Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 7. Edward Gibbon

Читать онлайн книгу.

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 7 - Edward Gibbon


Скачать книгу
sala dell'udienza, ebbero la mortificazione di vedere l'Arriano Cirila innalzato alla sede Patriarcale. I disputanti si separarono dopo i vicendevoli e soliti rimproveri di strepito e di silenzio, di dilazione e di precipitazione, di militar forza e di clamor popolare. Un Martire ed un Confessore furono scelti frai Vescovi cattolici; ventotto si salvarono con la fuga, ed ottantotto coll'uniformarsi; quarantasei furono mandati in Corsica a tagliare il legname pei vascelli reali; e trecentodue furono rilegati in diverse parti dell'Affrica, esposti agl'insulti de' loro nemici, e rigorosamente spogliati d'ogni temporale e spiritual sollievo della vita95. I travagli di dieci anni d'esilio dovettero diminuire il loro numero; e se avessero osservata la legge di Trasimondo, che proibiva loro qualunque consacrazione Episcopale, la Chiesa ortodossa d'Affrica avrebbe dovuto finire con la vita degli attuali suoi membri. Essi però non obbedirono; e la loro disubbidienza fu punita con un secondo esilio di dugentoventi Vescovi nella Sardegna, dove languirono quindici anni fino all'avvenimento al trono del grazioso Ilderico96. Furono giudiziosamente scelte quelle due isole dalla malizia degli Arriani loro tiranni. Seneca, per propria esperienza, ha deplorato ed esagerato il miserabile stato della Corsica97, e l'abbondanza della Sardegna veniva contrabbilanciata dalla cattiva qualità dell'aria98. III. Lo zelo di Genserico, e de' suoi successori per la conversione de' Cattolici, gli dovè rendere sempre più gelosi a mantenere la purità della fede Vandalica. Prima che le Chiese fossero totalmente chiuse, era un delitto il comparire in abito di Barbaro; e quelli, che ardivano di trasgredire il reale comando, venivano duramente strascinati pe' lunghi loro capelli99. Gli Uffiziali del Palazzo, che ricusavano di professare la religione del loro Principe, erano ignominiosamente spogliati de' loro impieghi ed onori, banditi nella Sardegna e nella Sicilia, o condannati a' lavori servili degli schiavi e de' contadini nelle campagne d'Utica. Ne' distretti particolarmente assegnati a' Vandali, era più rigorosamente proibito l'esercizio del Culto Cattolico, ed erano stabilite severe pene contro la colpa sì del Missionario, che del proselito. Con tali mezzi si conservò la fede de' Barbari, e se ne accese lo zelo; essi eseguivano con devoto furore l'uffizio di spie, di accusatori, o di esecutori: e quando la loro cavalleria trovavasi in campagna, il divertimento favorito della marcia era quello di profanare le Chiese, e di insultare il Clero del partito contrario100. IV. I cittadini, ch'erano stati educati nel lusso d'una Provincia Romana, venivano abbandonati con isquisita crudeltà a' Mori del deserto. Una venerabile serie di Vescovi, di Preti, e di Diaconi, con una fedele truppa di quattromila e novantasei persone, delle quali non si sa bene la colpa, furono tratte per ordine d'Unnerico dalle native lor case. Nella notte venivan chiusi, come una mandra di pecore, fra le proprie loro immondizie: di giorno dovevan proseguire il loro cammino sull'ardente sabbia, e se mancavano per il caldo e la fatica, venivano stimolati o strascinati a forza, finattantochè non fossero spirati nelle mani de' loro tormentatori101. Quest'infelici esuli, giunti alle capanne de' Mori, potevano eccitare la compassione d'un Popolo, la naturale umanità del quale non era nè migliorata dalla ragione, nè corrotta dal fanatismo: ma se riusciva loro di scampare i pericoli, erano condannati a partecipare delle angustie d'una vita selvaggia. V. Conviene, che gli autori della persecuzione preventivamente