La caccia di Zero. Джек Марс

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La caccia di Zero - Джек Марс


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stato tolto dal cranio, Reid si sentiva come se avesse due menti. Una era il lato logico del professor Lawson, che gli stava dicendo: Arrenditi. Fai come chiede. O altrimenti ti ritroverai in galera e non raggiungerai mai le ragazze.

      Ma l’altra parte, quella che era Kent Steele, l’agente segreto, il ribelle, l’uomo alla costante ricerca del brivido, era molto più rumorosa e gridava, sapendo quanto fosse importante ogni secondo.

      La seconda parte vinse. Reid si tese, preparandosi alla lotta.

      CAPITOLO QUATTRO

      Per quello che sembrò un momento lunghissimo nessuno si mosse, né Reid né Noles, e nemmeno i due agenti dietro il detective. Reid stringeva forte la borsa. Se avesse cercato di salire in auto e scappare, era certo che i poliziotti lo avrebbero aggredito. E sapeva che lui avrebbe reagito di conseguenza.

      All’improvviso risuonò lo stridio di freni e tutti gli occhi si rivolsero verso un SUV nero che si fermò bruscamente alla fine del vialetto, in perpendicolare rispetto al suo veicolo, bloccandolo. Emerse una figura che si avvicinò in fretta per calmare la situazione.

      Watson? quasi sbottò Reid.

      John Watson era un agente operativo come lui, un uomo afro-americano alto e dall’espressione sempre impassibile. Aveva il braccio destro sospeso da una fasciatura blu; solo il giorno prima era stato colpito da un proiettile durante l’operazione per impedire ai radicali islamici di rilasciare il virus.

      “Detective.” Watson salutò Noles con cenno del capo. “Sono l’agente Hopkins, del dipartimento dell’Homeland Security.” Con la mano sana gli mostrò un distintivo convincente. “Quest’uomo deve venire con me.”

      Il detective si accigliò. La tensione del momento era evaporata, ed era stata sostituita dalla confusione. “Come dice? Homeland Security?”

      L’agente afro-americano annuì severamente. “Crediamo che il rapimento abbia a che fare con un’indagine in corso. Ho bisogno che il signor Lawson venga con me, subito.”

      “Ora aspetti un momento.” Noles scosse la testa, ancora perplesso dall’improvvisa intrusione e dalla rapida spiegazione. “Non può intromettersi così e prendere…”

      “Quest’uomo è una risorsa del dipartimento,” lo interruppe Watson. Tenne la voce bassa, come se stesse svelando un segreto, ma Reid sapeva che era una tattica della CIA. “È con il WITSEC.”

      Il detective sgranò gli occhi tanto che sembrarono sul punto di cadergli fuori dalla testa. Il WITSEC era l’acronimo del programma di protezione testimoni del Dipartimento della Giustizia americano. Ma Reid non disse nulla; si limitò a incrociare le braccia sul petto e a lanciare uno sguardo duro al poliziotto.

      “In ogni caso…” riprese con esitazione Noles, “mi servirà qualcos’altro qui oltre a un distintivo luccicante…” Il suo cellulare cominciò a squillare all’improvviso.

      “Immagino che quella sia la conferma del mio dipartimento,” garantì Watson mentre l’altro uomo prendeva il telefono. “È meglio che risponda. Signor Lawson, la prego, da questa parte.”

      L’agente si allontanò, lasciando il detective sbalordito a balbettare nel ricevitore. Reid prese la borsa e lo seguì, ma si fermò davanti al SUV.

      “Aspetta,” disse prima che Watson salì dietro il volante. “Che sta succedendo? Dove stiamo andando?”

      “Possiamo parlare durante il viaggio, o possiamo farlo ora e perdere tempo.”

      L’unico motivo che gli veniva in mente per la presenza di Watson era che l’agenzia lo avesse mandato con lo scopo di prenderlo sotto custodia e tenerlo d’occhio.

      Scosse la testa. “Non andrò a Langley.”

      “Nemmeno io,” rispose l’altro uomo. “Sono qui per aiutarti. Sali in auto.” Si accomodò nel sedile del guidatore.

