Nel Segno Del Leone. Stefano Vignaroli

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Nel Segno Del Leone - Stefano Vignaroli


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a lui fino a divenire un gigante, che lo accusava di averlo lasciato morire tra i flutti. E si risvegliava in un bagno di sudore, rendendosi conto di aver dormito solo per pochi istanti. Quando giunse il servo incaricato della sveglia, provò quasi sollievo nel potersi alzare. Era ancora buio fuori, ma dalla finestra poteva intravedere il trealberi alla fonda illuminato dalla biancastra luce di una luna quasi piena. Il servitore lo aiutò a indossare una leggera armatura, costituita da un corpetto in maglia a rete metallica con rinforzi più compatti alle spalle, agli avambracci e al collo. Sopra l’armatura, un mantello di raso dal colore metà rosso e metà giallo. Nella parte gialla il disegno del leone di San Marco, in quella rossa il leone rampante coronato.

      «Queste vesti non riusciranno a proteggermi da un bel niente!», cominciò a lamentarsi Andrea col servitore che lo stava aiutando nella vestizione. «Una freccia in petto e addio Marchese Franciolini! E che dire delle calze? Semplici braghe di cuoio, senza neanche borchie metalliche di protezione. Passami la celata, coraggio!»

      «Niente celata, Capitano. Siete a posto così. A bordo bisogna essere leggeri, si deve avere la possibilità di muoversi agevolmente, di correre da un lato all’altro del galeone e, se necessario, arrampicarsi sugli alberi. Un’armatura come quelle che siete abituato a portare nei combattimenti terrestri vi sarebbe solo d’impaccio. Credetemi, mio Signore!»

      «Ti credo, e credo anche che non arriverò vivo a Mantova. Se non mi ucciderà il mal di mare, mi ucciderà il nemico. Sarò facile bersaglio per i pirati turchi. Mi crivelleranno di frecce e si ciberanno del mio cadavere. Ah, bel destino cui vado incontro, solo per far piacere all’amico Duca!»

      «Non dovete temere, mio Signore. Il galeone è davvero sicuro e adatto a resistere a qualsivoglia attacco da parte di altre imbarcazioni. E il Comandante Foscari sa il fatto suo. Sa governare il vascello e combattere in mare come nessun altro al mondo. Vedrete. E ora rifocillatevi. Avrete bisogno di essere in forze per affrontare il viaggio», e così dicendo batté le mani, facendo entrare nella stanza altri servi con dei vassoi.

      Il servitore che lo aveva aiutato a vestirsi, prese un calice d’argento e gli fece lavare le mani con acqua di rose. Poi lo invitò a sedere al desco. Gli altri servi poggiarono dinanzi a lui, in sequenza, tre vassoi. Nel primo vi erano delle coppe, alcune ricolme di latte d’asina, altre di succo di arance di Sicilia, altre ancora di latte di mucca fumante. Un secondo vassoio conteneva cibi dolci, pane di latte, ciambelle, biscotti, marzapani, pinocchiate, cannelloni alla crema, sfogliate, disposti in piattini ornati da larghe foglie di insalata. Il terzo vassoio era dedicato ai cibi salati, acciughe, capperi, asparagi, gamberi, accompagnati da una coppa ripiena di uova di storione allo zucchero. A parte, in alcune brocche, c’erano dei vini, dal moscatello, al trebbiano, al vino dolce fermentato. Andrea aveva paura che, una volta a bordo del galeone, tutto ciò che avrebbe avuto nello stomaco sarebbe risalito verso le sue fauci. Avrebbe vomitato tutto ciò che avesse ingerito. Ma i profumi che solleticavano le sue narici erano troppo invitanti, e così inzuppò nel latte d’asina alcuni biscotti e due ciambelle, trangugiando dietro il calice di latte di mucca caldo. Si guardò bene dal toccare i cibi salati e, soprattutto, i vini. Soddisfatto, si lasciò scappare un sonoro rutto, dopodiché si dichiarò pronto a raggiungere l’imbarcazione veneziana.

      Visto da vicino, il trealberi veneziano era davvero imponente. Andrea non aveva mai visto un vascello così grande, neanche quello dei pirati turchi affrontati più di un anno addietro. Notò con piacere come il galeone fosse molto stabile. Le onde passavano sotto lo scafo, ma la mastodontica nave, in effetti, proprio non sembrava muoversi. Al suo occhio attento non sfuggirono dei curiosi pannelli metallici, che ricoprivano in più punti le fiancate in legno dell’imbarcazione. Mentre cercava di capire a cosa servissero, la sua attenzione fu richiamata dal Capitano della nave. Tommaso De’ Foscari si stava sbracciando, facendo cenno al giovane di salire a bordo attraverso una comoda passerella disposta tra il molo e la fiancata di sinistra della nave. Non senza un po’ di timore addosso, Andrea raggiunse il ponte, salutando il suo nuovo compagno d’avventura con un inchino. Mentre porgeva al Foscari lo stendardo con il leone rampante, da issare sul pennone a far compagnia al leone di San Marco, si rese conto che stare sopra quella nave non gli procurava alcun fastidio. Il galeone era tutt'altra cosa rispetto alla cocca su cui aveva perso due dei suoi migliori compagni, il Mancino e Fiorano Santoni. I movimenti dovuti allo sciabordio delle acque sotto lo scafo non si avvertivano affatto.

