Una Ragione per Morire. Блейк Пирс

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Una Ragione per Morire - Блейк Пирс


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sta bene?” Lo interruppe Avery.

      “Per quel che ne so, sì. Ma la sto chiamando per qualcos’altro. Tanto per iniziare è in ritardo con l’affitto. Di due settimane ed è la seconda volta in tre mesi. Ho cercato di andare lì per parlargliene ma non mi ha mai risposto alla porta. E neanche al telefono.”

      “Sono sicura che non ha bisogno di me per risolvere la faccenda,” disse lei. “Rose è una donna adulta e può sopportare una sgridata del suo padrone di casa.”

      “Beh, non è solo questo. Ho ricevuto delle chiamate di una sua vicina che si lamenta di grida e pianti che vanno avanti tutta la notte. La stessa vicina dice di essere piuttosto amica di Rose e che ultimamente non è stata molto bene. A quanto pare continuerebbe a parlare di quanto tutto faccia schifo e di quanto la sua vita sia priva di senso. È preoccupata per lei.”

      “E chi sarebbe questa amica?” volle sapere Avery. Era difficile opporsi, si sentiva già scivolare in modalità detective.

      “Mi spiace, non posso dirlo. La privacy e tutta quella roba lì.”

      Avery era abbastanza certa che avesse ragione, quindi non insistette. “Capisco. Grazie per la chiamata, signor King. La chiamo subito e farò in modo che abbia il suo affitto.”

      “Va bene e grazie… ma sinceramente sono più in ansia per Rose. È una brava ragazza.”

      “Sì, lo è,” disse Avery, e chiuse la chiamata.

      A quel punto, era a meno di mezzo miglio dalla sua nuova casa. Trovò il numero di Rose e lo chiamò, premendo con più energia il piede sul pedale del gas. Credeva di sapere cosa sarebbe successo di lì a poco, ma provò un pizzico di speranza ogni volta che il telefono le squillò all’orecchio.

      Come si era aspettata, la chiamata finì nella segreteria telefonica. Rose aveva risposto a una sola delle sue telefonate da quando suo padre era stato assassinato, e quando era successo era stata incredibilmente ubriaca. Avery preferì non lasciare un messaggio, sapendo che la figlia non l’avrebbe ascoltato, né tantomeno l’avrebbe richiamata a sua volta.

      Parcheggiò nel proprio vialetto d’ingresso lasciando il motore acceso, e corse dentro per indossare una tenuta più presentabile. Fu di ritorno all’auto tre minuti più tardi, e si mise in viaggio verso Boston. Era certa che Rose sarebbe stata furiosa scoprendo che la madre era tornata in città per controllare come stava, ma Avery non vedeva altra possibilità, dopo l’appello di Gary King.

      Non appena la strada si fece più facile e con meno curve, prese velocità. Non sapeva bene cosa le avrebbe portato il futuro in termini di lavoro, ma c’era una cosa che le sarebbe mancata della sua carriera in polizia: l’abilità di superare il limite di velocità ogni volta che voleva.

      Rose era nei guai.

      Lo sentiva.

      CAPITOLO DUE

      Era appena passata l’una quando Avery arrivò alla porta di Rose. La figlia viveva in un appartamento a piano terra in una parte abbastanza decente della città. Riusciva a permetterselo grazie alle mance che prendeva lavorando come barista in un locale alla moda, un posto che aveva trovato poco dopo che Avery si era trasferita nella sua cabina. Prima ancora aveva avuto un lavoro decisamente meno gratificante: era stata cameriera in un ristorante per famiglie e aveva integrato lo stipendio correggendo bozze per una ditta pubblicitaria. Avery avrebbe voluto che si convincesse a finire il college, ma sapeva anche che più avesse insistito e meno favorevole Rose sarebbe stata a seguire i suoi consigli.

      Bussò alla porta, sapendo che la ragazza era in casa perché la sua auto era parcheggiata poco distante lungo la strada. E anche se non l’avesse notata, Avery aveva imparato che sin da quando era andata a vivere da sola, Rose aveva scelto lavori notturni per poter dormire fino a tardi e rimanere chiusa in casa tutto il giorno. Bussò con più forza quando la figlia non rispose e stava per chiamarla ad alta voce, ma decise di non farlo, immaginando di essere persino meno benvenuta del padrone di casa che lei stava cercando di evitare.

