La caccia di Zero. Джек Марс

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La caccia di Zero - Джек Марс


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di orrende possibilità.

      Era andato via per il weekend con un’amica. Il vicino avrebbe dovuto tenere d’occhio le sue figlie.

      Il vicino ora era morto. Le ragazze erano sparite.

      Non appena fu in cima alle scale e lontano da occhi indiscreti fece una telefonata.

      “Avresti dovuto chiamare noi per primi,” disse Cartwright a mo’ di saluto. Il vice direttore Shawn Cartwright era il capo della Divisione Attività Speciali e, in via ufficiosa, il capo di Reid alla CIA.

      L’hanno già saputo. “Come fai a saperlo?”

      “Sei controllato,” rispose l’altro uomo. “Lo siamo tutti. Ogni volta che appaiono i nostri dati nel sistema, che sia il nome, l’indirizzo, il codice fiscale, qualsiasi cosa, la chiamata viene subito mandata all’NSA. Diavolo, se prendi una multa per eccesso di velocità l’agenzia lo sa prima ancora che l’agente ti lasci andare via.”

      “Devo trovarle.” Ogni secondo che passava non faceva che pensare che non avrebbe mai più rivisto le sue figlie se non avesse iniziato a cercarle subito, in quell’istante. “Ho visto il corpo di Thompson. È morto da almeno ventiquattro ore, che gli dà un vantaggio enorme su di noi. Mi serve dell’equipaggiamento, e devo muovermi adesso.”

      Due anni prima, quando sua moglie, Kate, era morta all’improvviso per un ictus ischemico, si era sentito completamente stordito. Un senso di intorpidimento era sceso su di lui. Niente gli era più sembrato reale, come se da un momento all’altro si sarebbe potuto svegliare da quell’incubo per scoprire che era successo solo nella sua testa.

      Non le era stato vicino. Era andato a una conferenza di storia antica dell’Europa… no, non era vero. Quella era la sua storia di copertura. In realtà era stato impegnato in una missione della CIA in Bangladesh, per dare la caccia a una fazione terrorista.

      Non era stato vicino a Kate allora e adesso non c’era stato per le sue figlie.

      Ma era sicuro come l’inferno che le avrebbe ritrovate.

      “Ti aiuteremo, Zero,” gli garantì Cartwright. “Sei uno di noi e ci prendiamo cura dei nostri. Stiamo mandando dei tecnici a casa tua per aiutare la polizia nelle indagini. Si fingeranno personale della Homeland Security. La nostra scientifica è più veloce; dovremmo avere una pista sul colpevole entro…”

      “So già chi è stato,” lo interruppe Reid. “È stato lui.” Non aveva alcun dubbio su chi fosse stato, chi avesse rapito le sue figlie. “Rais.” Anche solo pronunciare quel nome ad alta voce rinnovò la sua rabbia, che gli si accese nel petto per irradiarsi in tutte le membra. Serrò i pugni per evitare che gli tremassero le mani. “L’assassino di Amun che è scappato dalla Svizzera. È stato lui.”

      Cartwright sospirò. “Zero, fino a quando non avremo prove non possiamo esserne sicuri.”

      “Io lo sono già. Lo so. Mi ha mandato una loro foto.” Aveva ricevuto l’immagine, spedita dal telefono di Sara verso quello di Maya. C’erano le sue due figlie, ancora in pigiama, strette insieme sui sedili posteriori del pick-up rubato di Thompson.

      “Kent,” disse con attenzione il vice direttore, “ti sei fatto diversi nemici. Questo non conferma…”

      “È stato lui. So che è stato lui. Quella foto è la prova che sono vive. Mi sta provocando. Chiunque altro avrebbe…” Non riuscì a costringersi a dirlo ad alta voce, ma tutti gli altri nemici che Kent Steele si era fatto nel corso della sua carriera avrebbero solo ammazzato le due ragazze per vendetta. Rais lo stava facendo perché era un fanatico convinto di essere destinato a ucciderlo. Significava che voleva farsi trovare, con un po’ di fortuna insieme alle sue figlie.

      Solo che non so se saranno ancora vive quando succederà… Si premette le mani alla fronte, come per strappare quell’idea dalla sua testa. Rimani lucido. Non devi nemmeno pensarci.

      “Zero?” lo chiamò Cartwright. “Ci sei ancora?”

