Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5 - Edward Gibbon


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e rispettoso attaccamento al suo benefattore, di cui Valente umilmente e di buona voglia riconobbe la superiorità, sì nel genio che nel potere, in ogni azione della sua vita28.

      Prima di dividere le Province dell'Impero, Valentiniano volle riformarne l'amministrazione. Furono invitati ad intentar pubblicamente le loro accuse i sudditi di ogni classe, ch'erano stati oppressi o tribolati nel regno di Giuliano. Il silenzio universale attestò l'irreprensibile integrità del Prefetto Sallustio29; e Valentiniano con le più onorevoli espressioni d'amicizia e di stima rigettò le pressanti sollecitazioni di lui, che gli fosse conceduto di ritirarsi dall'amministrazion dello Stato. Ma tra i favoriti dell'ultimo Imperatore se ne trovarono molti, che avevano abusato della sua credulità o superstizione; e che non potevano più sperare di esser protetti dal favore o dalla giustizia30. Per la maggior parte i Ministri del Palazzo e i Governatori delle Province furon rimossi dai rispettivi lor posti; ma il merito sublime di alcuni Uffiziali fu distinto dalla folla dei colpevoli; e non ostanti le grida in contrario dello zelo e dello sdegno, sembra che tutte le parti di questo delicato processo fossero eseguite con una ragionevol dose di saviezza e moderazione31. La gioia del nuovo regno ebbe un breve e sospetto interrompimento dalla improvvisa malattia dei due Principi; ma tosto che si furono essi ristabiliti in salute, lasciaron Costantinopoli al principio di primavera, e nel castello, o nel palazzo di Mediana, distante da Naisso tre miglia, eseguirono la solenne e final divisione dell'Impero Romano32. Valentiniano cedè al fratello la ricca Prefettura dell'Oriente, dal basso Danubio sino ai confini della Persia; riservandosi pel proprio immediato governo le guerriere Prefetture dell'Illirico, dell'Italia e della Gallia, dall'estremità della Grecia fino al muro Caledonio, e da questo fino al piè del monte Atlante. L'amministrazione delle Province restò sull'antica base; ma vi fu bisogno d'un doppio numero di Generali e di Magistrati per due consigli e due Corti: se ne fece la distribuzione, avuto un giusto riguardo al merito particolare ed alla situazione di ciascheduno, e furono tosto creati sette generali sì di cavalleria che d'infanteria. Terminato amichevolmente quest'importante affare, Valentiniano e Valente s'abbracciaron per l'ultima volta. L'Imperator d'Occidente fissò la sua residenza per un tempo a Milano; e l'Imperatore di Oriente tornò a Costantinopoli per assumere il dominio di cinquanta Province, il linguaggio delle quali eragli del tutto ignoto33.

