Il Corsaro Nero. Emilio Salgari

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Il Corsaro Nero - Emilio Salgari


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dovette ben presto convincersi però d’avere dinanzi un avversario dei piú terribili e che possedeva dei muscoli d’acciaio.

      Dopo le prime botte, il Corsaro Nero aveva riacquistata la sua calma. Non attaccava che di rado, limitandosi a difendersi come se volesse prima stancare l’avversario e studiare il suo gioco. Fermo sulle sue gambe nervose, col corpo diritto, la mano sinistra avanzata orizzontalmente, gli occhi lampeggianti, pareva che giocasse.

      Invano il castigliano aveva cercato di spingerlo verso la scala colla segreta speranza di farlo cadere, vibrandogli una tempesta di stoccate. Il Corsaro non aveva fatto un solo passo indietro ed era rimasto irremovibile fra quello scintillio della lama, ribattendo i colpi con una rapidità prodigiosa, senza uscire di linea.

      D’improvviso però si slanciò a fondo. Battere di terza la lama dell’avversario con un colpo secco, legarla di seconda e fargliela cadere al suolo, fu un colpo solo.

      Il castigliano, trovandosi inerme, era diventato pallido e si era lasciato sfuggire un grido. La punta scintillante della lama del Corsaro rimase un istante tesa, minacciandogli il petto, poi subito si rialzò.

      – Voi siete un valoroso, – disse, salutando l’avversario. – Voi non volevate cedere la vostra arma: ora io me la prendo, ma vi lascio la vita.

      Il castigliano era rimasto immobile col piú profondo stupore scolpito in viso. Gli sembrava forse impossibile di trovarsi ancora vivo. Ad un tratto fece rapidamente due passi innanzi e tese la destra al Corsaro, dicendo:

      – I miei compatrioti dicono che i filibustieri sono uomini senza fede, senza legge, dediti solamente al ladronaggio di mare; io posso ora dire come fra costoro si trovano anche dei valorosi, che in fatto di cavalleria e di generosità possono dare dei punti ai piú compiti gentiluomini d’Europa. Signor cavaliere, ecco la mia mano: grazie!…

      Il Corsaro gliela strinse cordialmente, poi raccogliendo la spada caduta e porgendola al conte rispose:

      – Conservate la vostra arma, signore; a me basta che voi mi promettiate di non adoperarla, fino a domani, contro di noi.

      – Ve lo prometto, cavaliere, sul mio onore.

      – Ora lasciatevi legare senza opporre resistenza. Mi rincresce dovere ricorrere a questa necessità; ma non posso farne a meno.

      – Fate quello che credete.

      Ad un cenno del Corsaro, Carmaux si avvicinò al castigliano e gli legò le mani, poi lo affidò al negro, il quale s’affrettò a condurlo nella stanza superiore a tenere compagnia al nipote, al servo ed al notaio.

      – Speriamo che la processione sia finita, – disse Carmaux, rivolgendosi verso il Corsaro.

      – Io credo invece che fra poco altre persone verranno ad importunarci, – rispose il capitano. – Tutte queste misteriose sparizioni non tarderanno a creare dei gravi sospetti fra i familiari del conte e del giovanotto, e le autorità di Maracaybo vorranno immischiarsene. Noi faremo bene a barricare le porte e prepararci alla difesa. Hai osservato se vi sono armi da fuoco in questa casa?…

      – Ho trovato nel granaio un archibugio e delle munizioni, oltre ad una vecchia alabarda arrugginita ed una corazza.

      – Il fucile potrà servirci.

      – E come potremo resistere, comandante, se i soldati verranno ad assalire la casa?…

      – Lo si vedrà poi; ti assicuro che, vivo, Wan Guld non mi avrà mai!… Orsú, prepariamoci alla difesa. Piú tardi, se avremo tempo, penseremo alla colazione.

      Il negro era tornato, lasciando Wan Stiller a guardia dei prigionieri. Messo al corrente di ciò che si doveva fare, si mise alacremente all’opera.