riflettano, se son determinati a sostenerla fino all'ultimo estremo. Essi eccitano la fiamma, che vorrebbero estinguere; e ben presto diventa una necessità il punire la contumacia, ugualmente che il delitto del trasgressore. La multa, ch'egli non può, o non vuol pagare, l'espone alla severità della Legge; ed il suo disprezzo delle pene minori suggerisce l'uso e la convenienza delle capitali. Attraverso il velo della finzione e della declamazione, possiamo chiaramente ravvisare, che i Cattolici, specialmente sotto il regno d'Unnerico, soffrirono il più ignominioso e crudel trattamento102. De' rispettabili Cittadini, delle nobili Matrone, e delle sacre Vergini erano spogliate nude, ed alzate in aria con un peso attaccato a' loro piedi. In tal penosa situazione venivano lacerati i lor corpi con verghe, o bruciati nelle più tenere parti con ferri infuocati. Gli Arriani amputavano loro gli orecchi, il naso, la lingua e la mano destra; e quantunque non possa precisamente determinarsene il numero, è certo, che molte persone, fra le quali si posson contare un Vescovo103 ed un Proconsole104, ricevettero la corona del martirio. Si è attribuito l'istesso onore alla memoria del Conte Sebastiano, che professava la Fede Nicena con intrepida costanza; e Genserico poteva detestar com'eretico quel bravo ed ambizioso profugo, ch'esso temeva come rivale105 VI. I ministri Arriani adopravano una nuova maniera di convertire, che poteva soggiogare i deboli, e porre in agitazione i timidi. Usavano per violenza, o per frode, i riti del Battesimo sopra i Cattolici, e ne punivano l'apostasia, qualora questi rigettavano quell'odiosa e profana cerimonia, che scandalosamente violava la libertà della volontà, e l'unità del sacramento106. Le contrarie Sette avevano già convenuto della validità del Battesimo l'una dell'altra; e l'innovazione, con tanto ardore sostenuta da' Vandali, non può attribuirsi, che all'esempio, ed al consiglio de' Donatisti. VII. Il Clero Arriano sorpassava nella religiosa crudeltà il Re ed i suoi Vandali; ma era incapace di coltivar la vigna spirituale, che bramava di possedere. Poteva un patriarca107 collocarsi sulla sede di Cartagine; potevano de' Vescovi usurpare nelle Città principali i posti dei loro avversari; ma la scarsità del loro numero, e l'ignoranza, in cui erano della lingua Latina108, rendeva i Barbari inabili per l'Ecclesiastico ministero d'una gran Chiesa: e gli Affricani, dopo aver perduto i loro pastori ortodossi, restaron privi del pubblico esercizio del Cristianesimo. VIII. Gl'Imperatori erano i naturali protettori della dottrina Omousiana: ed il Popolo fedele dell'Affrica, e come Romano e come Cattolico, preferiva la legittima loro sovranità all'usurpazione degli eretici Barbari. In un intervallo di pace e di amicizia, Unnerico restituì la Cattedrale di Cartagine ad intercessione di Zenone, che regnava in Oriente, di Placidia, figlia e vedova d'Imperatori, e sorella della Regina de' Vandali109. Ma questo decente riguardo fu di breve durata; ed il superbo Tiranno mostrò il disprezzo, che aveva per la religione dell'Impero, facendo a bella posta disporre le sanguinose immagini della persecuzione in tutte le strade principali, per le quali doveva passare il Romano Ambasciatore nel portarsi al palazzo110. Si richiese da' Vescovi, ch'erano adunati in Cartagine, un giuramento, ch'essi avrebbero sostenuto la successione d'Ilderico suo figlio, e che avrebbero rinunziato a qualunque straniera o trasmarina corrispondenza. I più sagaci membri111 dell'Assemblea ricusarono d'obbligarsi a questo vincolo, che sembrava compatibile co' loro morali e religiosi doveri. La loro negativa, debolmente colorita dal pretesto, che ad un Cristiano non era permesso il giurare, dovea provocare i sospetti d'un geloso tiranno.

