Nel Segno Del Leone. Stefano Vignaroli

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Nel Segno Del Leone - Stefano Vignaroli


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Andrea. C’era lo zampino del Cardinal Baldeschi, dello zio di Lucia, non poteva darsi altra spiegazione, ma ormai egli era morto e non poteva più arrecar loro alcun fastidio, come aveva fatto in passato. Il solo pensiero di quel truce personaggio gli metteva addosso i brividi. Non molto tempo era passato da quando, dopo aver sistemato tutti i suoi affari nel Montefeltro, si era congedato dai Conti di Carpegnia ed era rientrato a Jesi in una calda giornata di fine luglio. Come nella precedente occasione, rivedere le mura, le porte, le torri, i torrioni e i campanili della sua città aveva suscitato in lui emozioni difficili da contenere. Ma questa volta poteva entrare in città a testa alta, forte di un titolo nobiliare, protetto del Duca di Urbino. E a pieno diritto poteva reclamare di essere nominato Capitano del popolo e di poter convolare a giuste nozze con la sua promessa sposa.

      Dopo una breve sosta presso il palazzo paterno, giusto per darsi una rinfrescata e cambiarsi d’abito, si era precipitato verso la residenza di campagna dei Conti Baldeschi. Sapeva bene, infatti, che non avrebbe trovato Lucia nel Palazzo del Governo, né tanto meno nel Palazzo Baldeschi in Piazza San Floriano. Si era presentato alla servitù e si era fatto annunciare alla padrona di casa. Lucia si era fatta attendere un bel pezzo, ma quando aveva varcato la soglia del salone a piano terra, Andrea era rimasto colpito dalla sua fulgida bellezza, come fosse la prima volta che la vedeva. Indossava una gamurra di seta verde, che metteva in risalto i suoi lineamenti e le sue fattezze femminili. Gli occhi nocciola, al centro del viso pallido, erano quasi fissi su di lui. Erano dolci e al tempo stesso penetranti. Lo scollo del vestito mostrava con generosità le spalle e la fossetta tra i seni, la pelle chiara quasi come latte. Una collana di perle bianche le ornava il collo e l’acconciatura dei capelli era studiata per rendere giustizia al bel viso della dama. La cascata di capelli scuri era tirata indietro da una treccia che circondava la nuca, in modo tale da lasciare del tutto scoperta la fronte. Nel viso perfettamente ovale, dai lineamenti delicati, le labbra spiccavano di un vermiglio innaturale, donato dal colore ottenuto dai fiori di papavero. Le sopracciglia appena accennate e la fronte alta, spaziosa, le donavano l’aspetto di una vera Signora. Ai suoi fianchi, una per lato, le due bambine di circa sei anni, del tutto somiglianti a lei nell’aspetto, nel portamento, nelle sembianze e nell’acconciatura, la tenevano con delicatezza per mano. Le uniche differenze tra le due bimbe erano l’altezza e il colore dei capelli, una un poco più alta, longilinea e dai capelli biondi e ondulati, l’altra poco più bassa e dai capelli lisci e neri, rasati nella parte alta della testa per dare risalto all’ampiezza della fronte. Andrea aveva capito, già fin dall’altra volta in cui aveva intravisto le bimbe giocare nel giardino di quella stessa villa, che la sua figlia doveva essere la bionda. Senza nulla togliere alla moretta, era una bimba bellissima e aveva due occhi celesti proprio uguali ai suoi. Lucia aveva mandato le bimbe a sedersi su un divanetto e aveva porto la mano destra al cavaliere, che l’aveva presa tra le sue, si era inginocchiato e gliela aveva baciata.

      «Su, su! Alzatevi!», gli aveva detto Lucia, le gote che le si stavano infiammando. Sollevandosi, Andrea si era trovato con il suo viso a brevissima distanza da quello di lei. L’impulso era stato quello di avvicinare le labbra alle sue e baciarla a lungo, ma si dovette trattenere a causa della presenza della servitù, ma soprattutto delle due bimbe.

      I due rimasero così, per un po’, fissandosi negli occhi, senza proferire parola. Poi Andrea si schiarì la voce.

      «I vostri occhi nocciola. Credo di averli visti l’ultima volta dietro una celata sollevata. Eravate voi il giorno del torneo a Urbino. Ne sono sicuro. Ho riconosciuto i vostri occhi. Dello stesso colore, al mondo non ce ne sono altri. Siete voi che mi avete salvato la vita, che avete bloccato Masio. E non capisco proprio, non mi capacito di come una damigella, bella e delicata come voi, abbia avuto la forza e il coraggio di intervenire in una maniera degna di un uomo d’armi.»

      «Dovete ancora conoscermi a fondo, Messer Franciolino - o posso ancora chiamarvi Andrea? – In ogni caso, dietro la facciata di femminilità, ho saputo sempre farmi valere, anche in situazioni che richiedevano non solo forza, ma anche astuzia, cervello e ragionamento. E nessuno è mai riuscito a gabbare la qui presente Contessina Lucia Baldeschi. E vi assicuro che ci hanno provato in molti.»

