Il Killer Dell’orologio . Блейк Пирс

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Il Killer Dell’orologio  - Блейк Пирс


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compatire. Non era proprio da lui. Lei prese una nota mentale, di mettersi presto in contatto con lui.

      Provò anche a trovare un lato positivo in tutto quello che era appena accaduto. Dopo quindici anni, i coniugi Betts e Harter l’avevano finalmente perdonata. Ma Riley non si sentiva di meritare il perdono, non più di quanto lo meritasse Larry Mullins.

      Proprio allora, Larry Mullins fu condotto fuori in manette.

      Si voltò a guardarla e allargò il sorriso, mimando silenziosamente le sue parole malvagie.

      “Ci vediamo l’anno prossimo.”

      CAPITOLO SETTE

      Riley era nella sua auto, diretta verso casa, quando ricevette una chiamata da Bill. Mise il cellulare in vivavoce.

      “Che cosa succede?” gli chiese.

      “Abbiamo trovato un altro corpo” fu la risposta. “In Delaware.”

      “Quello di Meara Keagan?” Riley domandò.

      “No. Non abbiamo identificato la vittima. Questa è proprio come le altre due, soltanto peggio.”

      Riley meditò su quelle nuove informazioni. Meara Keagan era ancora prigioniera. Il killer forse aveva anche altre donne con sé. L’unica cosa certa era che gli omicidi sarebbero continuati. Quanti ce ne sarebbero stati era una preoccupazione di chiunque.

      La voce di Bill era agitata.

      “Riley, sto andando fuori di testa” disse. “So di non pensare lucidamente. Lucy è di enorme aiuto, ma è ancora così acerba.”

      Riley comprendeva perfettamente come si sentiva. L’ironia era palpabile. Lei era lì a tormentarsi sul caso di Larry Mullins. Intanto in Delaware, Bill sentiva che il suo stesso fallimento di qualche mese prima era costato la vita di una terza donna.

      Riley pensò di raggiungere Bill in auto, ovunque lui fosse. Probabilmente le ci sarebbero volute quasi tre ore per arrivarci.

      “Hai finito lì?” Bill le chiese.

      Riley aveva detto a Bill e Brent Meredith che sarebbe stata in Maryland oggi, per l’udienza sulla libertà condizionale.

      “Sì” rispose.

      “Bene” Bill disse. “Ho mandato un elicottero a prenderti.”

      “Tu cosa?” Riley esclamò con un sussulto.

      “C’è un aeroporto privato vicino a dove ti trovi. Ti invierò la località via sms. L’elicottero è già lì probabilmente. A bordo, c’è un cadetto che riporterà la tua auto indietro.”

      Senza un’altra parola, Bill mise fine alla telefonata.

      Riley guidò in silenzio per un momento. Si era sentita sollevata, quando l’udienza era terminata durante la mattina. Voleva essere a casa, quando la figlia sarebbe tornata da scuola. Il giorno prima non c’erano stati ulteriori litigi, ma April non aveva detto molto altro. Quella mattina, Riley era uscita prima che la figlia si svegliasse.

      Ma, per lei, la decisione era stata presa. Pronta o meno, era sul nuovo caso. Avrebbe parlato con April più tardi.

      E non dovette riflettere a lungo prima che le sembrasse perfettamente giusto. Fece inversione, e seguì le istruzioni che Bill le aveva inviato. La cura più sicura al suo senso di fallimento sarebbe stato consegnare un altro killer alla giustizia—la vera giustizia.

      Era ora.

      *

      Riley rimase ferma a guardare il corpo della ragazza che giaceva su di un palco, formato da assi di legno. Era una mattina luminosa e fresca. Il palco era situato in un gazebo, proprio al centro della piazza principale, circondato da erba ed alberi ben tenuti.

      La vittima assomigliava in maniera scioccante alle due vittime nelle foto che Riley aveva visto. Giaceva a faccia in su, ed era così magra che sembrava come mummificata. I suoi vestiti sporchi e logori, che una volta potevano esserle andati bene, ora sembravano grottescamente larghi su di lei. Mostrava vecchie cicatrici e ferite più recenti, che sembravano i segni di una frusta.

