Per testimonianza della Gazzetta di Milano, «fu voce generale» che il titolo di storia milanese del secolo XVII, scoperta e rifatta «altro non significhi se non che l'autore tolse qua e là da croniche e storie molti particolari della sua opera, ma che il merito di averla tessuta e ordinata sia tutta di sua spettanza».
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È la scena nella quale il P. Cristoforo chiede perdono al fratello dell'uomo che odiava cordialmente, e che uccise. A quella scena sublime, taluno de' parenti, «che, per la cinquantesima volta, avrebbe raccontato come il conte Muzio suo padre aveva saputo in quella famosa congiuntura, far stare a dovere il marchese Stanislao, ch'era quel rodomonte che ognun sa, parlò invece delle penitenze e della pazienza mirabile d'un fra Simone, morto molt'anni prima». È un accenno alla vendetta che prese il conte Muzio Pallavicino contro il marchese Stanislao Piasio; tremenda tragedia della quale in Cremona si parlò per gran tempo e ne son piene le sue cronache.
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Io, per verità, non ci so vedere tutto il veleno che ci vede il Tommaseo. È gente di corta levatura, che essendo incapace d'abbracciare con uno sguardo solo la bellezza dell'insieme, la gusta ne' brani che la colpiscono maggiormente.
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Il Monti però ne scrisse al Manzoni con viva ammirazione. «Papadopoli e Prina» (son sue parole) «mi aveano messo in core la dolce speranza che mi avreste presto consolato d'una vostra desideratissima visita. Deluso di questa lusinga, e temendo che la mia imminente mossa per Roma mi tolga la consolazione di più rivedervi, poichè l'un dì più che l'altro sento avvicinarsi il mio fine, mi presento in iscritto per dirvi che vado ad aspettarvi in cielo, dove ho certa speranza di rivedervi a suo tempo. Intanto prima che il mio don Abbondio m'intuoni il proficiscere, vo' dirvi che ho ricevuto i vostri Sposi Promessi, e di essi dirò quello che già dissi del Carmagnola: vorrei esserne io l'autore. Ho letta la vostra novella, e finitane la lettura, mi son sentito meglio nel core. Sì, mio caro Manzoni; il vostro ingegno è mirabile, e il vostro core è una fontana d'inesauribili affetti, ciò che rende singolare il vostro scrivere e vi pone in un'altezza, cui solo possono aggiungere i pauci quos aequus amavit Jupiter, al modo stesso che pochi possono amarvi e stimarvi come il tutto vostro Monti».
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A Mario Pieri sapeva un po' duro che «il dottissimo e classico Niccolini siasi degnato di accostarsi ai Romantici; e tanto più che in quel tempo appunto correvano alcune sentenze del signor Capo-Romantico Manzoni, le quali facevano stomacare gli uomini di buon senno e sogghignare gli stolti giovinastri della sua scuola. Allorchè uscì, per esempio, quel bellissimo sermone del Monti in difesa della Mitologia, e contra coloro i quali volevano proscriverla, il signor Manzoni andava dicendo esser quello il ventottesimo bullettino del Classicismo, accennando al ventottesimo e ultimo di Napoleone; e quando uscì il poema del Grossi, I Lombardi alla prima Crociata, il medesimo Manzoni recitava per lo senno a mente gl'interi canti di quel poema, e i fanatici Romantici, suoi seguaci, andavano esclamando: Povero Tasso!Povero Tasso!O povero Tasso! Ora nessuno ignora di qual ridicolo andarono ricoperte dalla giusta Italia quelle stolte sentenze». Il Pieri vide per la prima volta «il corifèo del Romanticismo in Italia» (così chiama il Manzoni) in casa Vieusseux e poi lo frequentò «alla locanda delle Quattro nazioni Lungarno, dove albergava con tutta la sua famiglia, cioè madre, moglie e sei figliuoli, per quei tre o quattro mesi ch'ei si trattenne in Firenze» nel 1827. «La sua fisonomia palesa a chi l'osserva» (son sue parole) «animo gentile ed alto ingegno. In Milano io non l'avea cercato mai, per non rompere la vita solitaria ch'egli amava di condurre in mezzo alla sua famiglia; la quale, secondo allora si diceva, offeriva il modello delle ottime famiglie. Egli è agiato di beni di fortuna, ma non gode salute nè egli, nè la sua donna. È uomo religioso (dicono) e galantuomo. Peccato che sia invaso dalla romanticomania! Ma egli forse direbbe di me: peccato ch'egli sia invaso dalla classicomania!.. Ma dopo averlo frequentato, mi vennero udite in bocca sua tante e sì strane sentenze