      Presto fu disturbata la tranquillità dell'Oriente dalla ribellione; e fu minacciato il trono di Valente dagli audaci attentati di un rivale, che non aveva altro merito che una parentela coll'Imperator Giuliano34, e questa era stata l'unico suo delitto. Procopio era stato ad un tratto promosso dall'oscuro posto di Tribuno o di Notaro, al comando di tutto l'esercito della Mesopotamia; la pubblica opinione lo dichiarava già successore di un Principe privo di eredi naturali; ed i suoi amici o avversari propagavano un vano romore, che Giuliano avanti l'altar della Luna a Carre avea privatamente investito Procopio della porpora Imperiale35. Egli procurò, mediante la sua leale e sommessa condotta, di disarmare la gelosia di Gioviano: senza ostacolo dimesse il comando militare; e con la sua moglie e famiglia si ritirò a coltivare l'ampio patrimonio, che possedeva nella provincia della Cappadocia. Furono interrotte queste utili ed innocenti occupazioni dall'arrivo di un uffiziale, che a nome dei nuovi Sovrani Valentiniano e Valente fu spedito con una truppa di soldati per condurre l'infelice Procopio o ad una prigione perpetua o ad una ignominiosa morte. La sua presenza di spirito gli procurò una maggior dilazione, ed un fato più splendido. Senza mostrare di porre in dubbio il mandato reale, chiese la grazia di pochi momenti per abbracciare la sua dolente famiglia; e mentre una lauta mensa tratteneva la vigilanza delle sue guardie, esso destramente si rifuggì nelle coste marittime dell'Eussino, dalle quali passò nella regione del Bosforo. In quel remoto paese dimorò molti mesi esposto ai travagli dell'esilio, della solitudine e del bisogno; mentre il malinconico temperamento di lui fomentava le sue disgrazie, ed agitata era la sua mente dal giusto timore, che se qualche accidente scoperto avesse il suo nome, i Barbari senza grande scrupolo avrebbero infedelmente violate le leggi dell'ospitalità. In un punto d'impazienza e di disperazione, Procopio s'imbarcò sopra un vascello mercantile che facea vela per Costantinopoli; ed aspirò arditamente al grado di Sovrano, giacchè non gli era permesso di godere con sicurezza quello di suddito. Da principio si nascose nei villaggi della Bitinia, continuamente cangiando d'abitazione e di vesti36. Appoco appoco si arrischiò ad entrare nella Capitale affidò la propria vita e fortuna alla fedeltà di due amici, uno Senatore e l'altro eunuco, e concepì qualche speranza di buon successo dalla notizia ch'ebbe dello stato attuale de' pubblici affari. Il Corpo del popolo era infetto da uno spirito di malcontentezza, che gli faceva desiderar la giustizia e l'abilità di Sallustio, che era stato imprudentemente dimesso dalla Prefettura dell'Oriente. Si disprezzava il carattere di Valente, rozzo senza vigore, e debole senza dolcezza. Temevasi l'influenza del patrizio Petronio suo suocero, crudele e rapace ministro, che rigorosamente esigeva i tributi rimasti arretrati fin dal regno dell'Imperatore Aureliano. Le circostanze eran propizie ai disegni di un usurpatore. La condotta ostile dei Persiani richiedeva la presenza di Valente nella Siria; dal Danubio all'Eufrate le truppe erano in moto; e la Capitale in tale occasione era piena di soldati che passavano e ripassavano il Bosforo Tracio. Furono indotte due coorti di Galli a dare orecchio alle segrete proposizioni dei cospiratori, sostenute dalla promessa d'un liberal donativo; e siccome veneravano ancora la memoria di Giuliano, facilmente acconsentirono a difender l'ereditaria pretensione del proscritto parente di lui. Allo spuntar del giorno vennero esse schierate vicino ai Bagni d'Anastasia; e Procopio, vestito di un abito di porpora più conveniente ad un commediante che a un Principe, comparve come se fosse risuscitato da morte in mezzo a Costantinopoli. I soldati, ch'erano preparati a riceverlo, salutarono il tremante lor Principe con acclamazioni di gioia e con voti di fedeltà. Fu tosto accresciuto il lor numero da un'insolente truppa di villani raccolti nella adiacente campagna; e Procopio, difeso dalle armi dei suoi aderenti, venne successivamente condotto al Tribunale, al Senato ed al Palazzo. Nei primi momenti del tumultuario suo regno egli rimase attonito e spaventato dal cupo silenzio del popolo, che o non sapeva la causa di tal novità o temea dell'evento. Ma la sua forza militare era superiore ad ogni attuale resistenza; i malcontenti correvano in folla allo stendardo della ribellione; i poveri erano eccitati dalle speranze, ed i ricchi intimoriti dal pericolo di un saccheggio universale; e l'ostinata credulità della moltitudine fu ingannata un'altra volta dai promessi vantaggi della ribellione. S'arrestarono i Magistrati; si aprirono con diligenza le porte della città e l'ingresso del porto; ed in poche ore Procopio divenne assoluto, quantunque precario, padrone della Imperiale città. L'usurpatore sostenne quest'inaspettato successo con qualche specie di coraggio e di destrezza. Egli propagò ad arte i rumori e le opinioni più favorevoli al suo interesse, nel tempo che deludeva la plebe col dare udienza ai frequenti, ma immaginari ambasciatori delle remote nazioni. Restarono appoco appoco involti nella colpa della ribellione i grossi Corpi di truppe, che si trovavano nelle città della Tracia e nelle fortezze del basso Danubio; ed i Principi Goti acconsentirono d'aiutare il Sovrano di Costantinopoli con la formidabile forza di più migliaia di ausiliari. I Generali di esso passarono il Bosforo e sottomisero senza fatica le disarmate, ma ricche Province della Bitinia e dell'Asia. La città e l'isola di Cizico, dopo una onorevol difesa, cedè al suo potere; le famose legioni dei Gioviani e degli Erculei abbracciaron la causa dell'usurpatore, ch'essi avevano avuto ordine d'opprimere; e perchè i veterani venivano continuamente aumentati da nuove leve, in poco tempo ei si vide alla testa d'un esercito, il valore ed il numero del quale corrispondeva all'importanza della contesa. Il figlio d'Ormisda37, giovane intelligente ed animoso, si condusse a trarre la spada contro il legittimo Imperatore dell'Oriente, ed il Principe Persiano fu immediatamente investito dell'antico e straordinario potere di Romano Proconsole. La parentela di Faustina, vedova dell'Imperator Costanzo, che pose nelle mani dell'usurpatore se stessa e la propria figlia, aggiunse alla causa di lui dignità e reputazione. La Principessa Costanza, che allora aveva circa cinque anni, accompagnava in una lettiga la marcia dell'esercito. Essa veniva mostrata al popolo nelle braccia dell'adottivo suo padre; ed ogni volta che passava per le file, accendevasi


