Il Killer di Halloween. Блейк Пирс

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Il Killer di Halloween - Блейк Пирс


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alla colazione.

      “Questo non è giusto” Jilly sbottò. “Non ho mai fatto dolcetto o scherzetto in vita mia. Sarò decisamente più vecchia l’anno prossimo. Questa sarà la mia ultima occasione.”

      Riley si rattristò a quelle parole. “Non hai mai fatto dolcetto o scherzetto?”

      Jilly alzò le spalle e disse lamentosamente: “Quando avrei avuto anche solo una possibilità di fare una cosa simile?”

      April aggiunse: “Sai che sta dicendo la verità, mamma.”

      In realtà, Riley ne era sicura: non lo aveva mai fatto prima.

      Jilly era entrata nella sua famiglia soltanto di recente. L’ottobre precedente, si trovava ancora affidata ai servizi sociali a Phoenix e, prima ancora, aveva trascorso la propria infanzia con un padre violento. Riley aveva perfezionato le pratiche dell’adozione a luglio, dandole una vita più normale, ma sapeva che Jilly non aveva fatto molte cose, a quanto sembrava, andare in giro a fare dolcetto o scherzetto.

      Jilly fece di nuovo spallucce. “Non lo so. Non posso andarci da sola?”

      Riley rabbrividì leggermente alla sola idea.

      “Assolutamente no” rispose. “Può essere pericoloso per i ragazzini che vanno in giro da soli a fare dolcetto o scherzetto. Devi andarci con qualcuno più grande. Forse può pensarci April.”

      April sgranò gli occhi, allarmata.

      “Non porto Jilly proprio da nessuna parte!” disse. “Devo andare a una festa!”

      “Che festa?” Riley chiese.

      “A casa di Scarlet Gray” April rispose. “Sono sicura di avertene parlato.”

      “E io invece sono sicura che non l’hai fatto” Riley disse. “Ad ogni modo, non andrai ad alcuna festa. Sei ancora in punizione.”

      April roteò gli occhi. “Dio, resterò in punizione per il resto della mia vita?”

      “Solo fino al Ringraziamento” fu la risposta della madre. “Ci siamo accordate così.”

      “Oh, perfetto” April esclamò, infilzando la colazione con una forchetta. “Sono in punizione ed accompagno mia sorella minore a fare dolcetto o scherzetto. Non ha proprio senso.”

      “Non deve avere senso” Riley disse severamente. “Sono io che faccio le regole.”

      Riley intravide Gabriela annuire con saggia approvazione. La tarchiata e seria governante le aveva insegnato a dire “sono io che faccio le regole”, tempo addietro, quando Riley si era dimostrata troppo permissiva con le ragazze. Spesso sembrava che Gabriela fosse più genitore con April e Jilly di quanto sapesse essere Riley stessa, che le era profondamente grata per la sua presenza.

      “Benissimo” Riley disse a Jilly, “puoi avere i soldi per il tuo costume da zombie. Ma dovremo ancora discutere dei dettagli, prima che tu vada.”

      Jilly sembrò perfettamente felice a quelle parole, mentre April sembrava tristissima. Ma, almeno, la questione era chiarita. Dopo aver finito la colazione in silenzio, Riley si trovò a pensare che il giorno del Ringraziamento era davvero vicino, e la sua energica figlia maggiore non sarebbe più stata in punizione.

      Ciò che April aveva fatto era davvero grave. Tempo addietro, in estate, Riley aveva acquistato una pistola per lei, sicura che la sua figlia maggiore avrebbe gestito l’arma con responsabilità.

      Ma la fiducia di Riley era stata mal riposta. Non solo April non si era assicurata di aver scaricato l’arma, dopo averla portata a casa dal poligono di tiro, ma aveva fatto cadere l’arma, mentre provava a portarla via dalla camera di Riley. Riley poteva ancora sentire lo sparo riecheggiare attraverso la casa. E, soltanto di recente, aveva riparato i buchi nelle due pareti, causati dal proiettile.

      Abbiamo avuto fortuna che nessuno si sia fatto male, o sia rimasto ucciso, Riley pensò. Provava gratitudine e sollievo per questo, quando, ogni singolo giorno dall’episodio, ci ripensava.

