Le Indagini Di Giovanni Marco Cittadino Romano. Guido Pagliarino

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Le Indagini Di Giovanni Marco Cittadino Romano - Guido Pagliarino


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mia forza; e sarà questo scandalo apparente, anzitutto, che tu predicherai”. Saulo aveva visto allora negli abbandoni degli amici, nelle malattie e negli innumerevoli altri ostacoli che avrebbe incontrato la sua partecipazione alla debolezza del Dio-uomo crocifisso e s’era sentito così amato e sorretto da lui da poter compiere, per volere divino, nella sua propria carne quanto ancora mancava alla Passione di Gesú, anche se nello stesso tempo aveva capito perfettamente che il vero e solo Salvatore dell’umanità era Cristo, e pure che l’unico autore del successo del suo apostolato sarebbe stato lui, il Risorto.

      Gesú gli aveva ancora detto, appena prima del risveglio: “Tu fa’ tutto quanto puoi, affidandoti appieno al mio amore che concluderà l’opera per te; e adesso va’ a Damasco e inizia da lì la tua opera”.

      L’apostolo era tornato in quella città e, colmo d’entusiasmo, vi aveva predicato per un triennio. Col tempo però, egli aveva suscitato l’odio religioso di ebrei canonici. Verso la metà dell’anno 793 14 costoro avevano deciso in ottima fede, “per onorare il Signore” d’uccidere “Saulo l’eretico”. Informato in tempo da amici, col loro aiuto era fuggito facendosi calare di notte in una cesta dalle mura cittadine. S’era rifugiato a Gerusalemme, nella casa d’una sorella sposata con la quale aveva abitato da quand’era rimasto vedovo, prima del viaggio a Damasco. S’era quindi recato a casa di Marco dove, come aveva saputo tempo prima da Anania, vivevano i dirigenti della Chiesa: era forte d’una sua lettera che lo raccomandava quale ottimo, fidatissimo cristiano. Aveva offerto la sua opera d’evangelizzatore al capo degli apostoli Pietro e a Giacomo Bar Alfeo che aveva affiancato il primo nella direzione dei cristiani di Gerusalemme, essendo sovente impegnato il primo in altri luoghi della Palestina e nella città d’Antiochia di Siria. Nonostante la raccomandazione del buon Anania, Saulo aveva incontrato molta diffidenza: il suo referente era conosciuto dal direttivo della Chiesa, ma la lettera non avrebbe potuto essere falsa?! Solo Barnaba era rimasto convinto e aveva interceduto con forza, a più riprese, riuscendo a dissolvere la sfiducia degli altri. Conoscendo assai bene il greco, Saulo aveva iniziato a predicare la notizia della risurrezione di Gesú Cristo nel luogo di maggiore passaggio, davanti al tempio, a quei giudei ellenisti che avevano come unico idioma quella lingua; senza successo però; peggio, aveva suscitato in loro tale ostilità che anch’essi, come gli ebrei di Damasco, avevano cercato d’ucciderlo. Non c’erano riusciti perché l’apostolo, per un contrattempo, non era passato quel giorno nella via dove, nascosti, l’attendevano armati. Qualcuno dei fratelli di fede aveva però raccolto notizia del fallito agguato e ne aveva avvertito Pietro; dunque Saulo era stato condotto in segreto, da Barnaba e un paio d’altri in funzione di scorta, a Cesarea Marittima e da qui imbarcato alla volta della sua città natale, Tarso. V’era rimasto per quattro anni evangelizzando, per primi ebrei in sinagoga, poi gentili. Essendo ben risaputo in città ch’egli era cittadino romano, s’era trovato relativamente al sicuro: quanto meno, qui nessuno aveva cercato d’ammazzarlo. Alcuni convertiti da Saulo, trasferitisi a Roma, vi avevano portato il Cristianesimo, ancor prima che vi giungesse Pietro anni dopo.

      Nel 798 15 Barnaba aveva raggiunto Saulo a Tarso e con lui era partito alla volta d’Antiochia, la cui comunità dei seguaci di Gesú, ormai comunemente detta “i cristiani”, da qualche tempo egli coordinava per incarico di Pietro.

       (Indice)

      Erano passati diciassette anni dalla morte del padre di Marco e quindici dalla nascita della Chiesa e all’imperatore Tiberio erano succeduti sul trono di Roma l’ancor più turpe Caligola e suo zio Claudio.

