Olanda. Edmondo De Amicis
Читать онлайн книгу.che i liquori olandesi sono famosi nel mondo, e che è famosissimo per tutti il schiedam, estratto di ginepro, così chiamato dalla piccola città di Schiedam, distante poche miglia da Rotterdam, nella quale si trovano più di duecento fabbriche; e per dare un’idea del lavoro che vi si fa, basta dire che colla feccia della materia distillata, si nutriscono anno per anno trentamila bestie suine. Questo schiedam famoso, la prima volta che si assaggia, fa giurare e spergiurare che non se ne beverà più una goccia se si campasse cent’anni; ma chi ne ha bevuto, come dice il proverbio francese, ne beverà; e si comincia a provarlo con un mucchio di zucchero; e poi con un po’ meno; e poi senza, finchè, horribile dictu, col pretesto dell’umidità e della nebbia, se ne tracannano due bicchierini con una disinvoltura da marinai. Vien dopo per ordine di nobiltà il curaçò, liquore fine, femmineo, men vigoroso dello schiedam, ma assai più di quel dolciume nauseabondo che si spaccia in altri paesi colla raccomandazione del suo nome. Dopo il curaçò altri moltissimi, di tutte le gradazioni di forza e di sapore, coi quali un bevitore esperto si può dare, a sua fantasia, tutte le sfumature dell’ebbrezza; l’ebbrezza gentile, la forte, la chiassosa, la cupa—e disporre in modo il suo cervello da vedere il mondo nell’aspetto che convien meglio al suo umore, come si farebbe con uno strumento ottico, cambiando il colore delle lenti.
La prima volta che si desina in Olanda c’è una sorpresa curiosa al momento di pagare lo scotto. Io avevo fatto un desinare scarso per un batavo, ma per un italiano, abbondantino, e con quel che sapevo del gran caro d’ogni cosa in Olanda, m’aspettavo una di quelle sonate, alle quali, come dice Teofilo Gauthier, la sola risposta ragionevole da darsi è una pistolettata. Fui dunque gratamente meravigliato quando il cameriere mi disse che dovevo pagare quarante sous, e siccome nelle città grandi dell’Olanda tutte le monete corrono, misi sulla tavola quaranta soldi in argento francese, e aspettai, per dar tempo all’amico di ravvedersi, nel caso che si fosse ingannato. Ma l’amico guardò quel denaro senza alcun segno di ravvedimento, e disse con la più gran serietà:—Ancora altri quaranta soldi.—Scattai sulla seggiola domandando una spiegazione; e la spiegazione, ahimè, fu semplicissima. L’unità monetaria, in Olanda, è il fiorino, che corrisponde a due lire nostre e quattro centesimi; per il che il centesimo e il soldo olandesi corrispondono a qualcosa di più del doppio del centesimo e del soldo nostro; onde l’inganno e il disinganno.
Rotterdam, la sera, presenta un aspetto impreveduto a uno straniero. Mentre nelle altre città settentrionali a una cert’ora la vita si raccoglie nelle case, a Rotterdam, a quella stess’ora, si espande nelle strade. L’Hoog-Straat è percorsa fino a notte avanzata da una folla fittissima, le botteghe sono aperte,—perchè le serve vanno a far la spesa la sera;—i caffè sono affollati. I caffè olandesi hanno una forma particolare. Son per lo più una sala unica, lunga, divisa per mezzo da una tenda verde, che s’abbassa verso sera e nasconde, come un telone da teatro, tutta la parte di dietro, la quale è la sola illuminata; la parte davanti, separata dalla strada da una grande vetrata, rimane al buio, in maniera che dal di fuori non vi si vede che delle forme nere, e un luccichio di punte di sigari che paion lucciole; e tra quelle forme nere, qualche profilo vago di donna, a cui non conviene la luce.
Dopo i caffè, dan nell’occhio, come a Rotterdam in tutte le città d’Olanda, le botteghe dei tabaccai. Ce n’è una, si può dire, a ogni passo; e sono senza paragone le più belle d’Europa; non escluse le grandi botteghe di tabacchi d’Avana di Madrid. I sigari sono chiusi in scatole di legno, su ciascuna delle quali è attaccato un ritratto a stampa del re e della regina, o di qualche illustre cittadino olandese; e tutte queste scatole sono ammontate nelle vetrine altissime, in mille forme architettoniche, come di torri, di campanili, di tempietti, di scale a chiocciola, che s’inalzano da terra fin quasi al soffitto. In queste botteghe, risplendenti di fiammelle come botteghe di Parigi, si trovan sigari di tutte le forme e di tutti i sapori; e il tabaccaio cortese ve li porge in una apposita busta di carta velina, dopo averne spuntato uno con una macchinetta.
