Quasi morta. Блейк Пирс

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Quasi morta - Блейк Пирс


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affacciava su un giardino e un cortile, con una fontana ornamentale al centro.

      Osservando dall’altra parte dello stesso, riuscì a vedere le finestre delle camere delle bimbe, e a dire il vero, nella luce del tardo pomeriggio, vide la testa scura di una bambina seduta alla scrivania, impegnata con i compiti. Dato che le bambine portavano la stessa coda di cavallo e avevano un’altezza molto simile, non riuscì a capire chi fosse esattamente, perché il retro della sedia copriva il vestito, che l’avrebbe invece aiutata a scoprirlo. Ciononostante, era buona cosa il fatto che potesse vederle anche dalla sua camera lontana.

      Cassie voleva fare tutto il giro del ferro di cavallo e conoscere meglio le bambine, così da poter essere certa di partire col piede giusto.

      Le bambine, però, stavano facendo i compiti, e poi sarebbero uscite con la madre, perciò avrebbe dovuto attendere.

      Allora Cassie si occupò dei bagagli e si assicurò che la stanza e l’armadio fossero in ordine.

      La sig.ra Rossi non le aveva chiesto se assumeva qualche tipo di medicinale, perciò Cassie non le aveva parlato delle pillole per l’ansia che la mantenevano stabile.

      Mise i flaconi lontano dalla vista, in fondo al cassetto del comodino.

      Cassie non si era aspettata di passare la prima sera da sola; si diresse verso la cucina e cercò nei cassetti finché non trovò i menù.

      Il frigorifero era pieno di cibo, ma Cassie non sapeva se fosse riservato per pasti futuri, e non c’era nessuno a cui chiedere. Tutto il personale, compresa la cameriera che l’aveva aiutata, sembrava aver terminato il turno per quel giorno. Si sentì a disagio e strana al pensiero di ordinare del cibo per se stessa sul conto della famiglia la sua prima sera, ma decise che sarebbe stato meglio seguire le indicazioni della sig.ra Rossi.

      C’era un telefono in cucina, perciò chiamò uno dei ristoranti della zona e ordinò una lasagna e una Coca Light. La cena arrivò mezz’ora più tardi. Non volendo sedersi a mangiare nella sala da pranzo formale, Cassie esplorò un po’. L’area al piano terra aveva molte piccole stanze, e una di loro, che lei ritenne essere una sala da pranzo per bambini, aveva un piccolo tavolo con quattro sedie.

      Si sedette lì e mangiò il suo cibo, mentre studiava il frasario di italiano. Poi, esausta per gli eventi della giornata, andò a letto.

      Proprio prima che si addormentasse, il suo telefono vibrò.

      Era l’amichevole barista dell’ostello.

      “Ehi Cassie! Penso di essermi ricordato dove lavorava Jax. Il nome del paese è Bellagio. Tengo le dita incrociate e spero ti sia d’aiuto!”

      Cassie si sentì invasa dalla speranza leggendo quelle parole. Questo era il paese – il paese esatto – in cui sua sorella aveva vissuto. Aveva lavorato lì? Cassie sperò che si fosse fermata in un albergo o in un ostello, perché in quel modo avrebbe potuto rintracciarla. Avrebbe iniziato le sue indagini appena avesse avuto il tempo, e Cassie era sicura che avrebbe ottenuto risultati.

      Com’era quel paese? Il nome sembrava affascinante. Perché Jacqui aveva deciso di fermarsi proprio lì?

      C’erano così tante domande che le passavano per la mente, e Cassie impiegò molto più di quanto pensasse ad addormentarsi.

      Quando finalmente ci riuscì, sognò di essere in quel paese. Era pittoresco e scenografico, con terrazzamenti sinuosi ed edifici con mattoni a vista. Camminando per la strada, chiese a un passante “Dove posso trovare mia sorella?”

      “È là!” L’uomo indicò la collina.

      Mentre camminava, Cassie iniziò a domandarsi cosa vi fosse lassù. Sembrava lontanissimo da tutto. Cosa ci faceva Jacqui là? Perché non era andata incontro a Cassie, dato che sapeva che sua sorella era in paese?

