La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке. Данте Алигьери

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La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке - Данте Алигьери


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genti dolorose

      c’hanno perduto il ben de l’intelletto».

      19 E poi che la sua mano a la mia pose

      con lieto volto, ond’ io mi confortai,

      mi mise dentro a le segrete cose.

      22 Quivi sospiri, pianti e alti guai

      risonavan per l’aere sanza stelle,

      per ch’io al cominciar ne lagrimai.

      25 Diverse lingue, orribili favelle,

      parole di dolore, accenti d’ira,

      voci alte e fioche, e suon di man con elle

      28 facevano un tumulto, il qual s’aggira

      sempre in quell’ aura sanza tempo tinta,

      come la rena quando turbo spira.

      31 E io ch’avea d’error la testa cinta,

      dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo?

      e che gent’ è che par nel duol sì vinta?».

      34 Ed elli a me: «Questo misero modo

      tegnon l’anime triste di coloro

      che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.

      37 Mischiate sono a quel cattivo coro

      de li angeli che non furon ribelli

      né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.

      40 Caccianli i ciel per non esser men belli,

      né lo profondo inferno li riceve,

      ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli».

      43 E io: «Maestro, che è tanto greve

      a lor che lamentar li fa sì forte?».

      Rispuose: «Dicerolti molto breve.

      46 Questi non hanno speranza di morte,

      e la lor cieca vita è tanto bassa,

      che ’nvidiosi son d’ogne altra sorte.

      49 Fama di loro il mondo esser non lassa;

      misericordia e giustizia li sdegna:

      non ragioniam di lor, ma guarda e passa».

      52 E io, che riguardai, vidi una ’nsegna

      che girando correva tanto ratta,

      che d’ogne posa mi parea indegna;

      55 e dietro le venìa[4] sì lunga tratta

      di gente, ch’i’ non averei creduto

      che morte tanta n’avesse disfatta.

      58 Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,

      vidi e conobbi l’ombra di colui

      che fece per viltade il gran rifiuto.

      61 Incontanente intesi e certo fui

      che questa era la setta d’i cattivi,

      a Dio spiacenti e a’ nemici sui.

      64 Questi sciaurati, che mai non fur vivi,

      erano ignudi e stimolati molto

      da mosconi e da vespe ch’eran ivi.

      67 Elle rigavan lor di sangue il volto,

      che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi

      da fastidiosi vermi era ricolto.

      70 E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,

      vidi genti a la riva d’un gran fiume;

      per ch’io dissi: «Maestro, or mi concedi

      73 ch’i’ sappia quali sono, e qual costume

      le fa di trapassar parer sì pronte,

      com’ i’ discerno per lo fioco lume».

      76 Ed elli a me: «Le cose ti fier conte

      quando noi fermerem li nostri passi

      su la trista riviera d’Acheronte».

      79 Allor con li occhi vergognosi e bassi,

      temendo no ’l mio dir li fosse grave,

      infino al fiume del parlar mi trassi.

      82 Ed ecco verso noi venir per nave

      un vecchio, bianco per antico pelo,

      gridando: «Guai a voi, anime prave!

      85 Non isperate mai veder lo cielo:

      i’ vegno per menarvi a l’altra riva

      nelle tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.

      88 E tu che se’ costì, anima viva,

      pàrtiti da cotesti che son morti».

      Ma poi che vide ch’io non mi partiva,

      91 disse: «Per altra via, per altri porti

      verrai a piaggia, non qui, per passare:

      più lieve legno convien che ti porti».

      94 E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare:

      vuolsi così colà dove si puote

      ciò che si vuole, e più non dimandare».

      97 Quinci fuor quete le lanose gote

      al nocchier de la livida palude,

      che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.

      100 Ma quell’ anime, ch’eran lasse e nude,

      cangiar colore e dibattero i denti,

      ratto che ’nteser le parole crude.

      103 Bestemmiavano Dio e lor parenti,

      l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme

      di lor semenza e di lor nascimenti.

      106 Poi si ritrasser tutte quante insieme,

      forte piangendo, a la riva malvagia

      ch’attende ciascun uom che Dio non teme.

      109 Caron dimonio, con occhi di bragia

      loro accennando, tutte le raccoglie;

      batte col remo qualunque s’adagia.

      112 Come d’autunno si levan le foglie

      l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo

      vede a la terra tutte le sue spoglie,

      115 similemente il mal seme d’Adamo

      gittansi di quel lito ad una ad una,

      per cenni come augel per suo richiamo.

      118 Così sen vanno su per l’onda bruna,

      e avanti che sien di là discese,

      anche di qua nuova schiera s’auna.

      121 «Figliuol mio», disse ’l maestro cortese,

      «quelli che muoion ne l’ira di Dio

      tutti convegnon qui d’ogne paese;

      124 e pronti sono a trapassar lo rio,

      ché la divina giustizia li sprona,

      sì che la tema si volve in disio.

      127 Quinci non passa mai anima buona;

      e però, se Caron di te si lagna,

      ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona».

      130 Finito questo, la buia campagna

      tremò sì forte, che de lo spavento

      la


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<p>4</p>

venìa = veniva – зд. следовала