Il Giuramento. Джек Марс

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Il Giuramento - Джек Марс


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era stato tanto contento appena pochi momenti prima. I poliziotti non riuscivano mai a superare quella porta. Barba 2 era rimasto massacrato nell’esplosione, ma combatteva ancora. Si trascinò al muro, si tirò su e prese l’arma che aveva assicurata alla spalla.

      L’invasore sparò a Barba 2 in viso a bruciapelo. Sangue e ossa e materia grigia si spiaccicarono contro il muro.

      Brown si voltò e si precipitò su per le scale.

*

      L’aria era densa di fumo, ma Luke vide l’uomo scattare in direzione delle scale. Si guardò intorno nella stanza. Tutti gli altri erano morti.

      Soddisfatto, prese di corsa le scale. Il suo stesso respiro gli rimbombava nelle orecchie.

      Lì era vulnerabile. Le scale erano così strette che sarebbe stata l’occasione perfetta perché qualcuno gli aprisse il fuoco addosso. Non lo fece nessuno.

      In cima l’aria era più pulita che di sotto. Alla sua sinistra c’erano la finestra e la parete andate in frantumi dove era stato appostato il cecchino. Le sue gambe erano sul pavimento. Gli stivali comodi marrone chiaro puntavano in direzioni opposte. Il resto del suo corpo era sparito.

      Luke andò a destra. Istintivamente corse alla stanza che si trovava alla fine del corridoio. Lasciò cadere l’Uzi nel corridoio. Prese il fucile a pompa dalla spalla e lasciò cadere anche quello. Estrasse la Glock dalla fondina.

      Girò a sinistra ed entrò nella stanza.

      Becca e Gunner erano seduti, legati a due sedie pieghevoli. Avevano le braccia bloccate dietro la schiena. Avevano i capelli spettinati, come se un simpaticone glieli avessi arruffati con la mano. E c’era un uomo dietro di loro. Gettò i due cappucci neri a terra e mise la bocca della pistola contro la nuca di Becca. Si abbassò tantissimo, portando Becca davanti a sé per usarla come scudo umano.

      Becca aveva gli occhi sgranati. Gunner teneva i suoi chiusi con forza. Piangeva senza controllo. Aveva tutto il corpo scosso da singhiozzi silenziosi. Aveva bagnato i pantaloni.

      Ne valeva la pena?

      A vederli così, indifesi, terrorizzati – ne era valsa la pena? Luke la sera prima aveva contribuito a fermare un colpo di Stato. Aveva salvato la nuova presidente da morte praticamente certa – ma ne era valsa la pena?

      “Luke?” disse Becca, come se non lo riconoscesse.

      Ovvio che non lo riconosceva. Si tolse l’elmetto.

      “Luke,” disse. Trasalì, magari di sollievo. Luke non lo sapeva. Le persone emettevano suoni nei momenti estremi. Suoni che non avevano sempre un significato specifico.

      Luke sollevò la pistola, puntandola direttamente tra la testa di Becca e quella di Gunner. Quell’uomo era bravo. Non gli concedeva nulla da colpire. Ma Luke continuò lo stesso a puntare lì la pistola. Osservò con pazienza. L’uomo non sarebbe stato sempre bravo. Nessuno poteva essere bravo per sempre.

      Luke ora non sentiva nulla, niente di niente tranne… una calma… di morte.

      Non sentiva il sollievo percorrergli il sistema nervoso. Non era ancora finita.

      “Luke Stone?” disse l’uomo. Grugnì. “Fantastico. Da un paio di giorni sei dappertutto. Sei davvero tu?”

      Luke riuscì a immaginarsi il viso dell’uomo ripensando al momento prima che si nascondesse dietro a Becca. Aveva una grossa cicatrice che gli attraversava la guancia sinistra. Aveva un taglio di capelli a spazzola. Aveva i lineamenti taglienti di chi aveva trascorso la vita nell’esercito.

      “Chi lo vuole sapere?” disse Luke.

      “Mi chiamano Brown.”

      Luke annuì. Un nome che non era un nome. Il nome di un fantasma. “Be’, Brown, come vuoi che la risolviamo?”

      Sotto di loro, Luke udì la polizia entrare in casa.

      “Che opzioni vedi?” disse Brown.

