Il Giuramento. Джек Марс

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Il Giuramento - Джек Марс


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rassicurante.

      “Se i poliziotti entrano e mettono in sicurezza il posto, fantastico. Se non ce la fanno, non abbiamo tempo da perdere. L’Uzi ha proiettili corazzati ad altra pressione di fabbricazione russa. Dovrebbero penetrare la maggior parte dei giubbotti antiproiettile che probabilmente indossano i cattivi. Ho mezza dozzina di caricatori del tutto pieni, nel caso in cui mi servissero. Se li finisco nel mezzo della battaglia, passo al fucile a pompa. Poi farò a brandelli gambe, braccia, colli e teste.”

      “Sì, ma come hai intenzione di entrare?” disse Ed. “Se non ce la fa la polizia, come entri tu?”

      Luke andò al SUV e ne prese un lanciagranate M79. Sembrava un grosso fucile a canne mozze con fusto in legno. Lo porse a Ed.

      “Mi farai entrare tu.”

      Ed prese l’arma tra le grosse mani. “Bellissimo.”

      Luke andò a prendere due scatole di granate M406, quattro per scatola.

      “Voglio che risali l’isolato dietro alle macchine parcheggiate fin dall’altra parte della strada. Appena prima di arrivare aprimi un bel buco attraverso il muro. Quelli saranno concentrati sulle porte, si aspetteranno che i poliziotti cerchino di buttarle giù. Noi invece gli tireremo una granata proprio in grembo.”

      “Carino,” disse Ed.

      “Dopo la prima botta, lanciagliene un’altra per sicurezza. Poi sta’ giù e fuori pericolo.”

      Ed fece scorrere la mano sulla canna del lanciagranate. “Credi che sia sicuro agire così? Cioè… ci sono i tuoi là dentro.”

      Luke fissò la casa. “Non lo so. Ma nella maggior parte dei casi che ho visto la stanza dei prigionieri è tenuta di sopra o nel seminterrato. Siamo sulla spiaggia e il livello freatico è troppo alto perché ci sia un seminterrato. Perciò immagino che se sono in quella casa si trovino al piano superiore, in quell’angolino a destra, quello senza finestre.”

      Controllò l’ora. 16:01.

      In quel preciso istante un corazzato blu svoltò l’angolo ruggendo. Luke e Ed lo osservarono passare. Era un Lenco BearCat con blindatura in acciaio, bocche da fuoco, faretti e tutto il resto.

      Luke sentì qualcosa nel petto. Era paura. Era terrore. Aveva trascorso le ultime ventiquattr’ore fingendo di non provare nulla nel sapere che degli assassini mercenari avevano sua moglie e suo figlio. Ogni tanto i veri sentimenti che provava minacciavano di farsi sentire con violenza. Ma li ricacciò indietro di nuovo.

      Non c’era spazio per i sentimenti, in quel momento.

      Abbassò lo sguardo su Ed. Era sulla sedia a rotelle, con il lanciagranate in grembo. Aveva un’espressione dura. Aveva gli occhi freddi come l’acciaio. Ed era un uomo che viveva secondo i suoi valori, Luke lo sapeva. Quei valori includevano la lealtà, l’onore, il coraggio e l’applicazione di una forza soverchiante quando era giusto, e corretto. Ed non era un mostro. Però in quel momento avrebbe anche potuto esserlo.

      “Sei pronto?” disse Luke.

      Ed cambiò a malapena espressione. “Sono nato pronto, uomo bianco. La domanda è: tu lo sei?”

      Luke caricò le armi. Raccolse l’elmetto. “Sono pronto.”

      Si fece scivolare il liscio elmetto nero sulla testa, e Ed fece lo stesso col suo. Luke abbassò la visiera. “Interfono acceso,” disse.

      “Acceso,” disse Ed. Pareva che Ed si trovasse nella sua testa. “Ti sento forte e chiaro. Adesso cominciamo.” Ed prese a scivolare dall’altra parte della strada.

      “Ed!” disse Luke alla schiena dell’uomo. “Voglio un grosso buco in quel muro. Una cosa attraverso la quale possa passare.”

      Ed sollevò una mano e proseguì. Un attimo dopo si trovava dietro la linea delle macchine parcheggiate sulla strada, e fuori vista.

