Il Corsaro Nero. Emilio Salgari

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Il Corsaro Nero - Emilio Salgari


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in mare come il Corsaro Verde e poi tu puoi renderci maggiori servigi recandoti a bordo della mia Folgore, che qui.

      – Ritornerò con dei rinforzi, signore.

      – Morgan verrà, sono certo di questo. Vattene: ecco la pattuglia.

      Il negro non se lo fece ripetere due volte. Essendo però la via sbarrata dalle due pattuglie, si cacciò in una via laterale mettendo capo ad una muraglia che serviva di riparo ad un giardino.

      Il Corsaro, vistolo scomparire, si volse verso il filibustiere, dicendo:

      – Prepariamoci a piombare sulla pattuglia che ci sta dinanzi. Se riusciamo con un improvviso attacco ad aprirci il passo, forse potremo guadagnare la campagna e poi la foresta.

      Si trovavano allora sull’angolo della via. La seconda pattuglia, già scorta dal negro, non era lontana piú di trenta passi, mentre la prima non si scorgeva ancora, essendosi forse arrestata.

      – Teniamoci pronti, – disse il Corsaro.

      – Lo sono, – disse il filibustiere, che s’era nascosto dietro l’angolo della casa.

      Gli otto alabardieri avevano rallentato il passo come se temessero qualche sorpresa, anzi uno di loro, forse il comandante, aveva detto:

      – Adagio, giovanotti! Quei bricconi devono trovarsi poco lontano di certo.

      – Siamo in otto, signor Elvaez, – disse un soldato, – mentre il taverniere ci ha detto che i filibustieri erano solamente tre.

      – Ah! Furfante d’un oste! – mormorò Carmaux. – Ci ha traditi! Se mi capita fra le mani gli farò un occhiello nel ventre, e cosí grande da fargli uscire tutto il vino che avrà bevuto in una settimana!

      Il Corsaro Nero aveva alzato la sciabola pronto a scagliarsi.

      – Avanti!… – urlò.

      I due filibustieri si rovesciarono con impeto irresistibile addosso alla pattuglia che stava per svoltare l’angolo della via, vibrando colpi disperati a destra ed a manca, con rapidità fulminea.

      Gli alabardieri, sorpresi da quell’improvviso attacco, non poterono resistere e si gettarono chi da una parte e chi dall’altra, per sottrarsi a quella gragnuola di colpi. Quando si furono rimessi dallo stupore, il Corsaro ed il suo compagno erano già lontani. Accortisi però che avevano avuto da fare con due soli uomini, si slanciarono sulle loro tracce, urlando a squarciagola:

      – Fermateli! I filibustieri! I filibustieri!…

      Il Corsaro e Carmaux correvano alla disperata, senza però sapere dove andassero. Si erano cacciati in mezzo ad un dedalo di viuzze e voltavano ad ogni istante angoli di case senza però riuscire a guadagnare la campagna.

      Gli abitanti, svegliati dalle urla della pattuglia ed allarmati dalla presenza di quei formidabili scorridori del mare, cosí temuti in tutte le città spagnole dell’America, si erano alzati e si udivano porte e finestre aprirsi o chiudersi con fracasso, mentre qualche colpo di fucile rimbombava.

      La situazione dei fuggiaschi stava per diventare, da un istante all’altro, disperata; quelle grida e quegli spari potevano spargere l’allarme anche nel centro della città e fare accorrere l’intera guarnigione.

      – Tuoni!… – esclamava Carmaux, galoppando furiosamente. – Tutte queste grida di oche spaventate finiranno col perderci! Se non troviamo il modo di gettarci nella campagna, finiremo su una forca con una solida corda al collo.

      Sempre correndo, erano allora giunti all’estremità d’una viuzza la quale pareva che non avesse nessuno sbocco.

      – Capitano! – gridò Carmaux, che si trovava dinanzi. – Noi ci siamo cacciati in una trappola.

      – Che cosa vuoi dire? – chiese il Corsaro.

