Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2. Джек Марс

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Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2 - Джек Марс


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      Luke scrollò le spalle. Anche se li sentiva ancora bene, si era quasi dimenticato del graffio sulla guancia e della mascella gonfia. Il dolore era un suo vecchio amico. Quando non era straziante, quasi non lo percepiva. In un certo senso era quasi confortante.

      Aprì la birra e prese una sorsata. Era ghiacciata e deliziosa. “Qualcosa del genere, ma avresti dovuto vedere l’altro tizio.”

      La suocera non rise. Emise un mezzo grugnito e andò al piano di sopra.

      Luke era stanco. Era già stata una giornata lunga, tra il funerale di Martinez, lo scontro con Murphy e tutto il resto. E in realtà era appena iniziata. Aveva solo un’ora da passare a casa prima di dover tornare in città, da lì prendere un aereo per la Turchia e poi, se tutto si fosse incastrato a dovere, volare fino in Russia.

      Uscì in veranda. Mentre allattava il bambino Becca sembrava un dipinto impressionista, con il maglione rosso acceso e il cappello floscio vividi contro il verde dell’erba e le lunghe pennellate azzurre del cielo e blu dell’acqua. In lontananza si vedeva un veliero a due alberi con le vele spiegate, che avanzava pigramente verso ovest. Se Luke avesse potuto premere STOP e catturare per sempre quell’istante, lo avrebbe fatto.

      La moglie alzò lo sguardo, lo vide e gli sorrise. Il suo volto gli trasmise gioia. Becca era incantevole come sempre. E un sorriso era un buon segno, in particolare di quei tempi. Magari l’oscurità della depressione post partum stava iniziando a svanire.

       Luke prese un lungo respiro, sospirò e sorrise tra sé e sé.

      “Ehi, bellissima,” la salutò.

      “Ehi, stupendo.”

      Lui si chinò per baciarla.

      “E come sta oggi il nostro ragazzo?”

      La donna annuì. “Bene. Ha dormito tre ore, mamma l’ha tenuto d’occhio quindi sono persino riuscita a fare un pisolino. Non voglio prometterti niente, ma forse il peggio potrebbe essere passato. Per lo meno lo spero.”

      Entrambi rimasero in silenzio per un po’.

      “Sei tornato a casa presto,” notò lei. Era la seconda volta in cinque minuti che glielo facevano notare. Lo prese come un brutto segno. “Come è andata la tua giornata?”

      Luke si sedette al tavolo davanti a Becca e prese un sorso di birra. Come sempre, era convinto che quando c’erano dei problemi in vista, tanto valeva arrivare subito al sodo. E se fosse riuscito a limitare in fretta i danni, forse avrebbero potuto discutere della situazione senza che Audrey intervenisse per infierire.

      “Beh, mi hanno affidato un incarico.”

      Non era esattamente la verità. Non l’aveva definita una missione, né un’operazione. Che genere di incarico era? Così sembrava che avrebbe dovuto intervistare un artigiano locale per il giornale, o magari fare un progetto per il liceo.

      Lei si mise subito sull’attenti.

      Lo fissò dritto negli occhi, cercando di capire cosa le stava dicendo. “Di che cosa si tratta?”

      Luke scrollò le spalle. “È una specie di pasticcio diplomatico. I russi hanno preso prigionieri tre archeologi americani e gli hanno confiscato un piccolo sommergibile. Erano nel Mar Nero a cercare un’antica nave greca. Sono acque internazionali ma i russi hanno pensato che fossero un po’ troppo vicini a casa loro.”

      Lo sguardo di Becca non lo lasciò nemmeno un momento. “Sono spie?”

      Lui prese un altro sorso della sua birra. Emise un suono, una secca risata. Era brava a quel gioco. Sua moglie ormai era un’esperta. Era arrivata dritta al punto.

      Scosse la testa. “Lo sai che non posso dirtelo.”

      “E tu dove dovresti andare, e a fare cosa?”

      Luke alzò le spalle. “Vado in Turchia per vedere se riusciamo a farceli ridare.” Era vero, strettamente parlando. Solo che così aveva tralasciato abbastanza dettagli da riempire un intero continente. Era un peccato d’omissione.