da trasecolare; nè io so tenere per uomo modesto, e forse neppur vero religioso, chi si vuoi creare capo-setta, e tratta con gran disprezzo i più grandi uomini dell'Italiana letteratura, e sopra tutto il grandissimo e infelicissimo Torquato Tasso. Indi a dieci anni mi venne per caso in mano una sua scrittura inedita, che mi fece variare il mio primo sentimento e raffermare nel secondo, siccome quella che me lo rappresentava un fanatico, il quale per poco non si recherebbe a distruggere, come papa Gregorio, tutt'i libri classici. Essa è in forma di lettera, con questo titolo: Sopra i diversi sistemi di Poesia, lettera di Alessandro Manzoni, in risposta a rispettabile amico di Torino (ch'è il fanatico vecchio Azeglio), 1823. Nè alcuno immaginarsi saprebbe le assurdità che quello scritto contiene. Il Romanticismo, egli dice, si propone il vero, l'utile, il buono, il ragionevole. E giacchè egli non fa che asserire senza provare, e propone un Romanticismo tutto suo, e non qual si vede nella pratica degli scrittori romantici; io risponderò francamente del no; ed avrò, ciò che a lui manca, per miei argomenti il fatto reale; e dirò all'incontro, che il Romanticismo si propone il falso, lo strano, il disordine, la deformità del vizio, lo scandaloso, il delitto, l'assurdo. Vedi tutte le opere de' Romantici in ogni genere di letteratura, ed anche nelle belle arti: vedi la grande opera drammatica, il Dottor Fausto, del vostro principe Goethe, per cui vi sentite struggere d'ammirazione, anzi che voi adorate qual nume. E quali sono i protagonisti e gli eroi de' signori Romantici? I carnefici, i ladri, gli scellerati d'ogni maniera, o contadini, o buffoni, e simili personaggi: e le scene che ci presentano son tutte degne di loro, e ci tocca veder su i teatri i patiboli e le torture, ed ogni sorta di sacrilegi. Ecco la tendenza religiosa, e il bel vero, e l'utile, e il buono, e il ragionevole del Romanticismo, come pretende il signor Manzoni». Cfr. Della vita di Mario Pieri, corcirese, scritta da lui medesimo, libri sei, Firenze, coi tipi di Felice Le Monnier, 1850; vol II, pp. 63 e 67-69.
Anche a pp. 369-370 del tom. IV delle Opere, Firenze, Le Monnier, 1851, scaglia le sue folgori contro il Manzoni, e trova il Conte di Carmagnola «tragedia senza capo nè coda, e senza quasi nessuno di que' pregi che rendono bella, e di assai malagevole composizione, una tragedia». Riconosce però che «vi ha di be' versi, di belli e profondi concetti, qualche bella parlata; ma nè un atto, nè un'intera scena che corrano bene». Nè lo risparmia nel dialogo: La letteratura classica e la romantica, che si legge a pp. 101-178 del tom. III delle Opere stesse.
11
Giornale Arcadico; tom. XXXII [1828], pp. 366-367.
12
Indicatore Genovese, n.º 11, 9 agosto 1828, Cfr. Mazzini G., Scritti editi e inediti (4.ª edizione); II, 57-61.
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Il Cesari lasciò manoscritti alcuni Pensieri sui Promessi Sposi, che vedranno la luce ne' suoi Opuscoli linguistici e letterari, che sta raccogliendo e ordinando il sig. Giuseppe Guidetti di Reggio dell'Emilia.
14
In una lettera del Giordani al Testa, scritta da Milano il 5 novembre 1821, si legge: «Vidi la canzone» [Il Cinque Maggio] «del Manzoni; lodata da molti. Non disputo sull'argomento: ognun dice quello che vuole. Ma a me pare (quanto alla frase) che alle volte non abbia saputo dire quel che voleva; e alle volte non so che cosa volesse dire. È bello il suo Inno sulla Risurrezione di Cristo».
15
Giordani P., Lettere inedite a Lazzaro Papi, Lucca, tip. di Gio. Baccelli, 1851; pag. 105.
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Il 6 luglio del '32 scriveva a Ferdinando Grillenzoni, a Genova: «Sarà costì il Manzoni; ed ella lo vedrà dal Marchese [Di Negro]. Io la prego di ossequiarlo da mia parte; e di scrivermene poi copiosamente». E il 24 del mese stesso: «Mi piace che abbia veduto Manzoni; e la prego di rammentarle una mia veramente affettuosa venerazione; perchè io lo tengo per uomo glorioso e utile all'Italia… Veda un poco se è vero quel che dice quel giornale, che ora Manzoni siasi dato a studi di purismo; e in che forma: e che cosa sta ora lavorando. E veda un poco (ma con garbo) se conosce le cose di Leopardi, e che opinione ne ha». Il 30 gliene tratta di nuovo: «Le ripeterò che bramo di sapere se Manzoni è costì per salute, o per piacere. Desidero che sia per solo piacere. Egli