      Luke rimase immobile, con la pistola in attesa di avere campo libero. “Io vedo due opzioni. Puoi morire in questo istante oppure, se sei fortunato, in prigione, tra moltissimo tempo.”

      “Oppure posso farti esplodere il cervello della tua adorabile moglie addosso.”

      Luke non rispose. Puntava la pistola e basta. Non aveva il braccio stanco. Non si sarebbe mai stancato. Ma la polizia sarebbe salita tra un attimo, e così l’equazione sarebbe cambiata.

      “E tu un secondo dopo sarai morto.”

      “Vero,” disse Brown. “Oppure potrei fare così.”

      Con la mano libera lanciò una granata nel grembo di Becca.

      Mentre Brown scappava, Luke mollò la pistola e si buttò sulla granata. In una serie di movimenti raccolse la granata, la lanciò verso il muro opposto della stanza, fece cadere le due sedie e spinse a terra sia Becca che Gunner.

      Becca urlò.

      Luke se li tenne lì, in modo brusco, non c’era tempo per le delicatezze. Li spinse sempre più vicini, salì loro sopra, li coprì col suo corpo e con il suo giubbotto. Cercò di farli sparire.

      Per un secondo, non accadde nulla. Forse era solo un trucco. La granata era finta, e adesso l’uomo chiamato Brown avrebbe avuto la meglio su di lui. Li avrebbe uccisi tutti.

      BUUUUUM!

      Ecco l’esplosione, assordante nella stanza chiusa. Luke li tenne più vicini. Il pavimento tremò. Frammenti di metallo lo colpirono. Abbassò la testa. Gli venne lacerata la carne esposta del collo. Li coprì e li tenne fermi.

      Passò un momento. La sua famigliola tremava sotto di lui, sconvolta dallo shock e dalla paura, ma viva.

      Adesso era ora di uccidere quel bastardo. La Glock di Luke era sul pavimento accanto a lui. La afferrò e balzò in piedi. Si girò.

      C’era un enorme buco frastagliato nel muro. Attraverso di esso, Luke vedeva la luce del giorno e il cielo azzurro. Vedeva l’acqua verde scuro della baia. E vedeva che l’uomo chiamato Brown se n’era andato.

      Luke si avvicinò alla voragine da un angolo, usando i resti della parete per farsi scudo. I bordi erano un mix frastagliato di legno, cartongesso e isolamento in vetroresina a pezzi. Si aspettava di vedere un corpo a terra, possibilmente in molti pezzi sanguinolenti. No. Non c’era nessun corpo.

      Per un secondo Luke pensò di vedere uno schizzo. Forse un uomo si era tuffato nella baia ed era sparito. Luke batté le palpebre per schiarirsi la vista, poi tornò a guardare. Non ne era sicuro.

      Comunque, l’uomo chiamato Brown era sparito.

      CAPITOLO TRE

      21:03

      Bethesda Navy Medical Center – Bethesda, Maryland

      La luce del laptop sfarfallò nella semioscurità della stanza privata dell’ospedale. Luke era tutto curvo su una scomoda poltrona, a fissare lo schermo, con un paio di auricolari bianchi che lo collegavano al computer.

      Era quasi senza fiato dalla gratitudine e dal sollievo. Gli faceva male il petto per aver rantolato in cerca d’aria per le ultime quattro o cinque ore. A volte aveva pensato di piangere, ma ancora non l’aveva fatto. Magari più tardi.

      C’erano due letti nella stanza. Luke si era mosso dietro le quinte, e adesso Becca e Gunner erano distesi a letto, a dormire profondamente. Erano sotto sedativi, ma non aveva importanza. Nessuno dei due aveva dormito un secondo tra il momento in cui erano stati rapiti e quello in cui Luke era penetrato nel rifugio.

      Avevano vissuto diciotto ore di assoluto terrore. Adesso erano incoscienti. E sarebbero rimasti incoscienti per un bel po’.

      Nessuno dei due era rimasto ferito. È vero, si sarebbero portati dietro delle cicatrici emotive, ma fisicamente stavano bene. I cattivi non danneggiavano la merce. Forse c’era stata la mano di Don Morris, lì da qualche parte a proteggerli.

      Pensò un attimo a Don. Adesso che gli eventi erano terminati, sembrava giusto farlo. Don era stato il più importante mentore di Luke. Da quando a ventisette anni Luke era


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