      Anche lei lo sapeva. “Per vedere se riusciamo a farceli ridare? Chi sarebbe questo noi?”

      Ora era una partita a scacchi. “Gli Stati Uniti d’America.”

      “Andiamo, Luke. Che cos’è che non mi stai dicendo?”

      Lui sorseggiò di nuovo la birra e si grattò la testa. “Niente di importante, tesoro. I russi hanno tre dei nostri e io devo andare in Turchia. Vogliono me perché ho esperienza in missioni legate a questo genere di evento. Se i russi sono disposti a negoziare, forse non sarò nemmeno direttamente coinvolto.”

      Alle sue spalle, la porta della veranda si chiuse con un tonfo. Per un secondo Becca guardò dietro di lui. Maledizione! Ecco che arrivava Audrey.

      All’improvviso sua moglie perse il controllo. Le si riempirono gli occhi di lacrime. No! Non poteva avere un tempismo peggiore. “Luke, l’ultima volta che sei andato all’estero ero incinta di quasi nove mesi. Dovevi andare in Iraq per arrestare qualcuno, ricordi? Un lavoro di polizia, mi pare che l’avessi definito. Ma in realtà sei andato a salvare la figlia del…”

      Lui alzò un dito. “Becca, lo sai che non è vero. Sono andato per arrestare un uomo, e quella missione è stata tranquilla…’

      Era una bugia. Un’altra. Anche l’arresto era stato un macello.

      “… la figlia del presidente dai terroristi islamici. Il tuo elicottero è caduto. Tu ed Ed avete combattuto contro dei miliziani di Al Qaeda in cima a una montagna.”

      “È successo tutto quando ormai eravamo già lì.”

      “Non sono stupida, Luke. So leggere tra le righe di un articolo sul giornale. C’era scritto che sono morti a dozzine. Significa che è stato un bagno di sangue e tu c’eri proprio in mezzo.”

      Luke alzò di nuovo la mano in maniera impercettibile, come se lei gli avesse puntato contro una minuscola pistola. Tra di loro c’era ancora il bambino, che continuava a mangiare senza una sola preoccupazione al mondo.

      “È solo un incarico, tesoro. È il mio lavoro. Don Morris…”

      Ora fu Becca a sollevare una mano per fermarlo. “Non cominciare con Don Morris. Ormai non biasimo più neanche lui. Se non volessi andare in queste missioni suicide non ti potrebbe costringere. È semplice.”

      Aveva iniziato a piangere, le sue guance erano striate di lacrime.

      “Che cosa sta succedendo?” intervenne una voce. Era eccitata. Aveva percepito il sangue nell’acqua e non vedeva l’ora di sferrare il colpo di grazia.

      “Ciao, Audrey,” disse Luke, senza nemmeno girarsi.

      Becca si alzò e tese il bambino alla madre. Abbassò lo sguardo sul marito. Era furiosa. Tutto il suo corpo tremava per la forza dei singhiozzi.

      “E se muori?” chiese. “Adesso abbiamo un figlio.”

      “Questo lo so e non morirò. Come sempre, farò molta attenzione. Anche di più, perché ora abbiamo Gunner.”

      La donna si fermò accanto alla madre, con le mani chiuse a pugno. Sembrava una bambina sul punto di iniziare a strillare nel bel mezzo del supermercato. Per contro Audrey era calma e soddisfatta. Sul suo volto aleggiava un sorriso affettato. Stava cullando il bambino tra le braccia sottili da uccello e gli tubava a voce bassa.

      “Andrà tutto bene,” insistette Luke. “Andrà tutto bene. So che sarà così.”

      Senza un’altra parola Becca si allontanò, diretta verso casa. Un istante più tardi la porta sbatté fragorosamente.

      Luke e Audrey si fissarono a vicenda. La suocera aveva lo sguardo feroce e intento di un falco. Aprì la bocca.

      Lui la fermò con un gesto della mano e uno scossone del capo. “Ti prego, non dire niente.”

      Audrey


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