Il Giardino Dei Rododendri. Andrea Calo'
Читать онлайн книгу.a piangere, come se così facendo potesse cambiarne il corso a proprio favore. A volte ci riusciva, sa? Oh si che ci riusciva! Ma a volte le cose erano giusto un poco più grandi di lei e il pianto non la aiutava per nulla. Ricorda tutto questo?». Lynda accennò un timido si con un gesto del capo, mentre manteneva gli occhi bassi. James continuò a parlare.
«E ricorda come e quando le ritornava il sorriso?», chiese l’uomo.
«No, non me lo ricordo», mentì Lynda. In realtà lei aveva già capito dove volesse arrivare l’amico.
«Oh suvvia signorina! Sono più grande di lei di un bel pezzo! Grande e grosso direi! Faccia uno sforzo, provi a ricordare!».
«James, davvero non ricordo, son passati tanti anni», mentì nuovamente ma le sue labbra cominciavano a tradire un accenno di sorriso malizioso.
«Va bene, allora se non ricorda davvero cercherò ora di darle un piccolo aiuto. Vedrà, sarà un successo!». James mise in moto l’auto e cominciò a guidare sorridendo e fischiettando una melodia che riportò Lynda indietro nel tempo, a quando era bambina e preparava le confetture con zia Beth.
“Confettura di ciliegia, per una colazione regia. Dolcetto all’albicocca porta all’estasi la bocca. Un litro di Sorbetto alla banana, non mi dura nemmeno una settimana. Confettura di pesca, se non lo hai stai fresca!”
Lynda recitò quelle parole guidata dalla melodia che usciva dalle labbra di James, scoppiando a ridere non appena quelle immagini arrivarono a ripopolarle la mente.
«Oh James, suvvia! Si si certo, mi tornava l’allegria, svanivano i pensieri cattivi. Ma durava poco perché poi quegli infami tornavano a massacrarmi le meningi», riprese Lynda mantenendo un bel sorriso sulle labbra.
«Si certo. Tornavano perché in realtà non faceva nulla per sconfiggerli definitivamente. Non è forse così?».
«Si», rispose Lynda a voce molto bassa.
«Mi scusi ma non ho colto la sua risposta, signorina!», continuò James che, invece, aveva capito benissimo.
«Ho detto si!», ripeté Lynda, questa volta con un tono decisamente più alto e rassicurante.
«Bene. Allora andiamo!», la sfidò James.
«Ma dove stiamo andando?»
«La porto in un posticino dove lei, signorina, potrà sentirsi a suo agio e potrà raccontarmi tutto quanto di brutto le è accaduto oggi e insieme proveremo a trovare una soluzione al suo problema. Ci vorrà un po’ di tempo ma ne varrà la pena. Ora si metta comoda, si rilassi e se riesce provi a riposare un po’. Si sentirà già molto meglio dopo, vedrà».
Lynda sorrise e guardò Puh che dormiva già da un po’, sdraiato comodamente sul tappetino dell’auto. Le curve sulla strada, le leggere ondulazioni e il rumore sordo del motore la cullavano. Si sentì avvolgere dalle braccia del sonno e decise di abbandonarsi ad esso. In fin dei conti era serena in quel momento e in compagnia di quel suo “mancato padre” si sentiva nuovamente bambina. La filastrocca accennata da James le risuonava nella mente, via via la sentiva sempre più lontana, più fievole, fino a spegnersi completamente quando si addormentò. Sognò una bambina che correva libera nel verde sconfinato dei prati inglesi, che raccoglieva conchiglie bianche sulle piccole spiagge nascoste tra le scogliere della Cornovaglia, vide zia Beth che, ferma sull’uscio del suo cottage, la chiamava a squarciagola mentre lei si divertiva a nascondersi tra le piante del suo giardino di rododendri. Sentì il profumo e il sapore della frutta fresca appena tagliata, quella raccolta, pulita e messa a bollire per poter essere trasformata in ottima confettura fatta in casa. Zia Beth era la maga delle confetture! Era divenuta molto famosa, le sue confetture e i suoi dolci erano così conosciuti in tutto il paese e nelle città vicine che fu praticamente costretta ad aprire una piccola pasticceria e trasformare un suo hobby in attività, per poter soddisfare tutte le richieste che le venivano fatte. Molta gente andava a trovarla con la scusa più banale per poter avere la possibilità di assaggiare ancora una volta le sue gustose ricette. E Lynda voleva imparare tutto da lei, ogni segreto, ogni esperimento, ogni ricetta. Ma le estati duravano troppo poco e ben presto arrivava il momento di ritornare a casa, in città, per dedicarsi allo studio al quale il Senatore Grant teneva tanto: avere una figlia ignorante non avrebbe affatto giovato alla sua figura di uomo diplomatico, non poteva permetterselo!
