I Robinson italiani. Emilio Salgari

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I Robinson italiani - Emilio Salgari


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sotto i più lieti auspici, essendo il mare tranquillissimo ed il vento favorevole.

      Già la Liguria aveva perduto di vista le coste del Borneo e s'inoltrava attraverso il mare di Sulu, compreso fra il vasto gruppo delle Filippine al nord e all'est, la lunga e sottile isola Palavan all'ovest e le sponde settentrionali del Borneo, quando una disputa violentissima, che doveva avere più tardi terribili conseguenze, scoppiò a bordo, per opera dei due turbolenti maltesi.

      Essendosi rifiutati di prendere parte alla manovra, mentre la Liguria correva delle lunghe bordate avendo il vento contrario, un bollente palermitano, stanco di vedere quei due fannulloni con le mani in tasca, perduta la pazienza, aveva lasciato andar loro due sonori scapaccioni.

      I due maltesi, più bollenti del siciliano, avevano estratti i coltelli, assassinando un catanese che era accorso in aiuto del compatriotta.

      Il capitano comparso sul ponte, attirato dalle grida dei rissanti, aveva atterrato i due furfanti con un buon colpo di manovella sapientemente applicato sui loro dorsi, poi li aveva fatti incatenare e cacciare nella sentina, per consegnarli più tardi alle autorità spagnuole di Guam.

      Pareva che tutto fosse finito, quando una sera, mentre una calma assoluta aveva immobilizzata la Liguria in mezzo al mare di Sulu, i due maltesi che si trovavano forse in possesso d'una lima, erano riusciti a evadere imbarcandosi sull'unica scialuppa che era rimasta a bordo e che secondo l'usanza delle nostre navi, era stata tenuta ormeggiata alla poppa.

      Ma questo non era tutto: i due miserabili, forse per vendicarsi del colpo di manovella del capitano, avevano dato fuoco alla dispensa e fors'anche al carico di cotoni.

      I lettori sanno il resto: la nave, due ore dopo, balzava in aria per lo scoppio delle polveri e la fumante carcassa s'inabissava sotto le onde tenebrose del mar di Sulu.

      ················

      L'orribile rimbombo era appena cessato e la pioggia di rottami incandescenti era terminata, quando in mezzo al gorgo enorme scavato dal rottame nella sua immersione, si udì ad echeggiare una voce umana.

      Ora risuonava acuta, limpida, ed ora strozzata come se la gola dell'uomo che la emetteva, volta a volta venisse bruscamente invasa dalle onde prodotte dal gorgo.

      Una forma oscura s'agitava fra la spuma, spariva un istante, poi ricompariva ed allora la si vedeva agitare le braccia con suprema energia.

      Chi era quel fortunato che ancora sopravviveva all'orrendo disastro, mentre forse tutti gli altri avevano seguito la povera nave attraverso i profondi abissi del mare?...

      La luna che allora cominciava a sorgere a fior dell'orizzonte, facendo scintillare getti d'argento fuso, permetteva di vedere quel superstite della tremenda esplosione.

      Era un marinaio giovane ancora, poichè non doveva avere più di venticinque a vent'otto anni, colla pelle del viso assai abbronzata, i lineamenti marcati, gli occhi neri e vivaci ed i capelli e la barba pure nera. Era uno di quei tipi che s'incontrano di sovente nella riviera di levante o di ponente della Liguria, veri tipi di marinai pieni d'audacia e di fuoco.

      Quantunque appena sfuggito al tremendo pericolo e solo, su quel mare che era forse abitato dai feroci pesci-cani, mostri comunissimi nelle acque della China e della Malesia, pareva tranquillo.

      Nuotava con sovrumana energia, alzandosi sulle onde per gettare all'intorno dei rapidi sguardi, e fra una battuta dei piedi e delle mani, gridava:

      — Ohe!... Da questa parte! —

      Nessuno però rispondeva alla sua voce, all'infuori dei gorgoglii delle acque ancora agitate dal gorgo scavato dalla nave. Erano adunque tutti periti, i marinai e gli ufficiali della Liguria?... Maledizione sui miserabili che avevano provocato l'incendio e l'esplosione!...

