Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5. Edward Gibbon
Читать онлайн книгу.fu costretto a dichiarare, che il riguardo pe' suoi figliuoli ch'eran ritenuti in ostaggio dal Tiranno, era l'unico riflesso che l'impediva di rinunziare apertamente all'alleanza della Persia. L'Imperator Valente che rispettava le convenzioni del trattato, e temeva d'impegnar l'Oriente in una pericolosa guerra, tentò con lenti e cauti passi di sostenere il partito Romano nei Regni d'Iberia e d'Armenia. Dodici Legioni stabilirono l'autorità di Sauromace sulle rive del Ciro. L'Eufrate era difeso dal valore d'Arinteo. Un potente esercito sotto il comando del Conte Trajano, e di Vadomairo, Re degli Alemanni, pose il campo nei confini dell'Armenia. Ma fu strettamente ordinato loro di non essere i primi a commettere ostilità, che potessero interpretarsi come un'infrazione del trattato: e tale fu l'implicita obbedienza del Generale Romano, che i soldati si ritirarono con esemplare pazienza sotto una pioggia di dardi Persiani, insino a che avessero chiaramente acquistato un giusto diritto ad una legittima ed onorevol vittoria. Queste apparenze di guerra però insensibilmente si ridussero ad una vana e tediosa negoziazione. Ambe le parti sostenevan le lor pretensioni con mutui rimproveri di ambizione e di perfidia; e sembra che il trattato originale fosse espresso in termini molto oscuri, giacchè furono esse ridotte alla necessità d'inconcludentemente appellarsi alla parzial testimonianza de' Generali di ambedue le nazioni, che si erano trovati presenti al trattato medesimo136. L'invasione dei Goti e degli Unni, che poco dopo scosse i fondamenti del Romano Impero, espose le Province dell'Asia alle armi di Sapore. Ma l'età cadente e forse le infermità del Monarca gli suggeriron nuove massime di moderazione e di pace. La sua morte, che accadde nella piena maturità d'un regno di settanta anni, cangiò in un istante la Corte ed i consigli della Persia; e probabilmente ne fu impiegata l'attenzione nelle domestiche turbolenze, e nei distanti sforzi di una guerra Carmania137. Nel godimento della pace si perdè la rimembranza delle antiche ingiurie; fu permesso ai Regni dell'Armenia e dell'Iberia pel reciproco, sebbene tacito, consenso di ambi gl'Imperi di riprendere la dubbiosa loro neutralità; e nei primi anni del regno di Teodosio, giunse a Costantinopoli un'ambasceria Persiana per iscusare i mal giustificabili passi del precedente regno; e per offerire, come un tributo d'amicizia o anche di rispetto, uno splendido donativo di gemme, di seta e di elefanti dell'India138.
Nella general pittura degli affari Orientali sotto il regno di Valente, le avventure di Para formano uno degli oggetti più singolari e di maggior effetto. Il nobile Giovane, cedendo alle persuasioni d'Olimpia sua madre, era fuggito attraverso l'oste Persiana, che assediava Artogerassa, ed aveva implorato la protezione dell'Imperator dell'Oriente. Pei timidi suoi consigli, Para fu alternativamente sostenuto e richiamato, restituito ai suoi Stati, e tradito. Furono per qualche tempo eccitate le speranze degli Armeni dalla presenza del lor naturale Sovrano; ed i Ministri di Valente si persuadevano di mantenere l'integrità della fede pubblica, se non concedeva egli al suo vassallo di prendere il diadema ed il titolo di Re. Ma presto si pentirono della loro imprudenza. Restaron confusi dai rimproveri e dalle minacce del Monarca Persiano. Ebbero anche ragione di diffidare dell'indole crudele ed incostante di Para medesimo, che sacrificava le vite dei suoi sudditi più fedeli ai più tenui sospetti, e teneva una segreta e vergognosa corrispondenza coll'assassino del proprio padre e col nemico della sua patria. Para, collo specioso pretesto di deliberare coll'Imperatore intorno ai comuni loro interessi, fu indotto a discendere dalle montagne dell'Armenia, dove il suo partito era in armi, e ad affidare la propria indipendenza e salute alla discrezione d'una perfida Corte. Il Re dell'Armenia (giacchè tale appariva egli ai propri occhi, ed a quelli della sua nazione) fu ricevuto coi dovuti onori da' Governatori delle Province per le quali passava; ma quando arrivò a Tarso nella Cilicia, sotto vari pretesti fu arrestato il progresso del suo viaggio; si guardavano con rispettosa vigilanza i suoi movimenti; ed appoco appoco s'accorse d'esser prigioniero in balìa dei Romani. Egli soppresse allora lo sdegno, coprì i suoi timori, e dopo d'essersi preparata segretamente la fuga, montò a cavallo con trecento de' suoi fedeli seguaci. L'uffiziale, che stava alla porta del suo appartamento, immediatamente partecipò tal fuga al Consolare della Cilicia, che lo sopraggiunse nei sobborghi, e tentò senza effetto di dissuaderlo dal proseguire quel temerario e pericoloso disegno. Fu ordinato ad una legione d'inseguire il fuggitivo Reale; ma l'inseguimento dell'infanteria non poteva dare gran fastidio ad un corpo di cavalleria leggiera, e dopo il primo nuvolo di dardi che furono scagliati nell'aria, precipitosamente si ritirarono alle porte di Tarso. Dopo una continua marcia di due giorni e due notti, Para giunse co' suoi Armeni alle