Una Cavalcata Selvaggia. Carol Lynne

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Una Cavalcata Selvaggia - Carol Lynne


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guardò l’orologio. Decidendo che era troppo tardi per chiamare Ezra, spense le luci e salì al piano di sopra.

       * * * *

      La suoneria del telefono svegliò Ezra da un sonno profondo. Con un ringhio, allungò un braccio per raggiungere il cordless. «Pronto?» grugnì.

      «Ezra?»

      Ezra si raddrizzò, ora completamente sveglio. «Wyn? Sei tu?»

      «Sì. Mi spiace averti chiamato così presto. Mi ero dimenticato della differenza di due ore nel fuso orario.»

      «Non importa. Mi sarei comunque dovuto alzare. Dove sei?»

      «In Oklahoma, a nord di Tulsa, al ranch di mio padre. Oh cavolo, odio dovertelo chiedere, Ezra, ma ho bisogno… ehm… ho bisogno del tuo aiuto.»

      «Per cosa?» gli rispose e si grattò la folta barba.

      Ci fu un momento di silenzio dall’altro capo della cornetta. «Mio padre è morto. Sono venuto qui per organizzare il funerale e per occuparmi del ranch. Ma le cose stanno andando per il verso sbagliato e in città c’è un gruppo di tizi che continuano a minacciarmi. Mi spiace. So che sei occupato con EZ DoesIt, ma non so a chi altro chiedere aiuto.»

      Ezra sentì il sangue che cominciava a ribollirgli nelle vene. «Cosa sta succedendo con quei tizi in città?»

      Sentì Wyn fare un pesante sospiro come se si stesse facendo di nuovo coraggio. «Sono cresciuto qui. Non gli piacevo allora e di sicuro non gli piaccio adesso.»

      «Perché sei gay?»

      «In parte, ma la verità è che qui non mi sono mai integrato. È il motivo per cui me ne sono andato non appena ho potuto.»

      «Ti hanno fatto del male?» chiese Ezra con un groppo in gola. Se c’era una cosa che non tollerava erano le persone più forti fisicamente che prendevano di mira quelle che non potevano difendersi. Quella volta era peggio, perché era Wyn che quei tizi stavano tormentando.

      «Niente di permanente. So che non siamo proprio amici, ma mi sentirei più sicuro se potessi venire qui e aiutarmi a mettere in vendita il ranch.»

      Niente di permanente? «Arrivo, lasciami solo il tempo di trovare un volo.»

      «Grazie. Se sono fortunato ci vorrà solo una settimana o giù di lì. Venire qui ti creerà dei problemi con il ranch?»

      «No, se ne possono occupare i ragazzi. Puoi venirmi a prendere all’aeroporto o devo noleggiare una macchina?»

      «No, no, ci sarò. Fammi solo sapere a che ora.»

      «Certo. Aspetta un attimo, fammi cercare un pezzo di carta su cui scrivermi il tuo numero.» Ezra scostò le coperte e si alzò dal letto. Dopo una rapida ricerca nel cassetto superiore del comò, tornò verso il telefono con carta e penna. «Okay» disse.

      Wyn gli dettò il numero del suo cellulare e quello della linea fissa del ranch.

      «Scritti. Faccio la doccia e un paio di telefonate. Ti richiamo appena ho l’orario del volo.»

      «Non so dirti quanto lo apprezzi» gli rispose Wyn.

      Il tono della sua voce quasi gli spezzò il cuore. Di solito Wyn sembrava sicuro di sé, ma in quel momento pareva un ragazzino smarrito. Giusto o sbagliato che fosse, Ezra non vedeva l’ora di stringerlo in un abbraccio protettivo. Se uno di quegli stronzi avesse provato a toccare il suo Wyn con lui presente, gliel’avrebbe fatta pagare. Erano passati anni dall’ultima volta che aveva fatto una bella scazzottata.

      «Sono contento che tu abbia chiamato» gli disse Ezra. Avrebbe voluto aggiungere altro, ma il suo stesso orgoglio lo fermò. «Ti richiamo non appena trovo un volo.»

      Riattaccò e si diresse verso la doccia. Mentre passava davanti allo specchio, colse il suo riflesso. Si fermò, si voltò e si strofinò la barba. Doveva radersi? Quel pensiero lo sconvolse. Erano vent’anni che un pensiero del genere non gli passava per la testa. In passato, una regolata alla barba due volte all’anno era il massimo che si concedeva. Diavolo, non ricordava nemmeno che aspetto avesse la sua faccia sotto tutti quei peli.