      Riley immaginò che avesse circa diciassette anni, l’età delle altre due vittime di omicidio.

      O forse no, pensò.

      Dopotutto, Meara Keagan aveva ventiquattro anni. Il killer poteva aver cambiato il suo modus operandi. Questa ragazza era ridotta così male, che per Riley era difficile determinarne l’età.

      Riley era tra Bill e Lucy.

      “Sembra che abbia patito la fame più delle altre due” Bill sottolineò. “Deve averla tenuta molto più a lungo.”

      Riley scorse un mondo di rimprovero per se stesso, nelle parole del partner. Gli lanciò uno sguardo. Notò anche l’amarezza che traspariva sul volto dell’uomo. Riley sapeva ciò che Bill stava pensando. Quella ragazza era senz’altro in vita, e tenuta prigioniera, quando lui aveva indagato sul caso e non aveva avuto alcun riscontro. Stava biasimando se stesso per la sua morte.

      Riley sapeva che non doveva farlo ma non riusciva a trovare le parole per farlo sentire meglio. I suoi rimorsi, per il caso di Larry Mullins, le lasciavano ancora l’amaro in bocca.

      Riley si voltò per osservare ciò che la circondava. Da lì, la sola struttura completamente visibile era il tribunale dall’altra parte della strada, un grosso edificio di mattoni con una torre dell’orologio. Riley non era sorpresa del fatto che il corpo potesse essere stato portato lì nel bel mezzo della notte, senza che nessuno se ne accorgesse. L’intera città era stata profondamente addormentata e la piazza era circondata da marciapiedi, così che l’assassino non rischiasse di lasciare alcuna impronta.

      La polizia locale aveva delimitato con il nastro la piazza, e stava allontanando i curiosi. Ma Riley vide che alcuni membri della stampa si erano radunati davanti al nastro.

      Era preoccupata. Finora, la stampa non aveva capito che i due omicidi precedenti e la sparizione di Meara Keagan erano collegati. Ma, con questo nuovo omicidio, qualcuno aveva senz’altro unito i puntini. Il pubblico lo avrebbe saputo prima o poi. A quel punto, l’indagine sarebbe diventata molto più difficile.

      Lì nei pressi, c’era il capo della polizia di Redditich, Aaron Pomeroy.

      “Come e quando è stato trovato il corpo?” Riley domandò.

      “Abbiamo uno spazzino che entra in servizio prima dell’alba. E’ stato lui a trovarla.”

      Pomeroy sembrava piuttosto scosso. Era un uomo di una certa età, in sovrappeso. Riley immaginava che, persino in una piccola cittadina come questa, un poliziotto della sua età avesse gestito un omicidio o due, durante la sua carriera. Ma non aveva probabilmente mai avuto a che fare con un evento così inquietante.

      L’Agente Lucy Vargas si accovacciò accanto al cadavere, e lo studiò attentamente.

      “Il nostro killer è incredibilmente sicuro di sé” Lucy disse.

      “Come lo sai?” Riley chiese.

      “Dunque, dispone i corpi in modo da mostrarli” fu la risposta. “Metta Lunoe è stata trovata in un campo aperto, Valerie Bruner sul lato di una strada. Solo circa la metà di tutti i serial killer trasporta le proprie vittime via dal luogo del delitto. Di quelli che lo fanno, circa la metà le nasconde. E molti corpi che sono lasciati in vista sono solo gettati via. Questo tipo di esposizione suggerisce che è molto impudente.”

      Riley fu contenta che Lucy avesse prestato buona attenzione in classe. Ma, in qualche modo, non pensava che l’impudenza fosse la chiave della mente di quel killer. Non stava provando a vantarsi o a deridere le autorità. Puntava ad altro. Ma Riley non sapeva ancora di che cosa si trattasse.

      Tuttavia, era sicura che avesse a che fare con il modo in cui il corpo era disposto, al contempo fastidioso ed intenzionale. Il braccio sinistro della ragazza era allungato sopra la testa. Anche il braccio


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