      Aiutato da Carmaux, portò nel corridoio tutti i mobili piú pesanti e piú voluminosi della casa, non senza provocare, da parte del povero notaio, una sequela di proteste affatto inutili. Casse, armadi, tavoli massicci, canterani furono accumulati contro la porta, in modo da barricarla completamente.

      Non contenti, i filibustieri rizzarono con altre casse ed altri mobili una seconda barricata alla base della scala, per potere contrastare il passo agli assalitori, nel caso che la porta non avesse potuto piú resistere.

      Avevano appena terminati quei preparativi di difesa, quando videro Wan Stiller scendere la scala a precipizio.

      – Comandante, – disse, – nella viuzza si sono aggruppati parecchi cittadini e tutti guardano verso questa casa. Io credo che ormai si siano accorti che qui succedono delle misteriose sparizioni d’uomini.

      – Ah!… – si limitò ad esclamare il Corsaro, senza che un muscolo del suo viso si fosse alterato.

      Salí tranquillamente la scala e si affacciò alla finestra che dominava la viuzza tenendosi nascosto dietro le persiane.

      Wan Stiller aveva detto il vero. Una cinquantina di persone, divise in vari gruppetti, ingombravano l’opposta estremità della viuzza. Quei borghesi parlavano con animazione e s’indicavano vicendevolmente la casa del notaio, mentre alle finestre delle case vicine si vedevano apparire e scomparire gli inquilini.

      – Ciò che temevo sta per succedere, – mormorò il Corsaro, aggrottando la fronte. – Orsú, se devo morire anch’io in Maracaybo, cosí doveva essere scritto sul libro del mio destino. Poveri fratelli miei, caduti forse invendicati!… Oh!… Ma la morte non è ancora giunta e la fortuna protegge i filibustieri della Tortue… Carmaux, a me!…

      Il marinaio sentendosi chiamare non aveva indugiato ad accorrere, dicendo:

      – Eccomi, mio comandante.

      – Tu mi hai detto d’aver trovato delle munizioni.

      – Un barilotto di polvere della capacità di otto o dieci libbre, signore.

      – Lo collocherai nel corridoio, dietro la porta e vi metterai una miccia.

      – Lampi!… Faremo saltare la casa?

      – Sí, se sarà necessario.

      – Ed i prigionieri?

      – Peggio per loro se i soldati vorranno prenderci. Noi abbiamo il diritto di difenderci e lo faremo senza esitare.

      – Ah!… Eccoli… – esclamò Carmaux che teneva gli occhi fissi sulla viuzza.

      – Chi?

      – I soldati, comandante.

      – Va’ a prendere il barile, poi verrai a raggiungermi assieme a Wan Stiller. Non dimenticare l’archibugio.

      Alla estremità della viuzza era comparso un drappello di archibugieri comandati da un tenente e seguito da un codazzo di curiosi. Erano due dozzine di soldati, perfettamente equipaggiati come se si recassero alla guerra, con fucili, spade e misericordie alla cintura.

      Accanto al tenente, il Corsaro scorse un vecchio signore, dalla barba bianca, armato di spada, e sospettò che fosse qualche parente del conte o del giovanotto. Il drappello si fece largo fra i borghesi che ingombravano la viuzza e fece alt a dieci passi dalla casa del notaio, disponendosi su una triplice linea e preparando i fucili come se dovessero aprire senz’altro il fuoco.

      Il tenente osservò per alcuni istanti le finestre, scambiò alcune parole col vecchio che gli stava vicino, poi si avvicinò risolutamente alla porta e lasciò cadere il pesante martello, gridando:

      – In nome del Governatore, aprite!…

      – Siete pronti, miei prodi? – chiese il Corsaro.

      – Siamo pronti, signore, – risposero Carmaux, Wan Stiller ed il negro.

      – Voi rimarrete con me e tu, mio bravo africano, sali al piano superiore e guarda se puoi scoprire qualche abbaino che ci permetta di fuggire sui tetti.

      Ciò detto aprí le imposte e curvandosi sul davanzale, chiese:

      – Che cosa desiderate, signore?…

      Il tenente vedendo comparire, in luogo del notaio, quell’uomo dai lineamenti arditi, con quell’ampio cappello nero adorno della lunga piuma nera, era rimasto immobile guardandolo con


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