      I Cattolici, oppressi dalla forza reale e militare, eran molto superiori a' loro avversari in numero, ed in sapere. Con le stesse armi, che i Padri greci112 e latini avevan già preparate per la controversia Arriana, essi più volte ridussero al silenzio, e vinsero i feroci ed ignoranti successori d'Ulfila. La coscienza della propria loro superiorità avrebbe dovuto porli al di sopra degli artifizi, e delle passioni del guerreggiamento religioso. Pure invece d'assumere tal onorevole orgoglio, i teologi ortodossi furon tentati, dalla sicurezza dell'impunità a comporre finzioni, che convien notare con gli epiteti di frodi e di falsità. Essi attribuirono le loro opere polemiche a' nomi più venerabili dell'antichità Cristiana; furono temerariamente mascherati da Vigilio e da' suoi discepoli113 i caratteri d'Atanasio e d'Agostino; ed il famoso Credo, ch'espone sì chiaramente i misteri della Trinità e dell'Incarnazione, si deduce con molta probabilità da questa scuola Affricana114. Fino le stesse Scritture furono profanate dalle temerarie e sacrileghe loro mani. Il memorabile Testo, che asserisce l'unità de' Tre, che fanno testimonianza in Cielo115,


Скачать книгу

<p>95</p>

Vedasi la lista de' Vescovi affricani presso Vittore p. 117, 120 con le note del Ruinart p. 215, 397. Spesso vi si trova il nome scismatico di Donato, e sembra, che avessero adottato (come i nostri fanatici dell'ultimo secolo) le pie denominazioni di Deodatus, Deogratias, Quidvult Deus, Habet Deum etc.

<p>96</p>

Fulgent. Vit. c. 16, 29. Trasimondo affettava la lode di moderazione e di dottrina; e Fulgenzio indirizzò tre libri di controversia all'Arriano Tiranno, ch'ei chiama piissime Rex. (Bibliot. max. Patr. Tom. IX. p. 21). Nella vita di Fulgenzio si fa menzione di soli sessanta Vescovi esuli; si accrescono fino a centoventi da Vittore Tunnunense, e da Isidoro; ma si specifica il numero di dugentoventi nell'Historia Miscella, ed in una breve Cronica autentica di quei tempi. Vedi Ruinart p. 570, 571.

<p>97</p>

Vedansi gl'insipidi e bassi epigrammi dello Stoico, il quale non seppe soffrir l'esilio con maggior fortezza, che Ovidio. La Corsica poteva non produrre del grano, del vino, o dell'olio; ma non poteva mancare di erbaggi, d'acqua, e di fuoco.

<p>98</p>

Si ob gravitatem coeli interissent, vile damnum. Tacit. Annal. II. 85. Facendone l'applicazione, Trasimondo avrebbe adottato la lettura di alcuni critici, utile damnum.

<p>99</p>

Vedansi questi preludj d'una general persecuzione appresso Vittore II. 3, 4, 7, ed i due editti d'Unnerico L. II. p. 35. L. IV. p. 64.

<p>100</p>

Vedi Procopio de Bell. Vandal. L. I. c. 7, p. 197, 198. Un Principe Moro cercava di rendersi propizio il Dio de' Cristiani, mediante la sua diligenza a cancellare i segni del sacrilegio Vandalico.

<p>101</p>

Vedi questa storia presso Vittore II. 8, 12. p. 30, 34. Vittore descrive le angustie di que' Confessori come testimone di veduta.

<p>102</p>

Vedasi il quinto libro di Vittore. Le sue appassionate querele son confermate dalla sobria testimonianza di Procopio, e dalla pubblica dichiarazione dell'Imperator Giustiniano (Cod. Lib. I. tit. 27).

<p>103</p>

Victor. II, 18. p. 71.

<p>104</p>

Victor. V. 4. p. 74, 75. Ei chiamavasi Vittoriano, ed era un ricco Cittadino d'Adrumeto, che godeva la confidenza del Re, per il favore del quale aveva ottenuto il posto, o almeno il titolo, di Proconsole dell'Affrica.