Poi nel sogno cominciarono a cadere gocce di pioggia mentre i fulmini perforavano l’aria, rischiarando a giorno il cielo divenuto via via scuro come la notte. Il verde dei campi aveva lasciato il posto alla gelida neve ghiacciata dell’inverno. La piccola correva a fatica, completamente bagnata dalla pioggia che non le dava tregua e cadeva pungente sui suoi occhi costringendola a tenerli chiusi. La bimba inciampò e rovinò a terra, cadendo nel fango denso di una pozzanghera. Alzò il volto completamente sporco di terra e guardò dritta davanti a se: vide il cottage di zia Beth privo di luce, solo la luce fioca di una candela già consumata donava un lieve barlume. Zia Beth stava in piedi sulla soglia di casa e la guardava mentre piangeva. La bimba gridava alla zia, le chiedeva aiuto. Ma zia Beth non si muoveva, continuava a piangere. Poi alzò la mano e con un cenno salutò nuovamente la bimba, per poi rientrare in casa richiudendo la porta dietro di se. La bimba piangeva e gridava a squarciagola, si sentiva sola e tradita da quella zia che tanto aveva amato e che rispettava come esempio da seguire e da emulare. Poi anche la luce della candela si spense e intorno alla bimba regnarono le tenebre. Non la luna, non una stella erano presenti in cielo per rischiarare quella notte. La bimba se ne stava lì ferma, immobile e avvolta dall’oscurità, senza poter fare nulla. Ad un tratto una voce conosciuta la ridestò: era sua madre che la chiamava restando ferma sul ciglio della strada con una candela in mano. La giovane Lynda si alzò, non provava più alcun dolore e s’incamminò verso di lei sempre più velocemente, fino a quando non vide la madre svanire nel nulla e si sentì cadere nel vuoto, come all’interno di un pozzo senza fine.
3
Lynda si svegliò di colpo. Puh la fissava immobile e in silenzio, con i suoi grossi occhi neri spalancati e puntati verso di lei. Anche James la guardava mentre parcheggiava l’auto, erano giunti a destinazione. Doveva essersi agitata parecchio durante il sonno, pensò.
«Sogni agitati signorina?», chiese James.
«Era iniziato bene, come un bel sogno, ma poi s’è trasformato in un vero incubo», replicò decisa.
«Capita spesso anche nella vita reale, non è così?»
«Purtroppo si caro James».
«Proprio come quello che è accaduto a lei questa mattina e che l’ha tanto sconvolta. Forse tra il brutto sogno che ha appena fatto e quello che le è accaduto oggi c’è un qualche tipo di legame. Sa, la mente a volte ci gioca davvero brutti scherzi».
«Non saprei che cosa dire. Forse solo la parte finale, la caduta nel vuoto mentre ci si dirige verso ciò che si credeva essere la nostra salvezza. Davvero non lo so, e non so che farci. Lascio correre, accada quel che accada».
«Molto bene signorina Lynda, siamo sulla strada giusta allora. Lasciamo al destino e al tempo la libertà di agire per conto nostro, loro sapranno consigliarci al meglio», concluse James con il suo solito sorriso tenero e rassicurante.
«James, ascolta».
«Mi dica signorina».
«Da quanti anni ci conosciamo?»
«Da quando lei ha cominciato ad andare a scuola, signorina», rispose James voltandosi verso la ragazza con una chiara espressione interrogativa impressa sul volto. Quella domanda buttata lì a freddo lo aveva molto sorpreso.
«Bene. Ora io ho trent’anni, quindi sono passati circa ventiquattro anni, giusto?»
«Oh si signorina! Come passa in fretta il tempo! Ben ventiquattro anni sono trascorsi e sembra giusto ieri il giorno in cui l’aiutai a salire per la prima volta sulla mia macchina. Sua madre era con noi, se lo ricorda?».
«Certo, ricordo benissimo! Mia madre non mi lasciava mai sola. Ma senti, è mai possibile che dopo tutti questi anni tu non abbia ancora smesso di chiamarmi “signorina”?».
«Oh beh si, signorina… Lynda. Ma vede per un uomo della mia età