      Reid tirò un sospiro per calmarsi. “Sono qui. Ascolta, dobbiamo rintracciare il pick-up di Thompson. È un modello recente, e ha un’unità GPS. E poi il rapitore ha il cellulare di una delle mie figlie. Sono certo che l’agenzia deve avere il numero.” Avrebbero potuto trovare sia il telefono che l’auto; se fossero stati nella stessa posizione e Rais non li avesse ancora abbandonati, avrebbero avuto una direzione da seguire.

      “Kent, ascolta…” cercò di dire Cartwright, ma Reid lo interruppe di nuovo.

      “Sappiamo che ci sono membri di Amun negli Stati Uniti,” continuò implacabile. Altri due terroristi avevano già inseguito le sue figlie su un pontile nel New Jersey in passato. “Quindi è possibile che ci sia una loro casa sicura da qualche parte all’interno dei nostri confini. Dovremmo contattare l’H-6 per scoprire se possono cavare qualche informazione dai loro prigionieri.” L’H-6 era la prigione segreta della CIA in Marocco, dove venivano rinchiusi i membri della associazioni terroristiche.

      “Zero…” Cartwright cercò di fermare quella conversazione a senso unico.

      “Faccio la valigia e parto tra due minuti,” gli disse Reid affrettandosi verso la sua camera da letto. Ogni momento che passava era un istante in più che le sue figlie trascorrevano lontano da lui. “Allertate il dipartimento dei Trasporti, nel caso cerchi di portarle fuori dal paese. E bisogna fare lo stesso con i porti e le stazioni dei treni. E le telecamere dell’autostrada… dovremmo accedere anche a quelle. Non appena troverete una traccia, fatemelo sapere. Mi servirà un’auto, qualcosa di veloce. E un telefono dell’agenzia, un tracker GPS, delle armi…”

      “Kent!” sbottò il vice direttore nel telefono. “Aspetta un secondo, va bene?”

      “Aspettare? Qui si tratta delle mie figlie, Cartwright. Mi servono informazioni. Ho bisogno di aiuto…”

      Il vice direttore fece un profondo sospiro, e Reid capì subito che c’era qualcosa che non andava. “Non puoi partecipare a questa operazione, agente,” gli disse. “Sei troppo coinvolto.”

      Reid gonfiò il petto, pieno di rabbia. “Di che cosa stai parlando?” chiese piano. “Di che diavolo stai parlando? Devo cercare le mie ragazze…”

      “Non puoi farlo.”

      “Sono le mie bambine…”

      “Ascoltati,” gli disse seccamente Cartwright. “Stai parlando a vanvera. Sei emotivo. È un conflitto di interesse. Non possiamo permetterlo.”

      “Lo sai che sono la persona migliore per questa missione,” sbottò Reid. Nessun altro avrebbe potuto trovare le sue figlie. Stava a lui. Doveva farlo lui.

      “Mi dispiace. Ma tendi ad attrarre il tipo sbagliato di attenzioni,” spiegò l’altro uomo, come se fosse una giustificazione. “I piani alti stanno cercando di evitare una replica di eventi passati, se vogliamo dire così.”

      Reid esitò. Sapeva perfettamente di che cosa stava parlando Cartwright, anche se non se lo ricordava. Due anni prima sua moglie, Kate, era morta, e Kent Steele aveva sepolto il suo dolore nel lavoro. Si era buttato in una caccia lunga intere settimane, interrompendo i contatti con la sua squadra per inseguire i membri di Amun per tutta l’Europa. Si era rifiutato di rientrare quando la CIA lo aveva richiamato. Non aveva ascoltato nessuno, né Maria Johansson, né il suo miglior amico, Alan Reidigger. Da quello che gli avevano detto, si era lasciato dietro un lago di sangue nella sua furia. In effetti, era principalmente per quello che il nome “Agente Zero” era bisbigliato con terrore e sdegno tra i terroristi di tutto il mondo.

      E quando la CIA ne aveva avuto abbastanza, avevano mandato qualcuno a farlo fuori. Avevano mandato Reidigger a ucciderlo. Ma Alan non lo aveva abbattuto; aveva trovato un altro modo, il soppressore sperimentale di memoria che gli aveva permesso di dimenticare la sua vita e il suo lavoro per la CIA.

      “Lo capisco. Avete paura di quello che potrei fare.”

      “Già,” concordò Cartwright. “È proprio così.”

      “E


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