      Luke lasciò il bagagliaio aperto. Ci si accucciò dietro. Accarezzò tutte le armi. Aveva un Uzi, un fucile a pompa, una pistola e due coltelli, nel caso in cui si fosse arrivati a quello. Fece un respiro profondo e alzò gli occhi sul cielo azzurro. Lui e Dio non si scambiavano grandi chiacchierate. Sarebbe stato utile se un giorno avessero potuto chiarirsi su alcune cose. Se Luke aveva mai avuto bisogno di Dio, ne aveva bisogno adesso.

      Una grossa e lenta nuvola bianca attraversò l’orizzonte.

      “Ti prego,” disse Luke alla nuvola.

      Un attimo dopo cominciò la sparatoria.

      CAPITOLO DUE

      Brown era nella saletta di controllo appena fuori dalla cucina.

      Sul tavolo alle sue spalle c’erano un fucile M16 e una Beretta nove millimetri semi-automatica, entrambi carichi. C’erano tre granate a mano e una mascherina respiratore. C’era anche un walkie-talkie nero della Motorola.

      Una serie di piccoli schermi televisivi a circuito chiuso era montata sul muro sopra al tavolo. Le immagini gli arrivavano in bianco e nero. Ogni schermo dava a Brown una diretta dalle telecamere installate in punti strategici attorno la casa.

      Da lì riusciva a vedere l’esterno delle porte scorrevoli a vetri, così come la cima della rampa che portava al molo; il molo stesso e il suo accesso dall’acqua; l’esterno della porta doppia rinforzata in acciaio sul fianco della casa; l’atrio oltre quella porta; il corridoio di sopra con la finestra che dava sulla strada; e, ultima ma non meno importante, la stanza degli interrogatori senza finestre del piano di sopra dove la moglie e il figlio di Luke Stone se ne stavano seduti tranquilli legati alle loro sedie, con dei cappucci a coprir loro il capo.

      Non c’era modo di prendere la casa di sorpresa. Con la tastiera sulla scrivania azionò il controllo manuale della telecamere sul molo. Alzò la camera di un pelo fino a inquadrare il peschereccio sulla baia, poi zoomò. Scorse tre poliziotti col giubbotto antiproiettile fuori sulle murate. Stavano tirando l’ancora. Tra un minuto quella barca sarebbe sfrecciata fin lì.

      Brown passò alla panoramica sul portico del retro. Voltò la telecamera per vedere il fianco della casa. Riusciva giusto a vedere l’inferriata sul davanti del furgoncino della tv via cavo dall’altra parte della strada. Non importava. Aveva un uomo alla finestra del piano superiore che teneva sotto tiro il furgone.

      Brown sospirò. Immaginava che la cosa giusta da fare fosse contattare i poliziotti alla radio e dir loro che sapeva cosa stavano facendo. Avrebbe potuto portare la donna e il bambino di sotto e posizionarli davanti alla porta a vetri, così che tutti riuscissero a vedere che cosa c’era sul tavolo.

      Invece di dare inizio a uno scontro a fuoco e a un bagno di sangue, sarebbe potuto passare subito alle vane negoziazioni. In quel modo magari avrebbe anche risparmiato qualche vita.

      Sorrise tra sé e sé. Ma così tutto il divertimento sarebbe stato rovinato, no?

      Controllò la panoramica sull’atrio. Aveva tre uomini di sotto, i due Barba e uno a cui pensava come all’Australiano. Uno copriva la porta di acciaio e due quelle scorrevoli a vetri nella zona posteriore. La porta a vetri e il portico subito oltre erano i punti più vulnerabili. Ma non c’era ragione di pensare che i poliziotti sarebbero arrivati fin lì.

      Allungò una mano alle sue spalle e prese il walkie-talkie.

      “Signor Smith?” disse all’uomo accucciato vicino alla finestra aperta del piano di sopra.

      “Signor Brown?” gli rispose una voce sarcastica. Smith era abbastanza giovane da trovare gli pseudonimi ancora buffi. Sullo schermo, Smith fece ciao con la mano.

      “Che fa il furgone?”

      “Rock and roll. Sembra che lì dentro ci stiano facendo un’orgia.”

      “Okay. Tieni gli occhi aperti. Non… ripeto… non permettere a nessuno di raggiungere il portico. Non c’è bisogno che mi avvisi. Hai l’autorizzazione ad agire. Ricevuto?”

      “Ricevuto,” disse Smith. “Fuoco a volontà, baby.”

      “Bravo ragazzo,” disse Brown. “Magari ci rivedremo all’inferno.”

      Proprio


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