<p>105</p>

Victor. I. 6. pag. 8, 9. Dopo aver narrato la ferma resistenza, e la destra risposta del Conte Sebastiano, soggiunge: Quare alio generis argumento postea bellicosum Virum occidit.

<p>106</p>

Victor. V. 12, 13. Tillemont, Mem. Eccl. Tom. IV. p. 609.

<p>107</p>

Il titolo proprio del Vescovo di Cartagine era quello di Primate: ma dalle Sette, e dalle nazioni si dava il nome di Patriarca al loro principal Ministro Ecclesiastico. Vedi Tommassin., Discipl. de l'Eglis. Tom I. p. 155, 158.

<p>108</p>

Il Patriarca Civila stesso dichiarò, ch'ei non intendeva il Latino (Victor. II. p. 42.) nescio latine; e poteva tollerabilmente conversare, senza esser però capace, di predicare o disputare in quella lingua. Il Vandalo suo Clero era vie più ignorante; e poco potea contarsi sugli Affricani, che si erano uniformati al medesimo.

<p>109</p>

Victor. II, 1, 3. p. 22.

<p>110</p>

Victor. V. 7. p. 72. Ei chiama in testimone l'Ambasciatore medesimo, che aveva per nome Uranio.

<p>111</p>

Astutiores, Vict. IV. 4. p. 70. Egli chiaramente afferma, che la lor citazione del Vangelo non jurabitis in toto non tendeva, che ad eludere l'obbligazione d'un giuramento inconveniente. I quarantasei Vescovi, che ricusarono, furono esiliati in Corsica; ed i trecentodue, che giurarono, furono distribuiti per le Province dell'Affrica.

<p>112</p>

Fulgenzio, Vescovo di Ruspa nella Provincia Bizacena, era d'una famiglia Senatoria, ed aveva avuto una nobile educazione. Egli sapeva tutto Omero o Menandro prima che incominciasse a studiare il Latino, sua lingua nativa. (Vit. Fulgent. c. 1). Molti Vescovi Affricani intendevano il Greco, ed erano stati tradotti in Latino molti Greci Teologi.

<p>113</p>

Si confrontino le due prefazioni a' dialoghi di Vigilio di Tapso (pag. 118, 129. edit. Chifl.). Ei poteva divertire i suoi eruditi lettori con un'innocente finzione; ma il soggetto era troppo grave, e gli Affricani troppo ignoranti.

<p>114</p>

Il P. Quesnel mosse quest'opinione, che si è ricevuta favorevolmente. Ma le seguenti tre verità, per quanto possano parer sorprendenti, sono presentemente accordate da tutti (Gearardo Voss. Tom. VI. p. 516, 522. Tillemont, Mem. Eccl. Tom VIII. p. 667, 671): 1. S. Atanasio non è l'autore del Credo, che sì frequentemente si legge nelle nostre Chiese; 2. non sembra, che questo esistesse per lo spazio d'un secolo dopo la sua morte; 3. fu composto originalmente in lingua Latina, e per conseguenza nelle Province occidentali. Gennadio, Patriarca di Costantinopoli, fu tanto sorpreso da tale straordinaria composizione, che disse francamente, che quella era opera d'un ubbriaco. (Petav., Dogm. Theolog. Tom. II. L. VII. c. 8. p. 587).

<p>115</p>

I. Joan. V. 7. Vedi Simone, Hist. Crit. du nouv. Testam. Part. I. c. 18. p. 203, 218., e Part. II. c. 9. p. 99, 121 e gli elaborati Prolegomeni ed Annotazioni, del Dot. Mill e di Wetstein, alle loro edizioni del Testamento Greco. Nel 1689 il Papista Simon cercava d'esser libero; nel 1707 il Protestante Mill desiderava d'essere schiavo; nel 1751 l'Arminiano Wetstein si servì della libertà de' suoi tempi, e della sua setta.