Il Travestimento Perfetto. Блейк Пирс

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Il Travestimento Perfetto - Блейк Пирс


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che sia la detective Bray,” mormorò sottovoce.

      “Grazie Paul,” disse Jessie alla guardia. “Sei stato molto di aiuto. Prometto che tratteremo con la dovuta riservatezza le informazioni ufficiose che ci hai passato.”

      Paul annuì, rimontò a bordo del suo caddy e partì proprio mentre la Bray arrivava. Da vicino Jessie notò che la donna aveva capelli biondi sottili e dall’aspetto sfibrato, occhi grigi molto stanchi e quelle che sembravano macchie di pennarello sulle punte delle dita. Anche la camicetta era macchiata e male abbottonata.

      “Karen Bray, centrale di Hollywood,” disse, porgendo la mano. “Immagino che voi siate i detective dell’HSS?”

      “Alan Trembley,” disse il collega, prendendo la mano della Bray e scuotendola vigorosamente. “Questa è la nostra profiler Jessie Hunt.”

      “So chi sei,” disse la Bray. “Cavolo, sei più famosa della Weatherly in questa città. Probabilmente hai avuto più visibilità tu di lei nel corso dell’ultimo anno.”

      “Non lo sarà più,” disse Trembley, rendendosi poi subito conto di quanto poco appropriato suonasse il suo commento. Entrambe le donne lo fissarono in silenzio per un momento, poi Jessie si ricompose.

      “A dire il vero ho dato le dimissioni dalla polizia la scorsa settimana,” disse rapidamente, sperando di salvare Trembley in corner. “Sono qui solo in veste di consulente.”

      “Sì, ho sentito anche questo,” confermò la Bray.

      “Pare che tu sia al corrente di tutto, detective Bray,” rispose Jessie. “Non so se sarei così in campana dopo aver dormito praticamente niente e aver dato una mano con, cos’era? Un progetto di arte?”

      La Bray la fissò incredula.

      “Progetto di scienze di seconda elementare, a dire il vero,” disse lentamente. “Ci abbiamo lavorato fino a dopo mezzanotte e mi sono alzata alle cinque per finirlo. Come facevi a saperlo?”

      “Che razza di profiler sarei se non fossi capace di tirare fuori un coniglio da un cappello di tanto in tanto?” disse Jessie, prima di chinarsi verso di lei e sussurrarle nell’orecchio in modo che Trembley non potesse sentire: “Immagino che poi sarebbe opportuno che facessi un salto in bagno. L’inchiostro che hai usato per il progetto ti ha macchiato la camicia, che è pure sbottonata.”

      La Bray la fissò a bocca aperta e poi si concesse un leggero sorriso.

      “Grazie. Le mamme, eh?” disse alla fine. “Ad ogni modo, mi spiace per Moses. So che eravate molto legati. Avevano tutti un enorme rispetto per quell’uomo. E mi spiace anche per il tuo compagno, Hernandez, giusto? Come sta?”

      “Grazie. Difficile a dirsi. Alcuni giorni meglio di altri, se mi spiego.”

      La Bray annuì, poi scrollò le spalle come a dire “Beh, che facciamo?” A quanto pareva la parte di conversazione dedicata ai convenevoli era conclusa.

      “Sì, ecco, immagino vorrai sapere quello che abbiamo raccolto fino ad ora.”

      “Sarebbe fantastico,” disse Trembley.

      “Non esaltatevi troppo. Non è molto.”

      CAPITOLO SETTE

      Guardarono attentamente il video di sorveglianza.

      Una videocamera posizionata in alto aveva colto l’aggressore a bordo inquadratura mentre Corinne Weatherly veniva trascinata nel reparto oggetti di scena.

      “Dopo non succede niente per un po’, fino a quest’altro punto qua,” disse la Bray, mandando avanti velocemente il video della persona che se ne andava dal set ed entrava nell’area di New York Street.

      “È tutto qua?” chiese Trembley.

      La Bray annuì. Jessie si rese conto che la detective aveva detto giusto. Se quel breve video era l’unico filmato disponibile che avevano, non gli restava certo molto su cui lavorare.