      «Come vedi, mio caro Franciolino, questo trealberi è una delle migliori navi in dotazione alla flotta della Repubblica Serenissima», iniziò a spiegargli il Capitano da mar, circondandogli la spalla col suo braccio. «È una nave molto grande e pertanto è molto stabile. Ma nel contempo è anche agile e facile da manovrare. Oltre che dal vento può essere spinta, al bisogno, da due ordini di vogatori. Tra equipaggio, servi, vogatori e soldati, a bordo trovano posto più di cinquecento uomini. Quasi un esercito. E non è tutto. È una nave molto sicura. Ho notato, poco fa, come stavi rimirando le paratie metalliche sulle fiancate. Esse proteggono lo scafo dalle palle incendiarie del nemico. Al bisogno possono essere sollevate, creando una barriera ancor più alta delle mura della nave stessa e, tra una paratia e l’altra, possono essere inserite delle bocche da fuoco, bombarde in grado di lanciare proiettili esplosivi contro gli avversari. Ma c’è ancora di più. A bordo abbiamo ben cento archibugieri, uomini in grado di usare in maniera eccellente la nuova micidiale arma da fuoco inventata dai francesi. Non vedo l’ora di farti vedere questa macchina da guerra all’opera.»

      Continuando a parlare, il Capitano aveva condotto Andrea fino al ponte di comando, dove aveva preso in mano il timone, spiegando come in gergo marinaro la parte anteriore della nave venisse chiamata prua e la posteriore poppa, il lato sinistro babordo e il destro tribordo. Poi iniziò a gridare ordini ai marinai al fine di preparare la nave a salpare. Gli ordini, pronunciati in stretto gergo marinaresco, erano del tutto incomprensibili ad Andrea.

      Mollare l’ancora – Ritirare le gomene – Cazzare la randa – Mollare il pappafico – Issare le vele di trinchetto, erano tutti comandi di cui non comprendeva nel modo più assoluto il significato. In ogni caso, poteva osservare come, a ogni comando del Capitano da Mar, l’equipaggio si muovesse in maniera veloce e precisa, senza alcuna incertezza. In breve, il galeone si distaccò dal molo e prese il largo, iniziando la navigazione verso nord, con un bel vento di scirocco che gonfiava le vele al massimo. Il Foscari teneva ben saldo il timone in mano e continuava a spiegare ad Andrea ciò che stava facendo.

      «Il Mare Adriatico è un mare chiuso e anche piuttosto stretto tra le sponde italiane e quelle della Dalmazia. E quindi è abbastanza sicuro. È difficile che scoppino tempeste improvvise, come si incontrano quando si attraversa l’oceano per raggiungere il Nuovo Mondo. Ma comunque non è da sottovalutare il fatto che a volte il vento gira e diventa pericoloso. Il Garbino, il vento che spira da terra, può sollevare il mare e provocare mareggiate anche imponenti. In più esso rende faticoso governare la nave, in quanto spinge le imbarcazioni verso il largo. Come puoi vedere, noi cerchiamo sempre di navigare piuttosto al largo per evitare le secche, ma sempre in vista della costa, cosicché non perdiamo mai la rotta. Il Garbino ti può fregare, facendoti perdere di vista la linea costiera e quindi disorientando i navigatori, in particolar modo quando il cielo è nuvoloso e non ci si può orientare grazie al sole e alle stelle. L’altro vento che temiamo noi marinai è la bora, il Buriàn, che porta neve e gelo, e spira soprattutto nella stagione invernale. La bora a volte è così forte, da poter spazzar via tutto ciò che trova, compresi i marinai che si trovano sul ponte e che, se finiscono nelle acque gelide, hanno poche speranze di poter sopravvivere.»

      «Mio caro Tommaso», lo interruppe Andrea, che ormai aveva preso confidenza col suo nuovo amico. «Ti devo confessare che io sono molto timorato del mare. Non so neanche nuotare e ho avuto una bruttissima esperienza lo scorso anno al largo di Senigallia. Quindi, preferirei che tu evitassi di raccontarmi certi particolari. Già mi hai fatto venire i brividi. Se continui così, andrò in preda alla nausea e allora saranno dolori per il resto della navigazione. Oggi invece posso vedere una bella giornata, il vento che ci sta carezzando è tiepido e gradevole, e questa nave è talmente stabile che non avverto alcun malessere. Pertanto, lasciami godere questo viaggio, e raccontami magari delle tue imprese di guerriero. So che hai combattuto contro i Turchi in terra Dalmata… Ma, quella che vedo là verso la riva è la sagoma della Rocca Roveresca? Siamo già giunti


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