Decameron. Giovanni Boccaccio

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Decameron - Giovanni Boccaccio


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essendo la fortuna contenta d’averla di moglie d’un re fatta divenire amica d’un castellano, le si parò davanti più crudele amistà. Aveva Pericone un fratello d’età di venticinque anni, bello e fresco come una rosa, il cui nome era Marato; il quale, avendo costei veduta e essendogli sommamente piaciuta, parendogli, secondo che per gli atti di lei poteva comprendere, essere assai bene della grazia sua e estimando che ciò che di lei disiderava niuna cosa gliele toglieva se non la solenne guardia che faceva di lei Pericone, cadde in un crudel pensiero: e al pensiero seguì senza indugio lo scellerato effetto.

      Era allora per ventura nel porto della città una nave la quale di mercatantia era carica per andare in Chiarenza in Romania, della quale due giovani genovesi eran padroni, e già aveva collata la vela per doversi, come buon vento fosse, partire; con li quali Marato convenutosi ordinò come da loro con la donna la seguente notte ricevuto fosse. E questo fatto, faccendosi notte, seco ciò che far doveva avendo disposto, alla casa di Pericone, il quale di niente da lui si guardava, sconosciutamente se n’andò con alcuni suoi fidatissimi compagni li quali a quello che fare intendeva richesti aveva, e nella casa, secondo l’ordine tra lor posto, si nascose. E poi che parte della notte fu trapassata, aperto a’ suoi compagni là dove Pericon con la donna dormiva e quella aperta, Pericone dormente uccisono e la donna desta e piagnente minacciando di morte, se alcun romor facesse, presero; e con gran parte delle più preziose cose di Pericone, senza essere stati sentiti, prestamente alla marina n’andarono, e quindi senza indugio sopra la nave se ne montarono Marato e la donna, e’ suoi compagni se ne tornarono.

      I marinari, avendo buon vento e fresco, fecero vela al lor viaggio. La donna amaramente e della sua prima sciagura e di questa seconda si dolfe molto; ma Marato col santo cresci in man che Dio ci diè la cominciò per sì fatta maniera a consolare, che ella, già con lui dimesticatasi, Pericone dimenticato aveva; e già le pareva star bene quando la fortuna l’apparecchiò nuova tristizia, quasi non contenta delle passate. Per ciò che, essendo ella di forma bellissima, sì come già più volte detto avemo, e di maniere laudevoli molto, sì forte di lei i due giovani padroni della nave s’innamorarono, che, ogni altra cosa dimenticatane, a servirle e a piacerle intendevano, guardandosi sempre non Marato s’accorgesse della cagione.

      E essendosi l’un dell’altro di questo amore avveduto, di ciò ebbero insieme segreto ragionamento e convennersi di fare l’acquisto di questo amor comune, quasi amore così questo dovesse patire come la mercatantia o i guadagni fanno. E veggendola molto da Marato guardata, e per ciò alla loro intenzione impediti, andando un dì a vela velocissimamente la nave e Marato standosi sopra la poppa e verso il mare riguardando, di niuna cosa da lor guardandosi, di concordia andarono e, lui prestamente di dietro preso, il gittarono in mare; e prima per ispazio di più d’un miglio dilungati furono, che alcuno si fosse pure avveduto Marato esser caduto in mare. Il che sentendo la donna e non veggendosi via da poterlo ricoverare, nuovo cordoglio sopra la nave a far cominciò.

      Al conforto della quale i due amanti incontanente vennero e con dolci parole e con promesse grandissime, quantunque ella poco intendesse, lei, che non tanto il perduto Marato quanto la sua sventura piagnea, s’ingegnavan di racchetare. E dopo lunghi sermoni e una e altra volta con lei usati, parendo loro lei quasi avere racconsolata, a ragionamento venner tra se medesimi qual prima di loro la dovesse con seco menare a giacere. E volendo ciascuno essere il primo né potendosi in ciò tra loro alcuna concordia trovare, prima con parole grave e dura riotta incominciarono, e da quella accesi nell’ira, messo mano alle coltella, furiosamente s’andarono adosso e più colpi, non potendo quegli che sopra la nave eran dividergli, si diedono insieme: de’ quali incontanente l’un cadde morto e l’altro in molte parti della persona gravemente fedito rimase in vita. Il che dispiacque molto alla donna, sì come a colei che quivi sola senza aiuto o consiglio d’alcun si vedea e temeva forte non sopra lei l’ira si volgesse de’ parenti e degli amici de’ due padroni; ma i prieghi del fedito e il prestamente pervenire a Chiarenza dal pericolo della morte la liberarono. Dove col fedito insieme discese in terra: e con lui dimorando in uno albergo, subitamente corse la fama della sua gran bellezza per la città, e agli orecchi del prenze della Morea, il quale allora era in Chiarenza, pervenne. Laonde egli veder la volle, e vedutala e oltre a quello, che la fama portava bella parendogli, sì forte di lei subitamente s’innamorò, che a altro non poteva pensare; e avendo udito in che guisa quivi pervenuta fosse, s’avvisò di doverla potere avere. E cercando de’ modi e i parenti del fedito sappiendolo, senza altro aspettare prestamente gliele mandarono: il che al prenze fu sommamente caro e alla donna altressì, per ciò che fuori d’un gran pericolo esser le parve.