      E per di più, le immagini non erano particolarmente nitide. A peggiorare le cose, le videocamere erano montate a un’angolazione tale da rendere impossibile la valutazione di altezza, peso o corporatura generale del colpevole. Tutto quello che potevano dire era che l’assassino era completamente vestito di nero, con tanto di passamontagna.

      “Quindi l’assassino è sparito subito dopo?” chiese Jessie alla Bray.

      “Da quello che dicono le videocamere, sì. Il problema è che sono posizionate solo in aree molto frequentate. E dato che ce ne sono tante, è difficile monitorare tutti i video in tempo reale. A meno che una guardia in ufficio non guardi lo schermo giusto al momento giusto, è facile farsi sfuggire quello che succede. Quindi una persona che conosce bene il lotto e ha un’idea di come funzioni la sicurezza, soprattutto di notte, può passarla liscia molto facilmente.”

      Trembley offrì un suggerimento.

      “Magari questo significa che dovremmo sentire quelli che gestiscono la sicurezza,” disse. “Abbiamo un registro di chi era in servizio ieri notte?”

      “Siamo molto più avanti, detective,” disse la Bray. “Non solo abbiamo un registro, ma ogni agente addetto alla sicurezza è dotato di radio con GPS, così che si possano costantemente monitorare i loro spostamenti. Devono fare un controllo con l’ufficio centrale ogni quindici minuti. Abbiamo controllato tutti gli agenti che hanno fatto il turno ieri notte, e nessuno di loro era nei pressi del set 32 o della roulotte della Weatherly nell’arco di tempo in cui si è verificato il delitto.”

      “Neanche a farlo apposta,” suggerì Jessie. “Come hai detto, è come se l’assassino conoscesse l’orario più adatto per colpire.”

      “È decisamente sospetto,” confermò la Bray.

      “Com’è che non abbiamo una ripresa di quando è stata portata fuori dalla roulotte?” chiese Trembley.

      “Permettete che vi faccia vedere,” disse la Bray accompagnandoli alla roulotte della Weatherly. “E comunque ci sono un po’ di cose che dovete vedere là dentro.”

      Mentre passavano accanto a diversi membri dello staff, Jessie sentì un tizio con la voce piuttosto potente, vestito con jeans e maglietta, che brontolava che adesso almeno non avrebbero dovuto andare a fare una terapia di gruppo. Era tentata di fermarsi a chiedergli cosa intendesse dire, ma prima che potesse farlo, la Bray parlò.

      “Eccoci qui,” disse.

      Ignorando la folla di astanti, si abbassò sotto al nastro di delimitazione ed entrò all’interno della roulotte. Jessie e Trembley la seguirono. Si trovarono immediatamente catapultati in un altro mondo. L’immagine che Jessie aveva di una roulotte era di qualcosa di sudicio e temporaneo, con pareti interne rivestite di sughero e illuminazione al neon. Ma questo posto assomigliava a un appartamentino di lusso.

      Era pieno zeppo di amenità che lei mai avrebbe immaginato nel suo vecchio appartamento, o in quello di Kat. L’area soggiorno aveva una bella poltroncina sistemata accanto a una parete, di fronte a un enorme televisore. Dietro, sul retro della roulotte, c’era un letto queen-size. Lungo l’altra parete era disposta una cucina, completa di grande frigorifero e congelatore, microonde, forno e fornello.

      Subito davanti a lei c’era un bagno sorprendentemente spazioso, inclusa una doccia con una piccola seduta all’interno. Si voltò dall’altra parte per vedere la postazione per il trucco, completa di grande specchio con luci tutt’attorno. Sullo specchio era stata scritta una parola con quello che sembrava rossetto: Boatwright.

      “Cos’è quello?” chiese Jessie.

      “È una delle cose che dovete vedere,” rispose la detective Bray.

      “È quello che penso?” chiese Trembley, avvicinandosi allo specchio.

      “Dipende da cosa pensi,” gli rispose la Bray.

      “Penso che sia un nome.”

      “Il nome di chi?” chiese Jessie.

      “Se dovessi indovinare… Miller Boatwright.”

      Fece


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