sponde dell'Eufrate; ma il passaggio del fiume, che doverono traversare a nuoto, portò seco qualche dilazione e qualche perdita. Il paese era in armi; e le due strade, non separate che da uno spazio di tre miglia, erano state prese da mille arcieri a cavallo sotto gli ordini di un Conte e d'un Tribuno. Para avrebbe dovuto cedere alla maggior forza, se l'accidentale arrivo d'un viaggiatore suo amico non gli avesse manifestato il pericolo ed i mezzi per evitarlo. Un oscuro e quasi impraticabil sentiero per un folto bosco condusse in sicuro la truppa Armena, e Para si era lasciati dietro il Conte ed il Tribuno, mentre stavano essi pazientemente aspettando l'arrivo di lui per le pubbliche strade. Tornarono dunque alla Corte Imperiale, scusando la loro mancanza di diligenza o di successo; e seriamente addussero in lor difesa, che il Re d'Armenia, il quale era un abile Mago, aveva trasformato se stesso ed i compagni, ed era passato avanti ai lor occhi sotto un'altra figura. Tornato Para al nativo suo regno, tuttavia continuò a professarsi amico ed alleato dei Romani; ma questi troppo aspramente l'avevano ingiuriato per lasciarlo in pace, e fu pronunziata nel consiglio di Valente la segreta sentenza della sua morte. Fu commessa la fatale esecuzione di essa alla sottil prudenza del Conte Trajano; ed egli ebbe il merito d'insinuarsi nella confidenza del credulo Principe in modo, che potè trovar la comodità di trafiggergli il cuore. Para fu invitato ad un banchetto Romano che era stato preparato con tutta la pompa e tutto il lusso Orientale; la sala risuonava di grata musica, e la compagnia era già riscaldata dal vino, allorchè il Conte ritirossi per un momento, sfoderò la spada, e diede il segno dell'uccisione. Immediatamente corse addosso al Re d'Armenia un robusto e disperato Barbaro; e quantunque egli bravamente difendesse la propria vita con la prima arma che a caso gli capitò nelle mani, la mensa dell'Imperial comandante restò macchiata dal sangue reale d'un ospite e d'un alleato. Tanto eran deboli e malvagie le massime del governo Romano, che per giungere ad un fine dubbioso di politico interesse, crudelmente si violavano in faccia al Mondo le leggi delle nazioni ed i sacri diritti dell'ospitalità139.
V. Nel pacifico intervallo di trent'anni i Romani assicuraron le loro frontiere, ed i Goti estesero i loro dominj. Le vittorie del grand'Ermanrico140, Re degli Ostrogoti, ed il più nobile nella stirpe degli Amali, si son paragonate dall'entusiasmo dei suoi nazionali alle imprese d'Alessandro, con questa singolare e quasi incredibile differenza, che lo spirito marziale dell'Eroe Gotico, invece di esser sostenuto dal vigore della gioventù, si manifestò con gloria e successo nell'ultimo periodo della vita umana, fra l'età di ottanta e di centodieci anni. Le indipendenti tribù furon persuase o costrette a riconoscere il Re degli Ostrogoti per Sovrano della nazione Gotica: i Capi dei Visigoti o dei Tervingi rinunziarono al titolo Reale, ed assunsero il più basso nome di Giudici; e fra questi Atanarico, Fritigerno, ed Alvavivo erano i più illustri pel personale lor merito, non meno che per la vicinanza alle province Romane. Quelle domestiche conquiste, le quali accrebbero la forza militare d'Ermanrico, ingrandirono anche gli ambiziosi disegni di lui. Esso invase gli addiacenti paesi del Nord, e dodici considerabili nazioni, delle quali non si possono esattamente definire i nomi ed i limiti, l'una dopo l'altra cederono alla superiorità delle armi Gotiche141. Gli Eruli, che abitavano le pantanose terre vicine alla palude Meotide, eran celebri per la loro forza ed agilità; ed in tutte le guerre dei Barbari veniva con ardore sollecitato, ed altamente stimato l'aiuto della loro infanteria leggiera. Ma lo spirito attivo degli Eruli fu soggiogato dalla lenta e costante perseveranza dei Goti; e dopo una sanguinosa azione in cui restò morto il Re, i residui di quella guerriera tribù divennero un utile aumento all'esercito di Ermanrico. Marciò egli allora contro dei Venedi, non abili nell'uso delle armi, e solo formidabili pel loro numero, i quali occupavano la vasta estensione delle pianure della moderna Polonia. I vittoriosi Goti, che non eran di numero inferiori ad essi, prevalsero nella pugna mercè dei vantaggi decisivi della disciplina e dell'esercizio. Dopo d'aver sottomesso i Venedi, s'avanzò il conquistatore senza
136
Ammiano (XXVII. 12. XXIX. 1. XXX. 1. 2), ha descritto gli avvenimenti della guerra Persiana, senza le date. Mosè di Corene (
137
Artaserse fu successore e fratello (cugino germano) del gran Sapore, e custode del suo figlio Sapore III (Agat. l. IV. p. 136.
138
Pacat.
139
Vedi ap. Ammiano (XXX. 1.) le avventure di Para. Mosè di Corene lo chiama Tiridate; e racconta una lunga e non improbabile storia di Gnelo suo figlio, che in seguito divenne popolare nell'Armenia, e provocò la gelosia del Re allora regnante (l. III. c. 21, ec. p. 253).
140
Sembra che il breve racconto del regno e delle conquiste d'Ermanrico sia uno dei più stimabili frammenti, che Giornande abbia preso (c. 28) dalle Gotiche storie d'Ablavio o di Cassiodoro.
141
Il Buat (