      Reid esitò per un breve istante. Doveva mettersi in strada, ma non aveva nessuna destinazione. Gli serviva una traccia. E non aveva motivo di credere che Watson gli stesse mentendo. Era uno degli agenti più onesti e leali che avesse mai incontrato.

      Salì nel sedile del passeggero accanto a lui. Con il braccio nella fasciatura, l’altro agente dovette piegare tutto il corpo per inserire la prima e girare il volante con una mano. Si misero subito in moto, superando il limite di velocità ma non abbastanza da attirare l’attenzione.

      L’uomo lanciò uno sguardo alla borsa nera in grembo a Reid. “Dove avevi intenzione di andare?”

      “Devo trovarle, John.” Gli si annebbiò la vista al pensiero delle sue due figlie là fuori, sole, nelle mani di un folle assassino.

      “Senza supporto? Disarmato e con un cellulare civile?” L’agente Watson scosse la testa. “Sai che non è una buona idea.”

      “Ho già parlato con Cartwright,” disse amareggiato Reid.

      Watson sbuffò. “Pensi che il vice direttore fosse da solo mentre parlava con te? Credi che fosse su una linea sicura, in un ufficio a Langley?”

      Lui si accigliò. “Non sono sicuro di capire. Mi stai suggerendo che Cartwright in realtà vuole che io faccia esattamente quello che mi ha detto di non fare?”

      L’altro fece spallucce, senza togliere lo sguardo dalla strada. “Più che altro sa che lo faresti in ogni caso, che lui lo voglia oppure no. Ti conosce meglio di molti altri. Per come la vede Cartwright, è meglio evitare un altro problema accertandosi che tu abbia il supporto che ti serve.”

      “E ha mandato te,” mormorò Reid. L’agente non lo confermò né lo negò, ma non era necessario. Il vice direttore sapeva che Zero avrebbe cercato le figlie; la loro conversazione era stata a uso e consumo delle altre orecchie a Langley. Tuttavia, sapendo quanto Watson fosse fissato con il protocollo, non capiva perché lo volesse aiutare. “E tu? Perché lo stai facendo?”

      L’altro uomo scrollò le spalle. “Ci sono un paio di bambine là fuori. Spaventate, sole e in mani cattive. Non mi piace molto.”

      Non era una vera risposta, e forse non era neanche tutta la verità, ma Reid sapeva che dallo stoico agente non avrebbe cavato altro.

      Non poteva evitare di pensare che in parte Cartwright avesse deciso di aiutarlo perché si sentiva in colpa. Lui gli aveva già chiesto due volte di mettere le figlie in una casa sicura, e invece il vice direttore aveva addotto scuse sulla mancanza di agenti e di risorse… e ora erano svanite.

      Avrebbe potuto evitarlo. Avrebbe potuto aiutarlo. Reid si sentì di nuovo accendere dalla rabbia e ancora una volta la soffocò. Non era il momento per quello. Adesso doveva trovare le sue figlie. Nient’altro aveva importanza.

      Le troverò. Le riprenderò. E ucciderò Rais.

      Reid fece un profondo respiro. Inalò dal naso ed espirò dalla bocca. “Quindi per ora che cosa sappiamo?”

      Watson scosse la testa. “Non molto. L’abbiamo appena scoperto, grazie alla tua telefonata alla polizia. Ma l’agenzia è già al lavoro. Dovremmo avere una pista in poco tempo.”

      “Chi ci sta lavorando? Qualcuno che conosco?”

      “Il direttore Mullen ha affidato l’indagine alle Operazioni Speciali, quindi se ne sta occupando Riker…”

      Reid si ritrovò a sbuffare di nuovo. Meno di quarantotto ore prima gli era tornato alla mente un ricordo, uno della sua vita passata come Kent Steele. Era ancora nebuloso e frammentario, ma c’entrava una cospirazione, un qualche segreto del governo. Una guerra in arrivo. Due anni prima aveva saputo di cosa si trattava—o almeno ne aveva saputo una parte—ed era stato alla ricerca di altri indizi. Nonostante la mancanza di chiarezza, era stato certo che fossero coinvolti diversi agenti della CIA.

      In cima alla lista c’era l’appena nominata vice direttrice Ashleigh Riker, capo del gruppo Operazioni Speciali. E a prescindere dalla


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