Una Luce Nel Cuore Dell'Oscurità. Amy Blankenship

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Una Luce Nel Cuore Dell'Oscurità - Amy Blankenship


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esistenza, eppure quella parte di sé era rimasta latente. “Grazie, Dio, per le piccole gioie.” pensò, passandosi una mano tra i capelli mossi dal vento.

      Era contento che nessuno dei due ricordasse il passato… era un qualcosa che era meglio dimenticare. Avrebbe voluto avere lo stesso privilegio di dimenticare… invece il ricordo rimaneva e spesso lo svegliava di notte, facendogli sudare freddo.

      Uscendo dal parco si ritrovò sul sentiero di fronte al campus. Alzò lo sguardo nella direzione in cui viveva Kyoko. Si accigliò preoccupato mentre sentiva il bisogno di andare a controllare “la sua donna”.

      Kotaro aveva la parte più lunga dei capelli raccolta in una cosa bassa, mentre il resto era sempre spettinato dal vento, conferendogli l’aspetto di un teppistello punk che, tuttavia, gli si addiceva. Quell’aspetto gli era servito più di una volta, negli ultimi anni.

      Era alto e aveva muscoli esili, ma ciò poteva ingannare… non aveva un filo di grasso ed era più forte di cinquanta umani messi insieme. Le uniche persone che conoscevano la sua forza sovrumana erano quelle che decidevano di sfidarlo o che osavano ostacolarlo. E quei pochi erano troppo spaventati per dire una sola parola. Nessuno nel campus conosceva il lato segreto di Kotaro e lui voleva mantenerlo tale.

      Era responsabile della sicurezza di ogni persona che si trovava nel campus, che fosse un visitatore, uno studente o un membro della facoltà. Le sparizioni delle ragazze erano iniziate da circa un mese, ad un ritmo allarmante.

      Un ringhio cupo gli si formò nel petto mentre inspirava i profumi nell’aria. L’aria era contaminata da un odore antico… malvagio. Kotaro si stava avvicinando al responsabile di qualcosa che andava ben oltre le semplici sparizioni… lo sentiva. Mettendo da parte quei pensieri, si diresse a passo svelto verso gli appartamenti che ospitavano molti studenti universitari.

      Sarebbe andato a controllare Kyoko e, se lei glielo avesse permesso, non l’avrebbe lasciata da sola per il resto della giornata… e della notte. Sperava solo che Toya non fosse di nuovo con lei, oggi. La voleva tutta per sé. Dopotutto, lei era la sua donna e quel ragazzo avrebbe dovuto farsi una vita.

      Rallentò per un istante per l’ironia di quel pensiero… era contento che Toya almeno avesse una vita da vivere, adesso. Sorrise quasi divertito mentre lo minacciava mentalmente se non avesse smesso di perseguitare Kyoko.

      L’idea di sedere accanto a lei sul suo comodo divano, a mangiare popcorn e guardare qualche film di cattivo gusto sembrava la serata perfetta. Lo facevano almeno una volta a settimana e quello era il suo giorno preferito, il suo momento indisturbato con la bella ragazza dai capelli ramati. Non gli importava se guardavano un film o chiacchieravano semplicemente… gli piaceva sentirla rannicchiata accanto a sé.

      Kotaro sorrise compiaciuto, chiedendosi come sarebbe stato averla sempre accanto… di giorno e di notte.

      Il suo ghigno svanì con un pensiero… Kyoko non lo aveva scelto al posto di Toya, non ancora. Almeno non in questa vita. “Certe cose non cambiano mai.” si disse. Poi alzò lo sguardo al cielo come per inviare un silenzioso e sarcastico “Grazie per l’aiuto.” a chiunque lo stesse ascoltando da lassù. Qualcosa gli diceva che gli dei dovevano avere un inquietante senso dell’umorismo.

*****

      Gli esami finali erano finalmente terminati e Kyoko aveva cantato quelle parole per tutto il pomeriggio. Era stata brava e aveva studiato fino a sentirsi male, ma la fatica aveva dato i suoi frutti. Sapeva di aver superato quei terribili test. Quel pensiero le aveva fatto quasi venire voglia di tornare a casa ballando.

      In effetti, la prima cosa che aveva fatto dopo aver varcato la porta, era stata lanciare i libri come se fossero infetti e, alla fine, aveva ceduto all’impulso… aveva improvvisato una danza della felicità proprio lì, sulla porta.

      Poi aveva ripetuto dei passi che aveva visto fare a Toya una volta, e si era diretta verso il bagno continuando a scuotere il sedere. Aveva deciso di fare un bagno caldo e di farlo come si deve, perciò accese lo stereo e prese delle candele.