      Il desiderio del giovane di far giustizia dell’uccisore del genitore, nei primi tempi vivissimo, era stato lenito a poco a poco dal tempo, che certo non induce all’oblio per i cari morti e però lascia, a un certo punto, che ne affiori il ricordo solo a tratti e velato. Era stato inaspettatamente dunque che, verso la fine dell’anno 798,16 Marco aveva fatto lo sconvolgente sogno del padre che usciva dalla fossa e lo esortava a visitare la sua tomba e a cercare chi l’avesse ucciso: era stato così reale quel sogno da indurlo a considerarlo una visione mandata da Dio; il dolore per la perdita del genitore era tornato intenso quasi come nel giorno in cui era giunta la lettera di Barnaba con la ferale notizia.

      Nella Bibbia e nella tradizione orale giudaica il sogno, ogni sogno, ha grande importanza, induce a vedere la realtà sotto una luce più chiara rivelando cose che durante la veglia appaiono in penombra o che restano celate; ma tanto più importante è il sogno in cui parlino, a volte visibili e altre no, figure angeliche o persone defunte, tutte considerate messaggere di Dio: dal sogno di Giacobbe della scala collegante Cielo e terra e percorsa da angeli, a quello preveggente di suo figlio Giuseppe, ai sogni profetici di Daniele, fino a quelli moderni di Giuseppe padre putativo di Gesú e di altri seguaci del Nazareno, tra cui Saulo Paolo di Tarso, l’accaduto antico e il nuovo, l’attesa del Messia e la sua venuta erano legati dall’onirico filo il quale inoltre, nella vita d’ogni giorno, collegava, secondo il generale sentire, la pesante realtà terrena all’eterna Festa celeste, manifestando insegnamenti e svelando voleri divini per le quotidiane cose.

      Così Marco, convinto che il padre gli avesse davvero parlato per ordine di Cristo, pur non arrivando a chiedere il battesimo al suocero né a privarsi dei propri beni come i cristiani, aveva iniziato a operare con Pietro come segretario e, conoscendo bene il greco e il latino, quale interprete e scriba.

      Dopo un paio di settimane dal sogno, era accaduto un altro fatto straordinario che Marco aveva inteso come suggello alla sua visione onirica. Si era appena entrati nell’anno nuovo, sempre regnante l’imperatore Claudio, quand’era giunta a Pietro una lettera di Barnaba con cui l’apostolo annunciava il suo arrivo assieme a Saulo: avrebbero condotto due carri con vettovaglie provenienti da una colletta in natura fatta ad Antiochia, in aiuto della Chiesa madre che in quel momento era in grave bisogno a causa d’una carestia scoppiata in tutto l’impero e particolarmente grave a Gerusalemme, dove il cibo in vendita era scarsissimo; manifestava inoltre l’intenzione d’intraprendere con Saulo un giro missionario che avrebbe toccato diverse città, e la speranza che il cugino Marco, di cui conosceva le capacità pratiche, li seguisse ad Antiochia e di qui li accompagnasse nel viaggio quale aiutante amministrativo.

      Pietro aveva chiamato suo genero e gli aveva detto: “Figlio mio, forse mi priverò del tuo aiuto?”.

      â€œHo sbagliato in qualcosa?” s’era turbato Marco.

      â€œNo, tutt’altro. Fatto è che Barnaba farà con Saulo un giro d’evangelizzazione in molte città, tra cui Perge dov’è sepolto tuo padre…”

      â€œâ€¦Perge?!”.

      â€œEbbene sì, e tuo cugino vorrebbe che tu accompagnassi lui e Saulo come segretario e amministratore; e avresti la possibilità di visitare la tomba del tuo genitore”: Pietro non sapeva del sogno di Marco perché suo genero l’aveva serbato per sé e dunque, considerando la gran fatica e i gravi pericoli del viaggio e temendo ch’egli fosse restio ad accettare, stava tentando di convincerlo.

      Marco, col cuore colmo d’emozione, aveva inteso invece l’invito di Barnaba come il sigillo del Cielo, in assoluta sintonia con quella che ormai s’era rivelata una profezia. Così, con grandissimo trasporto aveva senz’altro aderito.

      â€œAh no, eh?!” s’era dovuto ricevere tuttavia da sua madre, quand’ella aveva saputo della sua prossima partenza: “È un viaggio pieno di pericoli! Lo sai benissimo che non mi fa nessun piacere che tu giri per il mondo: non ti basta quel che successe a tuo padre?!”.

      â€œDovrò pur visitarne il


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