La Fossa Di Oxana. Charley Brindley

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La Fossa Di Oxana - Charley Brindley


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per la posizione libera?” Non aveva nessuno in lista, però pensò di sapere già la risposta a questa domanda.

      “Impossibile” rispose signorina Impudenza.

      “Abbiamo letto tutti gli annunci di lavoro nel giornale.” Lo sguardo di signorina Prudenza lo abbandonò non appena egli guardò nella sua direzione.

      “Inoltre,” intervenne signorina Diplomazia mentre si aggiustava la tracolla sulla spalla, “abbiamo chiamato tutte le agenzie chiedendo di compagnie che avessero tre posizioni disponibili nella gestione. Vogliamo lavorare nella stessa azienda così possiamo rimanere insieme.”

      Tosh notò la cucitura sul polsino della sua giacca.

      È una cucitura a mano? Mi chiedo se si sono fatte fare i vestiti su misura.

      Signorina Prudenza fece un cenno verso la targhetta sulla porta, incisa di recente. “Andalusia Publishing e altre due compagnie sono le uniche in tutta la città che facevano i colloqui per tre manager in grado di lavorare insieme.”

      “Quali sono le altre due compagnie?”

      Guardò le loro mani. Nessuna portava l’anello di fidanzamento. Non importava se fossero sposate o meno, era solo curioso di sapere se conducessero le loro vite in modo simile. Signorina Impudenza portava un semplice anello sull’indice. Aveva un’irregolare pietra color miele, piccolina però abbastanza profonda da catturare la luce.

      Perché si concede quest’unica espressione di individualità quando apparentemente si impegna così tanto a comunicare un’aura di arrogante identicità.

      Le altre due sorelle non portavano anelli. Avevano le orecchie bucate, ma niente orecchini.

      Tatuaggi?

      Tosh scommise che signorina Impudenza avesse una vedova nera tatuata sul fondoschiena.

      Ecco una scommessa che non salderò mai.

      Signorina Impudenza fissò di sbieco il suo sorriso, poi intercettò la sua domanda. “Abbiamo deciso di concedere a voi la prima occasione per averci.”

      Questo spianò il suo sorriso. Non poteva intenderlo nel modo in cui l’ha detto.

      Oppure sì?

      Guardandole dall’una all’altra, considerò la sua difficile situazione. Aveva un disperato bisogno di personale nella gestione. Dopo due settimane di colloqui, la signora Applegate non aveva ancora trovato nessuno di suo gradimento. Voleva i suoi manager a lavoro prima di assumere gli altri impiegati. Successivamente i supervisori avrebbero potuto aiutare nel riempire le altre posizioni: grafici, editori, operatori, e altri dipendenti. Forse potrebbe considerare il trio per i posti di lavoro da manager. Erano molto attraenti, il che era solo che un più per quanto lo riguardava. Di sicuro, signorina Impudenza poteva essere domata. Il suo intuito non aveva sempre ragione, ma questa volta… sì, aveva preso la sua decisione.

      “Avete dei piani per la serata, signorine?” chiese a signorina Prudenza. “Mi farebbe piacere avervi a cena – c-c-cioè intendo avervi come mie ospiti.”

      Signorina Impudenza lo guardò di traverso e aprì la bocca probabilmente per una risposta brusca, ma signorina Prudenza la interruppe. “Nessun piano e stiamo morendo di fame.” Signorina Diplomazia sorrise in accordo.

      Aha! Signorina Impudenza battuta due a uno.

      “Aspettate un secondo.”

      Mentre prendeva il telefono da una tasca interna della giacca, notò signorina Diplomazia guardargli le mani, poi il cellulare e infine gli occhi. Selezionò un numero dalla rubrica e spostò lo strumento al suo orecchio. Dopo un momento qualcuno gli rispose.

      “Ciao, Miriam.” Sorrise a signorina Diplomazia. “Sono già arrivati gli Henderson e i Melenkov?” Aspettò risposta. “Quando arriveranno offri loro dei martini e falli sentire a loro agio. Arriverò appena possibile. Ho avuto un imprevisto. Fai le solite scuse per il mio ritardo.” Dopo aver ascoltato Miriam dirgli che non sapeva che altre giustificazioni trovargli le rispose, “Sì, lo so che hanno già sentito tutte le mie scuse per essere in ritardo. Sei un tesoro, però questo lo sapevi già.” Tutte e tre le donne lo guardarono attentamente. “Andrà bene, ci vediamo più tardi.”

