La Fossa Di Oxana. Charley Brindley

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La Fossa Di Oxana - Charley Brindley


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Chase?”

      Prese il fiammifero ardente dall’imbambolato Alginon e spense la fiamma.

      Presente, New York

      Tosh

      Cinque mila miglia a nord dalla fossa di Oxana, tra aria fresca e ambientazioni Art Deco, Kennitosh Scarborough si trovava nel corridoio fuori dal suo ufficio e ammirava il nuovo nome della compagnia, Andalusia Publishing.

      Si trattava di una serie di uffici nell’Empire State Building, settant’un piani sopra la Fifth Avenue, a New York. Non era affatto un brutto posto per l’inizio, e tutto grazie al patrimonio di famiglia lasciatogli dal padre. Se non fosse stato per quello sarebbe stato bloccato in un logoro ufficio in un palazzo senza ascensore di Brooklyn.

      Tosh pensò per un momento a suo padre e si chiese quanto ancora sarebbe durata la sua eredità. Questa era già la sua seconda nuova compagnia, e servirà buona parte del capitale accumulato nel corso del secolo scorso per mandarle avanti entrambe. All’età di vent’otto anni, era l’ultimo di una lunga linea di imprenditori, industriali e finanzieri. Si preoccupava di cosa avrebbe lasciato alla generazione successiva, sempre che ce ne sia una.

      Toccò la targhetta di metallo spesso con il nome sulla porta e notò uno sfocato riflesso nell’ottone lucidato. Si girò e fece un passo indietro: si trovò davanti tre giovani donne, fianco a fianco.

      Tosh gettò lo sguardo verso l’ascensore mentre con la mano cercava di trovare la maniglia della porta, sperando di non averla chiusa chiave.

      Cosa c’è che non va in me? Non c’è niente da temere da tre donne… non è vero?

      “Scusatemi, signore.” Si fece da parte tentando di passare a fianco alla terzina.

      “Siamo qui per le posizioni nella gestione,” rispose la donna al centro impedendogli di scappare.

      Squadrò il suo completo di Armani e poi guardò di traverso il suo azzurro cappellino da baseball.

      Il cappellino aveva ricamato sopra ‘Echo Forests’, il nome dell’altra sua compagnia. Se lo tolse e si sistemò i capelli. Le belle donne lo facevano sentire sempre inferiore, e in quel istante ce n’erano addirittura tre.

      Tosh passò lo sguardo dall’una all’altra, nel tentativo di trovare delle caratteristiche in base a cui distinguerle. Avevano una ventina d’anni e tutte e tre erano della stessa altezza con i loro tacchi a spillo, poco più basse del suo smilzo metro e ottanta.

      Avevano i capelli castani ed indossavano identiche gonne beige con giacche color crema, poco costose, però su misura. Ognuna aveva delle tenui mèches e vivaci boccoli che cadevano sulle loro spalle.

      “Sono ancora aperte le candidature?” chiese la donna a destra.

      Aveva lo stesso tono impetuoso di quella al centro, solo meno imponente. Forse voleva mitigare la sfrontatezza di sua sorella con un tocco di precauzione. Prima che abbassasse gli occhi, Tosh notò che il loro colore castano-miele creava un bel contrasto con la carnagione chiara.

      La terza non aprì bocca, ma tutte parevano ansiose.

      “Sì. Le candidature sono ancora aperte, però la signora Applesauce, cioè la signora Applegate –” storpiò il nome della consulente di proposito, nel tentativo di creare una crepa nella loro apparenza glaciale. Ridacchiò, ma quando vide che nessuna delle tre accennò il minimo sorriso, arrossì e si aggiustò il colletto della camicia, che sembrava essere diventato troppo stretto. “Umm, la signora Applegate è già andata via. È lei che segue i colloqui. Potreste tornare in mattinata?” Fece un passo verso l’ascensore. “Devo proprio andare.”

      “No,” rispose la donna al centro. “Non è possibile.”

      “Dobbiamo essere assunte per domani alle 9,” aggiunse quella alla destra con tono più debole.