      «Immagino che questi anni per voi, qui in città, non siano stati semplici. Mi hanno raccontato che vi siete assunta delle responsabilità non indifferenti. E che ve la siete cavata in maniera egregia. Mi hanno anche riferito che siete una temeraria e più di una volta vi siete avventurata in viaggi anche perigliosi, e per di più senza scorta. Una cosa davvero azzardata per una dama del vostro rango.»

      A queste parole, Lucia aveva abbassato lo sguardo, sospirando. Andrea, avendo capito di aver toccato un tasto forse dolente per la sua amata, aveva riportato il discorso su un piano diverso.

      «Certo, dopo i fatti di Urbino, mi sarei aspettato di trovarvi al mio fianco, di essere assistito dalle vostre amorevoli cure, come ai tempi del sacco di Jesi. Invece mi sono ritrovato in un castello sperduto e solitario, con la sola compagnia di due burberi Conti montanari, e di un piccolo manipolo di loro servi.»

      «Ho provveduto a che foste curato, ma non potevo rimanere nel Montefeltro. Ero giunta fin lì in incognita, solo per vedere voi. E ora che state bene, aspetto che siate voi a…»

      «Ma certo, ma certo, avete ragione appieno», e si prostrò di nuovo ai piedi della sua amata, riprendendole la mano tra le sue. «Vi chiedo umilmente scusa per essermi dilungato in inutili chiacchiere. Lo scopo della mia presenza qui è uno e uno solo. Quello di propormi come vostro sposo. È strano doverlo chiedere direttamente a voi, di solito la mano di una dama si chiede per intercessione del suo genitore, o di un suo tutore. Ma meglio così. Sono pronto a dichiararvi il mio amore immenso, e credo che anche il vostro cuore batta forte per questo cavaliere, come più volte mi avete fatto capire.»

      Lucia gli intimò di alzarsi per la seconda volta. Andrea si sollevò, continuando a tenere la mano di lei. Sentiva il profumo di acqua di rose, che lo stava facendo inebriare, quasi fosse ubriaco. Ancora una volta ebbe l’istinto di baciarla. Avvicinò con delicatezza il suo busto a quello di lei, fino a sentire la pressione dei suoi seni contro il suo torace. Le sfiorò la gota con le labbra, in un leggerissimo bacio, quasi impercettibile. Lucia si retrasse un po’.

      «E avete capito bene. Sì, sono pronta a sposarvi, a una sola condizione, che vogliate essere padre di entrambe le bimbe.»

      «E questo è scontato. Lo voglio essere. Sono due bimbe meravigliose e, a quanto vedo, già ben educate. Di questo bisogna rendervi merito.»

      «Credo che ora sia bene vi congediate. Dovrete far visita al nostro amato Vescovo, al Cardinal Ghislieri, e prendere accordi con lui per la cerimonia nuziale. Io sarò disposta ad attenermi a tutto quello che il Cardinale vorrà predisporre. Andate, ora!»

      La nave veneziana, per quanto stabile fosse, era più soggetta a movimenti di rollio e beccheggio avvicinandosi alla costa. Le manovre dovute all’attracco, inoltre, accentuavano detti movimenti, così come risvegliavano la nausea e il mal di testa di Andrea. Dalle voci dei marinai, capì che si stavano avvicinando alla Marina di Ravenna. Dalla piccola finestrella della cabina del comandante si intravedeva una fitta pineta a far da cornice alla costa. Tirandosi su dalla branda, sbatté la testa sul soffitto della cabina, che per quanto fosse una delle più alte, situata fra il secondo e il terzo ponte di poppa, era sempre più bassa rispetto alla sua altezza. Giusto mentre combatteva un conato di vomito, cercando di inghiottire la bile che risaliva dallo stomaco, entrò nella cabina il Capitano da mar.

      «Ci fermeremo qui, alla Marina di Ravenna, per alcuni giorni, al fine di rifornire la nave di viveri e munizioni. Fino al Delta del Fiume Padano occorreranno altri due giorni, poi risaliremo il Po fino a Mantova. Da qui a Mantova, il viaggio sarà molto meno agevole rispetto a ciò che è stato finora. Soprattutto la navigazione fluviale creerà non pochi problemi. Potremo trovare delle secche, dei tratti di fiumi più stretti, insomma non sarà facile giungere fino a destinazione con una nave così grande. Accetta il mio consiglio, sbarca qui. Ti farò procurare dei cavalli e una scorta. Via terra, raggiungerai Ferrara, dove sarai ospite per qualche giorno del Duca d’Este, nostra amico e alleato. Da Ferrara a Mantova la strada non è lunga. Ti invierò un messaggero non appena la nostra nave sarà giunta nella città dei Gonzaga e ci riuniremo lì.»

      Andrea fu sollevato


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