      Mentre la vasca si riempiva, continuava a canticchiare per la vittoria e iniziò a spogliarsi lanciando i vestiti per aria. “Molto probabilmente troverò qualcosa appeso al ventilatore, dopo.” pensò tra sé, poi scrollò le spalle ed entrò in acqua.

      Scivolò giù, lasciando che le bolle le accarezzassero il collo e le spalle. I suoi occhi verde smeraldo, che a volte diventavano burrascosi in un istante, brillavano di contentezza.

      I suoi capelli erano raccolti in modo spettinato e la sua pelle setosa era nascosta dalla schiuma. Si sentiva felice e tutto quello che voleva fare davvero era rilassarsi per il resto della giornata. Un po’ di musica soft in sottofondo, alcune candele profumate accese in tutto il bagno ed ecco l’ambiente perfetto.

      Chiuse gli occhi, sapendo che avrebbe rivisto presto la sua immagine… come se la stesse aspettando. Quello era un suo segreto.

      Gli occhi color ghiaccio la guardavano nella sua mente. Lo sognava così tante volte, di notte, che adesso lo vedeva anche di giorno. Più sprofondava nel sogno, più diventava reale finché non le sembrò che lui fosse davvero lì… inginocchiato accanto alla vasca.

      Lui accennò un sorrisetto sensuale mentre allungava una mano per toglierle l’asciugamano… i suoi occhi erano luminosi come una fiamma blu.

      «I sogni sono belli.» sussurrò lei, girando la testa per lasciargli fare ciò che voleva.

      «Drin drin!» uno dei suoni più fastidiosi al mondo echeggiò in tutto l’appartamento. Kyoko scattò in avanti, facendo scivolare l’acqua fuori dal bordo e sul pavimento. Sfiorandosi la guancia, sentì il calore e arrossì mentre il telefono continuava a squillare.

      «Accidenti!» si alzò subito, sapendo che il telefono era in soggiorno. Afferrò la vestaglia di seta e se la infilò mentre correva a rispondere.

      Rendendosi conto di aver lasciato una scia d’acqua, si appuntò di ricordarsi di portare il cordless in bagno, la prossima volta.

      Dall’altro capo del telefono, Suki tamburellava con le dita sul ripiano della cucina, augurandosi che Kyoko si sbrigasse a rispondere. Aveva la fastidiosa sensazione che Shinbe sarebbe stato lì da un momento all’altro e non voleva fargli sapere quello che stava pianificando.

      Udì un “clic” ed esclamò: «Era ora!».

      Kyoko scostò il telefono dall’orecchio e lo guardò storto, poi lo riavvicinò. «Suki, ero nella vasca!» si lamentò, guardando con nostalgia la porta del bagno, dove l’acqua calda e il profumo di gelsomino la stavano ancora aspettando. La invitavano a tornare di là… e anche il sogno. Si morse il labbro inferiore mentre distoglieva lo sguardo.

      «Sei nuda?» le chiese Suki ridacchiando, sapendo che arrossiva facilmente.

      «Suki!» gridò Kyoko. La sua amica aveva un senso dell’umorismo distorto, probabilmente passava troppo tempo con Shinbe. Sorrise maliziosamente mentre rispondeva: «Ti serviva qualcosa? Perché ho un bagno caldo e pieno di vapore che mi chiama e tu stai interrompendo il mio appuntamento.».

      «Appuntamento?» chiese Suki alzando gli occhi al cielo, «Tu hai bisogno di aiuto, Kyoko. Chi è che farebbe un bagno romantico da solo? Usa almeno un pizzico di immaginazione e pensa a un uomo sexy che ti lava la schiena.», poi sospirò, ignara di quanto si avvicinassero alla realtà le sue parole. «Comunque, stasera usciamo per festeggiare la fine degli esami.» continuò, «Non accetto un “no” come risposta, perciò inizia a prepararti. E metti le cose che abbiamo comprato la settimana scorsa.». Suki inspirò profondamente e riprese subito prima che Kyoko potesse dire qualcosa: «Preparati per le sette e mezza. Ti voglio bene. Ciaooo!».

      Kyoko rimase a bocca aperta quando la linea cadde, avrebbe voluto dire “no” alla prima occasione ma non ne aveva avuto il tempo. Lanciò un’occhiataccia verso la parete del soggiorno che divideva i loro appartamenti, chiedendosi se Suki avesse chiamato da lì o fosse in giro.

      Vide l’identificativo del chiamante e sospirò: «Cellulare, ovviamente.». Sfondare il muro non sarebbe servito, allora. Tuttavia, l’idea di strozzarla con le sue stesse mani la fece sorridere. «Posso inventare una scusa, però.» si disse e, lanciando il cordless sul bancone,


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