      Tosh si girò senza prestare alcuna attenzione alla terza, in fin dei conti non aveva ancora detto nulla. “Perché?” chiese alla donna al centro.

      Sfacciato, dirà qualcosa di sfacciato, però sembra lei quella al comando.

      Diede un’occhiata alle sue scarpe alte e aperte sul davanti, poi lasciò vagare gli occhi sul suo corpo, fermandosi di qua e di là.

      La gonna è troppo lunga però belle gambe. Peccato appartengano al corpo di una bulla.

      “Perché,” la terza parlò per la prima volta. La sua mano andò ai bottoni d’avorio della sua abbottonata giacca color caffelatte. “Se entro le cinque del pomeriggio di domani non abbiamo un lavoro retribuito, perderemo il nostro appartamento.” Guardò la sorella che stava al centro.

      Ah, una crepa nell’armatura della loro imperscrutabilità. Cos’è che abbiamo qui? Tre giovani donne che sono palesemente ambiziose e ardenti nella loro determinazione. E lei non è né maleducata né brusca. Diplomatica è un aggettivo migliore. Sì, signorina Diplomazia. I suoi riflessivi occhi incoraggiano la comunicazione, al contrario di quelli di quella in mezzo, che assorbe meccanicamente i dettagli visivi e calcola le sue mosse come un ufficiale militare.

      “È lei il manager?” gli occhi di signorina Impudenza incontrarono i suoi senza esitare.

      “Si potrebbe dire. Il mio nome è Kennitosh Scarborough.” Non era mai sicuro se dare o meno la mano alle donne,nonostante lo volesse. Quando tese loro la mano, nessuna delle tre offrì la propria, così finì con il far cadere la sua, mettendola nella tasca dei pantaloni.

      Perché non offrono i loro nomi?

      Si decise a chiederlo però non ne ebbe l’occasione.

      “La signora Applegate fa rapporto a lei?” signorina Prudenza chiese da destra.

      Come lo fanno?Com’è che riescono a continuare i pensieri l’una dell’altra? Hanno una mente condivisa in tre corpi diversi?

      “Sì, lo fa.”

      “Quindi potrebbe farci lei il colloquio.” Era una richiesta, non una domanda da parte di quella al centro.

      “Questo non è possibile.” Signorina Impudenza è troppo insistente.

      Di solito Tosh assecondava le persone maleducate, almeno finché non riusciva ad andarsene educatamente. È stata però una giornata lunga, ed era atteso a cena per le 18:30. Poi doveva tornare a lavorare sulla situazione nell’Amazzonia.

      Perché non me ne sono occupato prima di cominciare a lavorare sull’Andalusia Publishing? In fondo avrebbe potuto aspettare un altro mese finché l’Amazzonia –”

      “Non ci vorrà molto” insistette signorina Prudenza.

      Tosh mise a terra la sua ventiquattrore e diede un’occhiata all’ora, quasi le 18:00. Per sbaglio cliccò su un bottone sul lato dell’orologio. Partì il lettore. MP3 e dalla piccola cassa suonò Withces, Bitches and Brides di Carma Merit.

      Signorina Impudenza guardò il suo orologio e scrollò le spalle, signorina Prudenza piegò la testa corrugando la fronte, mentre signorina Diplomazia sorrise. Il suo sorriso aprì una finestra nella sua personalità.

      A signorina Impudenza probabilmente causerebbe dolore provare a sorridere.

      Premette il tasto per silenziare Carma, ma lei continuò a cantare lo stess0. “All’inizio era un strega, poi diventò una…” Spinse più forte il pulsante, signora Merit disse “stronza,” poi perse la voce.

      Arrossì. “Tasto delicato.”

      Gli occhi di signorina Diplomazia seguirono ogni sua mossa, guardando con apparente interesse ogni suo gesto e movimento, come se tentasse di trovare un briciolo di intelligenza in tutto quello che Tosh faceva.

      Che trio, così identiche eppure così diverse.

      “Supponiamo,


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