoio esterno in direzione del nastro messo dalla polizia, dove c’erano anche diversi agenti all’opera.

      “Fin troppo facile, dire,” commentò Jessie. “Mi rendo conto di essere una matta quando si tratta di sicurezza personale, ma questo posto è davvero patetico, soprattutto considerato il circondario.”

      “È molto più sicuro di quanto fosse vent’anni fa,” le ricordò Ryan.

      “Vero. Ma solo perché non hai spacciatori di droga e prostitute in bella vista a ogni angolo non significa che adesso sia Disneyland.”

      Ryan non rispose. Nel frattempo avevano raggiunto l’appartamento della vittima. Lui mostrò il suo cartellino identificativo e lei la sua carta d’identità da profiler del Dipartimento di Polizia di Los Angeles.

      “I detective della divisione di Hollywood sono già venuti e ripartiti,” disse perplesso un agente.

      “Stiamo solo facendo da appoggio alla Sezione Speciale Omicidi,” mentì Ryan. “È più che altro un favore da parte del nostro capitano. Ci farebbe piacere se mandasse qualcuno ad accompagnarci sulla scena del crimine, anche se dovranno ripetere le stesse cose.”

      “Nessun problema,” rispose l’uomo. “L’agente Wayne è il primo responsabile sulla scena. Vi chiamo lui.”

      Mentre l’uomo comunicava tramite radio con l’altro agente, Jessie si guardò attorno. La porta d’ingresso era aperta ora, come anche la finestra accanto. Si chiese se anche prima si fossero trovate in quella posizione. Era difficile immaginare che una donna single, nel cuore di Hollywood, lasciasse una finestra aperta se questa era accessibile dall’esterno. Era quasi un invito per eventuali problemi.

      L'appartamento della vittima si trovava dalla parte opposta degli ascensori, all’estremità di un corridoio a forma di ‘C’. Questo significava che l’appartamento era visibile a chiunque percorresse i corridoi. Jessie sarebbe stata curiosa di sapere se qualcun altro avesse mai perlustrato quegli appartamenti.

      In quel momento un agente uscì dall’appartamento per accoglierli. Era di corporatura pesante e con un’incipiente calvizie, con pochi capelli che stavano attaccati alla testa sudata. Sembrava essere sulla quarantina e aveva quella sorta di aspetto di chi ‘ha visto tutto’, che poteva essere un aiuto o un impedimento, a seconda dell’atteggiamento.

      “Agente John Wayne,” disse porgendo la mano a Ryan. “Ho già sentito tutte le possibili battute immaginabili al riguardo, quindi possiamo andare avanti. Cosa posso fare per voi?”

      “È veramente identico,” disse Ryan, non riuscendo a trattenersi.

      Jessie gli diede un pugno al braccio e poi riportò l’attenzione sul poliziotto, che sembrava non essere per niente turbato dal commento.

      “Scusi, agente Wayne,” disse Jessie. “Grazie per il suo tempo. Sappiamo che i detective di Hollywood hanno già lavorato sulla scena. Ma speravamo che potesse farci fare un giro comunque. Questo caso ha un sacco di dettagli che corrispondono a una cosa sulla quale stiamo lavorando e vorremmo vedere se c’è davvero una connessione.”

      “Certamente, venite dentro,” disse lui, rientrando nell’appartamento e porgendo loro dei copri-scarpe di plastica.

      Jessie e Ryan li infilarono, insieme ai guanti, ed entrarono.

      “Alcuni dei effetti della vittima sono già stati messi da parte come prova,” disse Wayne. “Ma possiamo darvi un elenco dettagliato.”

      “Niente che l’abbia particolarmente colpita?” chiese Ryan.

      “Un paio di cose,” rispose l’agente. “Non ci sono segni di scasso. C’erano dei soldi nella sua borsetta. Il telefono era sul comodino.”

      “Se non le spiace,” chiese Jessie, “prima che lei ci fornisca il resto dei dettagli, vorrei prendermi un momento per valutare il posto senza nessun preconcetto.”

      L’agente Wayne annuì. Jessie fece un lungo e profondo respiro, permise al suo corpo di rilassarsi e iniziò a tracciare un profilo della vittima. Il salotto era arredato in maniera essenziale con mobili che sembravano essere stati acquistati all’Ikea. C’erano pochi quadri alle pareti e nessuna foto in mostra. L’unico tocco personale era un certificato da personal trainer appeso alla parete.

      Jessie entrò nella cucina quasi intatta. Non c’erano piatti sporchi nel lavandino, né stoviglie pulite nello sgocciolatoio. Sul bancone era appoggiato un canovaccio pulito e ben piegato. Accanto ad esso si trovavano diversi contenitori di pastiglie, ciascuno contrassegnato da giorni della settimana, tutti disposti in estremo ordine. Jessie non li toccò, ma da quello che poteva dire, le pillole all’interno sembravano essere integratori e vitamine. Notò che quelle del lunedì e del martedì non erano state prese. Ora era mercoledì mattina.

      Si guardò attorno osservando il resto della cucina. Il rotolo della carta assorbente era quasi intero. Aprendo le diverse ante della credenza, trovò dozzine di lattine di fagioli e tacchino macinato, un sacco di barrette proteiche e contenitori di


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