Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2. Джек Марс

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Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2 - Джек Марс


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dall’altra parte del Chesapeake, sulla costa orientale. Dio, quel bambino…

      “Non lo so.”

      “Lascia che ti racconti una storia,” disse Don. “Quando ero un comandante della Delta, entrò in squadra un giovane uomo pieno di vita. Era appena stato giudicato idoneo. Veniva dal 75esimo dei Ranger, come te, quindi non era un novellino. Era nel giro da un po’. Ma aveva un’energia, quel ragazzo, come se per lui fosse tutto una novità. Alcuni uomini entrano nella Delta che sembrano già vecchi, persino a ventiquattro anni. Non lui.

      “Gli affidai subito una missione. All’epoca lavoravo ancora sul campo. Non avevo nemmeno cinquant’anni e i pezzi grossi del JSOC volevano mettermi dietro una scrivania, ma io non ne volevo sapere niente. Non ancora. Non avrei mandato i miei uomini in posti dove non sarei andato io stesso.

      “Ci lanciammo con il paracadute nella Repubblica Democratica del Congo. Lungo il fiume, ben lontano da qualsiasi forma di legge e ordine. Fu un lancio notturno, ovviamente, e il pilota ci fece atterrare in acqua. Strisciammo per quelle paludi tanto che sembravamo coperti di merda. C’era un signore della guerra là, che si faceva chiamare Principe Joseph. Definiva i suoi miliziani l’Esercito…”

      “L’Esercito del Paradiso,” concluse Luke. Ovvio che conoscesse quella storia. E ovvio che sapesse anche tutto della nuova recluta della Delta che Don aveva descritto.

      “Trecento soldati bambini,” riprese l’altro. “Andammo in otto, tutti soldati americani, senza supporto esterno di nessun tipo, e misi una pallottola in testa al Principe Joseph e ai suoi luogotenenti. Un’operazione perfetta. Una missione umanitaria, senza altro scopo se non quello di fare la cosa giusta. Tagliammo la testa al nemico in un colpo netto.”

      Luke prese un profano respiro. Quella notte era stata terrificante ed esilarante al tempo stesso, un’avventura al cardiopalma.

      “Le società d’aiuto internazionali intervennero per fare tutto il possibile con i bambini. Li rimpatriarono, li nutrirono, gli diedero affetto e gli insegnarono di nuovo a vivere, se era possibile. E io li tenni d’occhio. Molti di loro riuscirono a tornare nei loro villaggi natii.”

      Don sorrise. No, di più, si illuminò di gioia.

      “Il mattino seguente mi accesi un sigaro della vittoria lunga la riva del possente fiume Congo. Di quei tempi fumavo ancora. I miei uomini erano con me, e io ero orgoglioso di tutti loro, dal primo all’ultimo. Ero orgoglioso di essere americano. Ma il mio novellino era silenzioso e pensieroso. Quindi gli chiesi se stesse bene. E sai che cosa mi rispose?”

      Allora stette a Luke sorridere. Sospirò e scosse la testa. Don stava parlando di lui. “Dissi: ‘Se sto bene? Mi prende in giro? Io vivo per questo.’ Ecco cosa dissi.”

      L’uomo anziano lo indicò. “Esatto. Quindi te lo chiederò di nuovo. Vuoi questa missione?”

      Luke lo fissò per un lungo momento. Don era uno spacciatore, ecco cos’era. Vendeva sensazioni ed emozioni che si potevano ottenere in un modo soltanto.

      Nella mente gli apparve un’immagine di Becca che teneva Gunner tra le braccia. Era cambiato tutto quando era nato il bambino. Si ricordò il parto. In quel momento sua moglie era stata più bella di quanto non l’avesse mai vista.

      E volevano costruire una vita insieme, lui, Becca e il loro bambino.

      Che cosa avrebbe pensato lei di quella missione? Quando l’aveva convinta a lasciarlo partire per l’ultima, a pochi giorni dal termine della gravidanza, era stata furiosa. E quella volta avrebbe dovuto essere semplice: in teoria doveva essere solo rapido viaggio in Iraq per arrestare un tizio. Ovviamente si era trasformata in qualcosa di più grosso, un’operazione cruenta per riuscire a salvare la figlia del presidente, ma sua moglie lo aveva imparato solo a fatto compiuto.