      Si chiedeva se fosse il caso di prolungare la punizione di April, forse fino a Natale e Capodanno. Ma era troppo tardi per cambiare idea. Doveva essere coerente. Gabriela l’aveva aiutata ad imparare quella lezione.

      Riley guardò dalla finestra le ragazze che, uscite da casa, si dirigevano alla fermata dell’autobus. Si ritrovò a pensare a quanto odiasse Halloween, senza comprenderne il motivo.

      Forse era turbata dall’idea dei ragazzini che vagavano in giro fingendosi mostri. Dopo anni trascorsi a lavorare come agente del BAU, Riley aveva imparato da tempo che il mondo era fin troppo pieno di mostri veri. Le sembrava in un certo senso perverso andare in giro a fingersi mostri soltanto per divertimento.

      Naturalmente, ad Halloween, i bambini si travestivano anche da personaggi positivi, come i supereroi per esempio. Ma a Riley non piaceva neanche quello. A suo modo di vedere, il mondo aveva bisogno di eroi veri, non fasulli in mantelli e calzamaglie. Inoltre avrebbero dovuto esserci più persone che sapessero essere eroiche nelle piccole cose della vita.

      Come mandare i figli a scuola, Riley pensò con un sorriso, mentre April e Jilly svoltavano un angolo, sparendo così alla vista.

      La verità era che l’essere impegnata nella lotta al crimine non le era mai sembrata un’attività eroica. I compiti quotidiani di madre spesso sembravano molto più ardui rispetto a liberare il mondo da veri mostri umani. Quei malvagi spesso potevano essere catturati, ponendo fine alla loro furia. Il lavoro di genitore, invece, non si interrompeva mai e richiedeva uno sforzo incessante.

      Non che io sia un’eroina nel fare la mamma.

      Ma almeno era riuscita a far sì che le figlie facessero colazione, uscissero di casa e andassero a scuola quella mattina. Senza alcun incarico immediato al BAU, si era presa la giornata libera.

      Ed aveva dei piani speciali.

      Sorrise al solo pensiero …

      Un appuntamento.

      Le sembrava strano usare quel termine, considerando in particolare chi avrebbe incontrato a pranzo. Ma una relazione importante nella sua vita aveva preso una piega inaspettata recentemente. E ora …

      Ci frequentiamo, direi.

      Era contenta di avere il resto della mattina a disposizione per prepararsi.

      Entrata nella sua stanza, prese il cellulare dal comodino e vide che aveva ricevuto un messaggio vocale.

      Ascoltandolo sentì una familiare voce, roca e profonda.

      “Ehi, Agente Paige. Sono Van Roff. Mi chiami.”

      Avvertì insieme aspettativa e preoccupazione. Dal tono della voce dell’uomo, non sembrava affatto che avesse buone notizie.

      La domanda era: Riley voleva sentire ciò che aveva da dirle al momento?

      Sedette sul letto e guardò il cellulare, provando a decidere se richiamarlo oppure no.

      Van Roff era un analista tecnico nell’ufficio dell’FBI di Seattle. Riley aveva lavorato in passato con quel tecnico informatico, brillante e sovrappeso, un nerd, talvolta anche andando oltre le regole. Aveva imparato che Van era intenzionato ad aggirare e persino infrangere le regole, di tanto in tanto, specialmente se il problema in questione lo interessava.

      Doveva essere una di quelle volte.

      Riley sospirò ricordando il modo in cui la sua ex partner Jenn Roston fosse sparita durante l’ultimo caso a cui avevano lavorato insieme, lasciandosi alle spalle un messaggio criptico che non spiegava proprio alcunché:

      Riley,

      mi dispiace.

      Jenn

      Era stato un terribile shock, ed aveva messo Riley nei guai con il suo capo, Brent Meredith, che sospettava giustamente che la stessa Riley ne sapesse di più al riguardo, di quanto lasciasse a intendere.

      Jenn aveva confidato a Riley di essere stata cresciuta da una inquietante madre adottiva, che si faceva chiamare “zia


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