      Si chinò ed estrasse da sotto il lavandino la cassetta del pronto soccorso. Prese un piccolo paio di forbici e iniziò a tagliare. A ogni centimetro accorciato, se ne andava una parte del suo senso di colpa. Forse era proprio quello di cui aveva bisogno.

       * * * *

      I muscoli gli facevano così male che Wyn pensò di potersi mettere a piangere. Dannazione, era troppo vecchio per riparare le recinzioni da solo. Avrebbe aspettato volentieri Ezra se non fosse stato per il buco che si era aperto tra la terra di suo padre e quella di Frank Johnson. Frank era noto per essere uno stronzo galattico, e Wyn non aveva l’energia per litigare con lui.

      Wyn mise giù lo scava buchi e inserì il nuovo palo di legno nel foro appena realizzato. In ginocchio nella terra rossa dell’Oklahoma, iniziò a riempire il buco, compattando il terreno con un tubo che aveva trovato nel retro del camion. Per sicurezza ci infilò un paio di manciate di ghiaia, prima di continuare con il riempimento.

      Quando la polvere si alzò, iniziò a tossire. Chiuse gli occhi e cercò di liberare i polmoni. Non poté fare a meno di pensare ai fantastici interni del suo negozio a Cattle Valley. Si chiese se Gavin se la stesse cavando bene a gestire tutto da solo. Aveva deciso di chiamare almeno una volta al giorno, nel caso ci fossero problemi, ma non si poteva mai essere certi. Gavin era un bravo ragazzo e un impiegato modello, ma Wyn era abituato a supervisionare tutto ciò che capitava nel negozio.

      Si guardò intorno – nient’altro che bestiame e lavoro. Aveva fatto benissimo ad andarsene quando aveva compiuto diciotto anni. Suo padre non ne era stato contento, ma entrambi sapevano che il suo orientamento sessuale non gli avrebbe mai permesso di adattarsi, se fosse rimasto.

      Una volta che il buco fu riempito, Wyn si alzò e provò la resistenza del palo, spingendoci contro con tutto il suo peso. Il palo non si mosse più di un centimetro. Sorrise, quel lavoro decisamente lo soddisfaceva. Wyn tornò al pianale del camion di suo padre sollevò il rotolo di filo spinato. Non era certo un uomo debole, ma quell’affare lo fece quasi cadere per terra.

      Era fortunato che il palo rotto fosse abbastanza vicino a un supporto orizzontale, altrimenti avrebbe avuto bisogno di costruirne uno nuovo. Iniziando con la parte inferiore della staccionata, Wyn inchiodò il filo al tutore con due punti metallici, prendendosi il tempo per avvolgerlo attorno al montante del rinforzo.

      Raccolse il tubo metallico che aveva usato per compattare la terra nel foro, lo infilò attraverso il centro della bobina e srotolò la lunghezza di filo che gli serviva. Stava tirando fuori il tendifilo dal camion quando il suo cellulare squillò.

      Grato per quella pausa, tirò fuori il telefono dalla tasca. «Pronto.»

      «Ciao, sono Ezra.»

      Wyn alzò gli occhi al cielo. Nessuno aveva la voce profonda e unica di quell’uomo. «Ciao. Mi hai beccato a riparare una recinzione.»

      «La stai aggiustando tu?» Ezra sembrava scioccato.

      «Sì. Sono cresciuto qui. Alcune cose me le ricordo ancora.»

      «Scusa, mi ha solo sorpreso, tutto qui. Arrivo con il volo delle sette. Riesci a venirmi a prendere?»

      Wyn prese un fazzoletto e si asciugò la fronte. «Certo. Ti porto anche a cena fuori.»

      «Mi farebbe piacere. Beh, devo sbrigarmi se voglio partire, ci vediamo più tardi.»

      «Ci sarò.» Wyn riattaccò e lanciò il cellulare attraverso il finestrino aperto sul sedile del furgone.

      Afferrò il tendifilo e si rimise al lavoro. Aveva finito i fili inferiore e superiore e stava fissando quello centrale quando si scatenò l’inferno. Wyn non capì nemmeno cosa stesse succedendo. Un secondo prima stava aiutandosi con una gamba a reggere il tendifilo e fissare gli ultimi due punti, e quello dopo sentì il filo spezzarsi,


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