Le botteghe olandesi sono illuminate sfarzosamente; e benchè non presentino per sè stesse alcuna differenza da quelle delle altre grandi città europee, offrono però un aspetto particolare, di notte, per il contrasto che ne riesce fra il pian terreno e la parte superiore delle case. Sotto è tutto vetri, lumi, colori, splendori; sopra son quelle facciate cupe, con quelle punte, con quegli scalini, con quelle curve; la parte superiore della casa è la vecchia Olanda, semplice, buia e silenziosa; il pian terreno è la vita nuova, la moda, il lusso, l’eleganza. Oltre a questo, siccome le botteghe, essendo tutte le case strettissime, occupano l’intero piano terreno, e sono per lo più tanto fitte che si toccano le une le altre, così di notte nelle strade come l’Hoog-Straat, non si vede quasi punto muro dal primo piano in giù, e sembra che le case sian tutte sorrette dalle vetrine, e le vetrine si confondono tutte da lontano in due larghe striscie fiammeggianti che fiancheggiano la strada come due siepi accese e l’inondano di luce, in modo che vi si troverebbe uno spillo.
Passeggiando per le strade di Rotterdam, la sera, si vede che è una città riboccante di vita, che si espande; una città, sto per dire, adolescente, nel periodo della crescenza, la quale, come una persona nei suoi panni, si sente d’anno in anno più allo stretto nelle sue case e nelle sue strade. I suoi centoquattordici mila abitanti saranno forse duecentomila in un avvenire non lontano. Le strade secondarie sono formicai di bimbi; ce n’è un ripieno, un ribocco, che rallegra gli occhi ed il cuore. Per le vie di Rotterdam spira un non so che aria di festa. Quei visotti bianchi e rossi delle serve, di cui si vedono spuntare da tutte le parti le cuffiette bianche, quei faccioni sereni di negozianti che sorbiscono lentamente dei grandi bicchieri di birra, quelle contadine coi grossi orecchini d’oro, quella pulizia, quei fiori alle finestre, quella folla operosa e tranquilla, danno a Rotterdam un aspetto di salute e di pace contenta, che fa venir sulle labbra il Te beata dei Sepolcri, non col grido dell’entusiasmo, ma col sorriso della simpatia.
Rientrando all’albergo, vidi tutt’una famiglia francese ferma in un corridoio ad ammirare i chiodi d’una porta che parevan tanti bottoni d’argento.
La mattina seguente appena levato, mi affacciai alla finestra, ch’era al secondo piano, e vedendo i tetti delle case dirimpetto, riconobbi, con meraviglia, che il Bismark era da scusarsi se aveva creduto di veder dei fantasmi sui tetti delle case di Rotterdam. Sulle rocche di cammino, in fatti, di tutte le case antiche, s’alzano dei tubi curvi o diritti, sovrapposti di traverso gli uni agli altri, incrociati e ricrociati in forma di braccia aperte, di forche, di corna smisurate, di atteggiamenti impossibili, da far pensare che abbiano un significato, che sian come un richiamo misterioso da casa a casa, e che di notte si debbano muovere con uno scopo.
Scesi nell’Hoog-Straat, era giorno di festa, si vedevano le poche botteghe aperte; ma nemmen quelle poche, mi dissero gli stessi Olandesi, si sarebbero viste non molti anni fa: l’osservanza del precetto religioso, ch’era rigorosissima, si comincia a rilassare. Vidi piuttosto un segno di festa nel vestire della gente, e specialmente degli uomini. Gli uomini, soprattutto delle classi inferiori (e osservai questo anche nelle altre città) hanno una manifesta simpatia per gli abiti neri, e li sfoggiano per lo più la domenica: cravatta nera, calzoni neri e certe palandrane nere che toccan quasi il ginocchio; costume che coll’andatura lenta e il viso grave, dà loro un’aria di sindaci di villaggio che vadano ad assistere a un Te Deum ufficiale.
Ma quello che mi stupì fu di vedere, a quell’ora, quasi tutte le persone che incontravo, signori e povera gente, uomini e ragazzi, col sigaro in bocca. Questa malaugurata abitudine di sognare da svegli, come scriveva Emilio Girardin, quando faceva la guerra ai fumatori, occupa una così larga parte nella vita degli Olandesi, che bisogna dirne qualchecosa.
Il popolo olandese è forse di tutti i popoli del settentrione quello che fuma di più. L’umidità del clima gliene fanno quasi un bisogno; il prezzo moderatissimo del tabacco rende possibile a tutti di soddisfarlo. Per mostrare quanto sia radicata quest’abitudine, basti dire che i barcaioli del trekschuit, che è la diligenza acquatica dell’Olanda, misurano le distanze col fumo. Di qui, dicono, alla tal città, ci sono, non tante miglia, ma tante pipate. Quando s’entra in una casa, dopo il primo saluto, l’ospite vi porge un sigaro; quando uscite, ve ne porge un altro, qualche volta ve ne riempie le tasche. Per le strade si vedon persone che accendono un sigaro col mozzicone ancora acceso dell’ultimo fumato, senza soffermarsi, con aria di