      Il prenze vedendola oltre alla bellezza ornata di costumi reali, non potendo altramenti saper chi ella si fosse, nobile donna dovere essere la stimò e pertanto il suo amore in lei si raddoppiò; e onorevolmente molto tenendola, non a guisa d’amica ma di sua propria moglie la trattava. Il che, avendo a’ trapassati mali alcun rispetto la donna e parendole assai bene stare, tutta riconfortata e lieta divenuta, in tanto le sue bellezze fiorirono, che di niuna altra cosa pareva che tutta la Romania avesse da favellare.

      Per la qual cosa al duca d’Atene, giovane e bello e pro’ della persona, amico e parente del prenze, venne disidero di vederla: e mostrando di venirlo a visitare, come usato era talvolta di fare, con bella e onorevole compagnia se ne venne a Chiarenza, dove onorevolemente fu ricevuto e con gran festa. Poi, dopo alcun dì, venuti insieme a ragionamento delle bellezze di questa donna, domandò il duca se così era mirabil cosa come si ragionava.

      A cui il prenze rispose: «Molto più! ma di ciò non le mie parole ma gli occhi tuoi voglio ti faccian fede.»

      A che sollecitando il duca il prenze, insieme n’andarono là dove ella era. La quale costumatamente molto e con lieto viso, avendo davanti sentita la lor venuta, gli ricevette. E in mezzo di loro fattala sedere, non si poté di ragionar con lei prender piacere, per ciò che essa poco o niente di quella lingua intendeva; per che ciascun lei sì come maravigliosa cosa guardava, e il duca massimamente, il quale appena seco poteva credere lei essere cosa mortale; e non acorgendosi, riguardandola, dell’amoroso veleno che egli con gli occhi bevea, credendosi al suo piacer sodisfare mirandola, se stesso miseramente impacciò, di lei ardentissimamente innamorandosi. E poi che da lei insieme col prenze partito si fu e ebbe spazio di poter pensare, seco stesso estimava il prenze sopra ogni altro felice, sì bella cosa avendo al suo piacere: e dopo molti e varii pensieri, pesando più il suo focoso amore che la sua onestà, diliberò, che che avvenir se ne dovesse, di privare di questa felicità il prenze e sé a suo poter farne felice.

      E avendo l’animo al doversi avacciare, lasciando ogni ragione e ogni giustizia dall’una delle parti, agl’inganni tutto il suo pensier dispose: e un giorno, secondo l’ordine malvagio da lui preso, insieme con uno segretissimo cameriere del prenze, il quale avea nome Ciuriaci, segretissimamente tutti i suoi cavalli e le sue cose fece mettere in assetto per doversene andare, e la notte vegnente insieme con un compagno, tutti armati, messo fu dal predetto Ciuriaci nella camera del prenze chetamente. Il quale egli vide che per lo gran caldo che era, dormendo la donna, esso tutto ignudo si stava a una finestra volta alla marina a ricevere un venticello che da quella parte veniva. Per la qual cosa, avendo il suo compagno davanti informato di quello che avesse a fare, chetamente n’andò per la camera infino alla finestra, e quivi con un coltello ferito il prenze per le reni infino dall’altra parte il passò e prestamente presolo dalla finestra il gittò fuori. Era il palagio sopra il mare e alto molto, e quella finestra, alla quale allora era il prenze, guardava sopra certe case dall’impeto del mare fatte cadere, nelle quali rade volte o non mai andava persona: per che avvenne, sì come il duca davanti avea proveduto, che la caduta del corpo del prenze da alcuno né fu né poté esser sentita.

      Il compagno del duca ciò veggendo esser fatto, prestamente un capestro da lui per ciò portato, faccendo vista di fare carezze a Ciuriaci, gli gittò alla gola e tirò sì che Ciuriaci niuno rumore poté fare: e sopragiuntovi il duca, lui strangolarono e dove il prenze gittato avea il gittarono. E questo fatto, manifestamente conoscendo sé non essere stati né dalla donna né da altrui sentiti, prese il duca un lume in mano e quello portò sopra il letto, e chetamente tutta la donna, la quale fisamente dormiva, scoperse; e riguardandola tutta la lodò sommamente, e se vestita gli era piaciuta, oltre a ogni comparazione ignuda gli piacque. Per che, di più caldo disio accesosi, non spaventato dal ricente peccato da lui commesso, con le mani ancor sanguinose


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