      Spense il telefono e lo mise via, prendendo la sua ventiquattrore.

      “Da questa parte, signorine.”

      Quando raggiunsero il parcheggio, Tosh premette un tasto sul suo mazzo di chiavi. Si accesero le luci nella sua lunga e lucida decappottabile blu notte. Schiacciò di nuovo unpulsante e la macchina cinguettò due volte mentre le due portiere si aprivano. Non c’era mai il pericolo di colpire un’altra macchina; possedeva tre spazi adiacenti.

      Andò dal latto del passeggero e piegò in avanti la sedia per permettere a due di loro di sedersi dietro. Dopo che si accomodarono si rese conto di aver perso traccia di chi fosse chi. La terza salì davanti dopo che egli fece tornare a suo posto il sedile. Non aveva la minima idea di come avessero deciso chi si sarebbe seduta davanti, ma non ebbero alcuna discussione o confusione a riguardo.

      Tosh mise la valigetta nel bagagliaio e si sedette al volante, poggiando il cappellino sulla console tra i sedili. Premette un bottone sul cruscotto, e il motore di otto cilindri prese vita con un rombo.Rombo che scemò poi in un potente ronzio.

      Collegò il cellulare al Bluetooth dell’auto elo appoggiò sulla console al centro.

      Quindi si immerse nel pesante traffico e girò a ovest verso il sole che stava tramontando, qualcuno da dietro chiese, “Può abbassare il tettuccio?”

      “Se riuscite a sopportareil vento.” Aggiustò lo specchietto retrovisore per capire chi avesse parlato.

      “Possiamo farlo,” le due da dietro risposero nello stesso momento. La sorella seduta davanti rimase in silenzio.

      “Va bene.” Si mise il capellino azzurro. “Ve la siete cercata voi.” Cliccò su un pulsante mentre si fermò al rosso del semaforo.

      Quando il tettuccio dell’auto si sollevò e si ripiegò nel portabagagli, la donna sedutagli di fianco chiese, “Che macchina è?”

      Guardò in modo stortol’incisione nell’acero del cruscotto di un uccello in volo e il morbido cuoio dei sedili, braccioli, e panelli delle portiere.

      Il semaforo divenne verde mentre il tettuccio si sistemò al suo posto e Tosh premette l’acceleratore.

      “Una Jaguar” rispose. Salve, signorina Impudenza.

      Il suo cellulare squillò e il numero apparì sul display della macchina. Era uno dei direttori del consiglio di amministrazione della Echo Forests. Lo indirizzò al suo telefono di casa, dove Miriam avrebbe risposto.

      La signorina Impudenza lo fissò poi si girò ad osservare il traffico.

      Dopo un paio di minuti si fermò davanti La Fontaine, al limite del distretto finanziario di New York. Dopo che scesero sul marciapiede, Tosh buttò il suo capellino sul sedile del passeggero e un parcheggiatore portò via l’auto.

      Decorato nello stile di uno Château francese, il ristorante serviva uomini e donne facoltosi che conducevano i loro affari davanti a cibo eccellente, vino costoso e servizio raffinato. Delicate sfumature di ambra e giada risplendevano attraverso i paralumi di Tiffany. Le morbide note della Sonata per pianoforte n. 14 di Beethoven si fondevano alla perfezione con la soffice luce e le silenziose conversazioni.

      Il maître avvistò Tosh alla porta e fece un cenno con la mano a lui e alle sue ospiti oltre la lunga linea di clienti che stava aspettando un tavolo.

      Tosh seguì le tre donne e vide come la gente osservava il trio. Apparivano seccati dalle quattro persone che superavano la fila, ma non riuscivano comunque a staccare gli occhi dalle tre donne identiche.

      Il maître li condusse intorno ad una fontana scolpita in travertino al centro del salone principale. L’acqua scorreva sulle superfici


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