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<p>28</p>

Participem quidem legitimum potestatis; sed in modum apparitoris morigerum, ut progrediens aperiet textus. Ammiano XXVI. 4.

<p>29</p>

Nonostante la testimonianza di Zonara, di Suida, e della Cronica Pasquale, il Tillemont (Hist. des Emper. Tom. V. p. 671.) brama di non dar fede a questi racconti sì vantaggiosi per un Pagano.

<p>30</p>

Eunapio celebra ed esagera i patimenti di Massimo (p. 82. 83). Egli confessa però che questo Sofista o mago, reo favorito di Giuliano, e personal nemico di Valentiniano, fu rilasciato libero, mediante il pagamento d'una piccola multa.

<p>31</p>

Il Tillemont (Tom. V. p. 21.) ha esaminato e confutato quelle illimitate asserzioni di general disgrazia che si trovano app. Zosimo l. IV. p. 201.

<p>32</p>

Ammiano XXVI. 5.

<p>33</p>

Ammiano dice in termini generali, subagrestis ingenii, nec bellicis, nec liberalibus studiis eruditus: Ammiano XXXI. 14. L'oratore Temistio, con l'impertinenza propria di un Greco, desiderò allora per la prima volta di parlar la lingua Latina, dialetto del suo Sovrano, την δὶαλεκτον κρατουσαν; dialetto Imperiale: Orat. VI. pag. 71.

<p>34</p>

La parola ανεψὶος cognatus consobrinus, esprime un grado incerto di parentela, o di consanguinità. Vedi Vales. ad Ammian. XXIII. 3. Forse la madre di Procopio era sorella di Basilina madre dell'Apostata e del Conte Giuliano zio del medesimo. Du Cange Fam. Byzant. p. 49.

<p>35</p>

Ammiano XXIII. 3. XXIV. 6. Ei fa menzione di tal voce con molta dubbiezza. Susurravit obscurior fama; nemo enim dicti auctor extitit verus. Giova però l'osservare, che Procopio era Pagano; quantunque la sua religione sembra che non apportasse favore nè danno alle sue pretensioni.

<p>36</p>

Tra i suoi luoghi d'asilo fu una casa di campagna dell'eretico Eunomio. Il padrone di essa era lontano, innocente, e non consapevole del fatto; pure appena evitar potè la sentenza di morte, e fu bandito nelle remote regioni della Mauritania: Filostorg. l. IX. c. 5. 8. e Gotofredo Dissert. p. 369. 378.

<p>37</p>

Hormisdae maturo juveni, Hormisdae regalis illius filio potestatem Proconsulis detulit, et civilia, more veterum et bella recturo; Ammiano XXVI. 8. Il Principe Persiano si trasse fuori da tal pericolo con onore e sicurezza, e dipoi (l'anno 380), gli fu restituito il medesimo straordinario uffizio di Proconsole della Bitinia (Tillemont Hist. des Emper. Tom. V. p. 204). Io non so se la razza di Sassan si propagasse. Trovo nell'anno 514 un Papa Ormisda; ma egli era nativo di Frusino nell'Italia (Pagi Brev. Pontif. T. I. pag. 247).