      Probabilmente ha capito che sono io perché ho provato a chiamarla prima, rifletté.

      Quindi optò per quello che sapeva fare meglio: la negoziazione.

      “Rose,” disse, continuando a bussare. “Apri. Sono la mamma. Fa freddo qua fuori.”

      Aspettò un momento ma non ricevette alcuna risposta. Invece di bussare di nuovo, si avvicinò con calma alla porta, fermandosi il più vicino possibile. Quando parlò di nuovo, la sua voce era alta abbastanza da essere udita dall’interno ma senza dare spettacolo in strada.

      “Puoi ignorarmi quanto ti pare, ma io continuerò a chiamarti, Rose. E se per caso decidessi di impegnarmi davvero, ricordati che cosa facevo di lavoro. Se volessi sapere dove sei in ogni momento, ci riuscirei. O puoi semplicemente rendere le cose più semplici ad entrambe e aprire questa maledetta porta.”

      Concluso il discorso, bussò di nuovo. Quella volta Rose le rispose dopo pochi secondi. Aprì lentamente la porta dall’altro lato e sbirciò fuori come una donna che non si fidasse di nessuno fosse dall’altro lato della soglia.

      “Che cosa vuoi, mamma?”

      “Voglio entrare solo per un minuto.”

      Rose ci pensò un istante e poi spalancò la porta. Avery fece del suo meglio per non prestare troppa attenzione al fatto che la figlia aveva perso peso. E anche molto. Si era anche tinta i capelli di nero e li aveva stirati.

      Avery entrò e trovò l’appartamento meticolosamente pulito. C’era un ukulele sul divano, l’unico oggetto che sembrava fuori posto. Avery lo indicò e le lanciò uno sguardo indagatore.

      “Volevo imparare a suonare qualcosa,” spiegò Rose. “La chitarra prende troppo tempo e i piano sono troppo costosi.”

      “Sei brava?” chiese Avery.

      “So suonare cinque accordi e posso quasi fare tutta una canzone.”

      Avery annuì, colpita. Era sul punto di chiederle di suonarle la canzone, ma forse sarebbe stato troppo. Poi pensò di sedersi sul divano, ma non voleva darle l’impressione che si stesse mettendo comoda. Era abbastanza certa che Rose non l’avrebbe invitata a farlo, comunque.

      “Sto bene, mamma,” disse la ragazza. “Se è per questo che sei qui…”

      “Infatti,” la interruppe Avery. “Ed era da un po’ che volevo parlarti. Lo so che mi odi e che mi incolpi di tutto quello che è successo. E fa schifo, ma posso conviverci. Però oggi il tuo padrone di casa mi ha chiamata.”

      “Oddio,” esclamò Rose. “Quel bastardo avido non mi vuole proprio lasciare in pace e…”

      “Vuole solo il suo affitto, Rose. Ce l’hai? Ti servono dei soldi?”

      La ragazza sbuffò in risposta. “Ho fatto trecento dollari di mance, l’altra sera,” disse. “E li raddoppio praticamente ogni sabato notte. Quindi no, non mi servono soldi.”

      “Bene. Ma… beh, dice anche che è preoccupato per te. Che ha sentito certe cose che hai detto. Ora basta cazzate, Rose. Come stai, veramente?”

      “Veramente?” ripeté la figlia. “Come sto, veramente? Beh, mi manca papà. E sono stata quasi ammazzata dallo stesso stronzo che ha ucciso lui. E anche se mi manchi a tu, non riesco a pensarti senza che mi venga in mente come è stato ucciso. Lo so che non è giusto, ma ogni volta che penso a papà e come è morto, mi viene da odiarti. E penso che da quando hai iniziato a lavorare come detective, per un motivo o per l’altro, la mia vita è stata un casino.”

      Fu difficile per Avery sentirselo dire, ma sapeva che sarebbe potuto essere molto peggio. “Riesci a dormire?” chiese. “E a mangiare? Rose… quanto peso hai perso?”

      Rose scosse la testa e cominciò a indietreggiare verso la porta. “Mi hai chiesto come stavo e ti ho risposto. Sono felice? Cazzo, no. Ma non sono il tipo da fare cose stupide,


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