      In quel caso avrebbe saputo fin dall’inizio come stavano le cose: Luke doveva infiltrarsi in Russia per cercare di salvare tre prigionieri. Scosse la testa.

      Non poteva assolutamente dirglielo.

      “Luke?” domandò di nuovo Don.

      Annuì. “Sì, la voglio.”

      CAPITOLO CINQUE

      3:45 p.m. Ora legale orientale

      Contea di Queen Anne, Maryland

      Sponda orientale di Chesapeake Bay

      “Sei tornato a casa presto.”

      Luke guardò la suocera, Audrey, prendendosi il suo tempo e soppesandola. La donna aveva occhi infossati dalle iridi tanto scure da sembrare quasi nere e un naso affilato come un becco. La sua ossatura era sottile e minuta. Gli ricordava un uccello, un corvo o magari un avvoltoio. E tuttavia a modo suo era attraente.

      A cinquantanove anni era ancora in forma e lui sapeva che quando era stata giovane, negli anni ’60, aveva lavorato come modella per alcuni giornali e riviste. Per quel che ne sapeva era l’unico mestiere che avesse mai avuto.

      Faceva parte della famiglia Outerbridge, facoltosi proprietari terrieri che abitavano nella zona di New York e del New Jersey da prima che gli Stati Uniti diventassero una nazione. Suo marito, Lance, veniva da una famiglia altrettanto antica e ricca, i St John, “baroni del legname” del New England.

      In generale Audrey St. John disapprovava il lavoro. Non lo capiva e in particolare non riusciva a comprendere perché qualcuno volesse fare il mestiere sporco e pericoloso che occupava le giornate di Luke Stone. Sembrava perpetuamente sbalordita che la sua stessa figlia, Rebecca St. John, avesse sposato un uomo come Luke.

      Audrey e Lance non lo avevano mai accettato come genero. Avevano avuto un’influenza tossica sulla loro relazione da molto prima che lui e Becca si sposassero. La sua presenza in casa avrebbe reso ancora più difficile parlare con la moglie della sua ultima missione.

      “Ciao, Audrey,” disse, cercando di sembrare allegro.

      Era appena entrato. Si era tolto la cravatta e aveva sbottonato i primi due bottoni della camicia, ma per il momento quelle erano state le sue uniche concessioni all’ambiente familiare. Andò al frigo e tornò con una birra gelata.

      Ormai era piena estate e il tempo era gradevole. La zona dove si trovavano era splendida. Lui e Becca vivevano nel cottage della famiglia della donna, nella contea di Queen Anne. La casa era di proprietà dei St. John da oltre un secolo.

      L’edificio era una villetta antica e in stile rustico che sorgeva su un piccolo promontorio appena sopra la baia. Erano due piani completamente in legno, che cigolavano e scricchiolavano ovunque si camminasse. La porta della cucina era a molla, e si richiudeva di scatto con energia. Aveva un portico schermato che dava sull’acqua, e una veranda in pietra più nuova con una splendida vista sul promontorio.

      Avevano iniziato ad aggiornare gradualmente il mobilio vecchio di generazioni per rendere il posto più adatto alla vita di tutti i giorni. Nel soggiorno c’erano un divano e delle poltrone nuove. Un sabato mattina, con le buone o le cattive e la pura forza bruta, Luke e Big Ed Newsam erano riusciti a trasportare un gigantesco letto matrimoniale nella camera padronale.

      Persino con quelle migliorie l’oggetto più robusto della casa era il caminetto di pietra del salotto. Era quasi come se il maestoso e vecchio focolare fosse lì dall’alba dei tempi, e qualcuno con un senso dell’umorismo vi avessi costruito intorno un piccolo cottage estivo.

      Era un posto incredibile. Luke amava vivere lì. Sì, era lontano dal suo ufficio e sì, se il lavoro nel Gruppo fosse andato bene (e pareva fosse proprio così) avrebbero dovuto trasferirsi più vicino alla città, ma per il momento? Era il paradiso. Il viaggio di novanta minuti per tornare a casa non sembrava nemmeno tanto male, vista la ricompensa finale.

      Lanciò uno sguardo fuori dalla finestra. Becca era in veranda a dar da mangiare al bambino. Luke non desiderava altro che sedersi là fuori con loro per ammirare l’acqua e il cielo, e godersi l’aria fino a quando il sole non fosse tramontato. Ma non


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