      – Che la via è chiusa.

      – Non vi è alcun muro da scalare?

      – Non vi sono che case alte assai.

      – Torniamo, Carmaux. Gl’inseguitori sono ancora lontani e possiamo forse trovare qualche nuova via che ci conduca fuori di città.

      Stava per riprendere la corsa, quando disse bruscamente:

      – No, Carmaux! Mi è balenata una nuova idea nel cervello. Io credo che con un po’ d’astuzia possiamo fare perdere le nostre tracce.

      Egli si era rapidamente diretto verso la casa che chiudeva la estremità di quella viuzza. Era quella una modesta abitazione a due piani, costruita parte in muratura e parte in legno, con una piccola terrazza verso la cima, adorna di vasi e di fiori.

      – Carmaux, – disse il Corsaro. – Aprimi questa porta.

      – Ci nascondiamo in questa casa?

      – Mi sembra il mezzo migliore per fare perdere le nostre tracce ai soldati.

      – Benissimo, capitano. Diventeremo proprietari senza pagare un soldo di pigione.

      Presa la lunga navaja, introdusse la punta nella fessura della porta e facendo forza fece saltare il chiavistello.

      I due filibustieri si affrettarono ad entrare, chiudendo tosto la porta, mentre i soldati passavano all’estremità della viuzza, urlando sempre a squarciagola:

      – Fermateli! fermateli!

      Brancolando fra l’oscurità, i due filibustieri giunsero ben presto ad una scala che salirono senza esitare, fermandosi solo sul pianerottolo superiore.

      – Bisogna vedere dove si va, – disse Carmaux, – e conoscere gli inquilini. Che brutta sorpresa per quei poveri diavoli!

      Estrasse un acciarino ed un pezzo di miccia da cannone e l’accese, soffiandovi sopra per ravvivare la fiamma.

      – To’!… Vi è una porta aperta, – disse.

      – E qualcuno che russa, – aggiunse il Corsaro.

      – Buon segno!… Colui che dorme è una persona pacifica.

      Il Corsaro intanto aveva aperta la porta procurando di non fare rumore ed era entrato in una stanza ammobiliata modestamente e dove si vedeva un letto che pareva occupato da una persona.

      Prese la miccia, accese una candela che aveva scorta su di una vecchia cassa che doveva servire da canterano, poi si avvicinò al letto ed alzò risolutamente la coperta. Un uomo occupava il posto. Era un vecchietto già calvo, rugoso, dalla pelle incartapecorita e color del mattone, con una barbetta da capra e due baffi arruffati. Dormiva cosí saporitamente da non accorgersi che la stanza era stata illuminata.

      – Non sarà certamente quest’uomo che ci darà dei fastidi, – disse il Corsaro.

      Lo afferrò per un braccio e lo scosse ruvidamente, però dapprima senza successo.

      – Bisognerà sparargli una trombonata in un orecchio – disse Carmaux.

      Alla terza scossa però, piú vigorosa delle altre, il vecchio si decise ad aprire gli occhi. Scorgendo quei due uomini armati, si alzò rapidamente a sedere, sgranando due occhi spaventati ed esclamando con voce strozzata dal terrore:

      – Sono morto!

      – Ehi, amico! C’è del tempo a morire, – disse Carmaux. – Mi sembra anzi che ora siate piú vivo di prima.

      – Chi siete? – chiese il Corsaro.

      – Un povero uomo che non ha mai fatto male a nessuno – rispose il vecchio, battendo i denti.

      – Noi non abbiamo intenzione di farvi del male, se risponderete a quanto vorremo sapere.

      – Vostra eccellenza non è dunque un ladro?…

      – Sono un filibustiere della Tortue.

      – Un fili… bu… stiere!… Allora… sono… morto!…

      – Vi ho detto che non vi si farà nulla di male.

      – Cosa volete adunque da un povero uomo come me?

      – Sapere innanzi tutto se siete solo in questa


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