      Il marinaio avanzava sempre, cercando qualche rottame della disgraziata nave per avere almeno un punto d'appoggio, ma la luna non rischiarava ancora sufficientemente il mare: bisognava aspettare che si alzasse di più sull'orizzonte.

      Per la ventesima volta aveva lanciata la sua chiamata, quando gli parve di udire, in distanza, una voce umana.

      S'arrestò anelante, trattenendo il respiro, rovesciandosi sul dorso per mantenersi a galla, senza aver bisogno di muovere le braccia e le gambe ed ascoltò con profonda ansietà.

      No, non si era ingannato!... Dinanzi a lui, ad una distanza di tre o quattrocento metri, si udivano delle voci.

      — Dei compagni!... — esclamò, con viva emozione. — Dunque non tutti sono morti fra l'esplosione? —

      Con un colpo di tallone s'alzò su un'onda che stava per investirlo e lanciò un acuto sguardo dinanzi a sè.

      Sui flutti argentei illuminati dall'astro notturno, gli parve di scorgere due forme umane ed una massa nerastra con delle antenne tese in alto. Un grido gli irruppe dal petto:

      — Ohe!... ohe!... Aiuto, camerati! —

      Una voce limpida, acuta, che veniva dal largo, subito gli rispose:

      — Da questa parte!

      — Chi siete voi?

      — Albani e Piccolo Tonno.

      — Il signor Emilio ed il mozzo, — mormorò il marinaio. Poi alzando la voce:

      — Ed il capitano?

      — Scomparso.

      — Avete trovato un rottame?

      — L'albero maestro: affrettatevi.

      — Vengo! —

      Il marinaio nuotava sempre e con maggior vigore, consumando le sue ultime forze. Ormai, alla luce azzurrina della luna, distingueva perfettamente i suoi compagni i quali si tenevano a cavalcioni dell'albero maestro.

      Già non distava che una gomena, quando credette udire dietro di sè un tonfo ed un rauco sospiro.

      Si volse rapidamente, ma altro non vide che un fiotto di spuma che s'allargava in forma di cerchio.

      — Qualche cadavere tornato a galla? — si chiese, rabbrividendo.

      Un grido che veniva dalla parte del rottame, s'alzò sul mare:

      — Attenzione, marinaio!...

      — Cosa avete scorto? — chiese il nuotatore, con inquietudine.

      — Avete un pesce-cane alle spalle.

      — Gran Dio!...

      — Avete un coltello?

      — Il mio di manovra.

      — Tenetelo pronto: vengo in vostro soccorso! —

      S'udì un tonfo, poi balzò in aria uno sprazzo d'acqua scintillante. Il signor Emilio aveva lasciato l'albero e nuotava verso il marinaio con lena affannosa, per aiutarlo contro l'assalto dell'affamato squalo.

      Il nuotatore, in preda ad una terribile ansietà, sapendo per prova con quale formidabile nemico aveva da lottare, si era arrestato, rannicchiando le gambe per tema di sentirsele mozzare da un istante all'altro.

      Aveva però estratto dalla cintola il coltello di manovra, una specie di navaja spagnuola acuminata, taglientissima e lunga mezzo piede, arma pericolosa nelle mani d'un uomo risoluto.

      Nessun altro rumore giungeva ai suoi orecchi, però la sua ansietà cresceva di momento in momento, poichè lo squalo poteva giungergli sott'acqua e tagliarlo in due con un solo colpo di mascelle.

      Ad un tratto vide emergere bruscamente, a meno di dieci passi, una testa enorme, sotto la quale s'apriva una bocca larga quanto una botte sfondata e irta di parecchie file di denti triangolari.

      — Aiuto!... — urlò il disgraziato.

      — Non temete, — rispose una voce. — Siamo in due a combatterlo! —


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