      Infine, senza fiato, raggiunse la cima della collina, ma la torre era scomparsa, e tutto ciò che poteva vedere era un enorme lago scuro. La sua acqua torbida colpiva le rive di scura pietra friabile che lo circondavano.

      “Eccomi”.

      “Dove?”

      La voce sembrava provenire da molto lontano.

      “Sei arrivata troppo tardi”, bisbigliò Jacqui, con la voce rauca e colma di tristezza. “Papà è arrivato prima”.

      Inorridita, Cassie si sporse e guardò verso il basso.

      Ecco Jacqui, distesa sul fondo della fredda acqua scura.

      I capelli le giravano intorno e gli arti erano bianchi e senza vita, appoggiati come alghe sulle rocce affilate, mentre gli occhi vacui fissavano il vuoto sopra di lei.

      “No!” urlò Cassie.

      Si rese conto che non si trattava per niente di Jacqui, e che non era in Italia. Era di nuovo in Francia, e da oltre il parapetto di pietra fissava il corpo disteso molto più in basso. Non si trattava di un sogno, ma di un ricordo. Si sentì oppressa dalle vertigini, e afferrò la pietra, terrorizzata all’idea di cadere, perché si sentiva talmente debole e impotente.

      “Ecco a cosa servono i papà. Questo è ciò che fanno”.

      La voce canzonatoria proveniva da dietro di lei, e Cassie si girò, vacillando.

      Eccolo lì, l’uomo che le aveva mentito e l’aveva ingannata, e aveva distrutto la sua autostima. Ma non stava guardando suo padre. Era Ryan Ellis, il suo datore di lavoro in Inghilterra, con la faccia distorta dalla felicità.

      “È ciò che fanno i papà”, bisbigliò. “Feriscono. Distruggono. Non sei stata brava abbastanza, e ora è il tuo turno. È ciò che fanno”.

      La sua mano tesa le afferrò la maglietta e spinse con tutta la sua forza.

      Cassie urlò in preda al terrore quando sentì che le stava scivolando la presa, con la pietra che le sfuggiva dalle mani.

      Stava cadendo, cadendo.

      E poi atterrò, sedendosi, prendendo fiato, col sudore freddo che le faceva venire i brividi, nonostante l’enorme stanza fosse calda.

      La configurazione della camera non le era familiare; annaspò per un po’ di tempo prima di riuscire a trovare il comodino e poi, finalmente, l’interruttore della luce.

      Lo accese e si sedette, volendo una conferma disperata del fatto che l’incubo fosse finito.

      Era nel grosso letto matrimoniale, con la testiera decorata in metallo. Dall’altro lato della stanza c’era l’enorme finestra con le tende dorate chiuse.

      Alla sua destra vi era la porta della camera, e sulla sinistra quella del bagno. La scrivania, la sedia, il frigo bar, l’armadio, era tutto come lo ricordava.

      Cassie esalò un profondo respiro, rassicurata dal fatto di non essere più intrappolata dentro al suo sogno.

      Anche se era ancora buio, erano già le sette e un quarto del mattino. Con un sussulto, si ricordò di non aver ricevuto alcuna istruzione in merito a cosa dovessero fare le bambine. Oppure le aveva avute, ma se ne era scordata? La sig.ra Rossi aveva detto qualcosa riguardo la scuola?

      Cassie scosse la testa. Non riusciva a ricordare nulla e non pensava che le avesse detto niente in merito agli orari.

      Scese dal letto e si vestì in fretta. Nel bagno, domò le sue onde rosse, dandogli un aspetto ordinato, che sperò fosse accettabile in questa casa incentrata sulla moda.

      Mentre si guardava allo specchio, sentì un rumore provenire dall’esterno.

      Cassie rimase immobile ad ascoltare.

      Riuscì a udire il suono di passi leggeri, che grattavano la ghiaia. Il vetro ghiacciato della finestra del bagno si affacciava all’esterno, verso il cancello.

      Era un addetto del personale della cucina?

      Cassie aprì la finestra e sbirciò fuori.

      Nell’oscuro grigiore della mattina presto, vide una figura ricoperta di nero che si muoveva con cautela intorno alla casa. Mentre fissava, stupefatta, identificò la figura di un uomo con un cappuccio nero che trasportava un piccolo zainetto scuro. Lo vide solo per un secondo,


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