Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

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Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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e con strepito bolle

      tanto che quel furor truovi la via;

      così murmura e stride e si corruccia

      quel mirto offeso, e al fine apre la buccia.

      28

      Onde con mesta e flebil voce uscìo

      espedita e chiarissima favella,

      e disse: — Se tu sei cortese e pio,

      come dimostri alla presenza bella,

      lieva questo animal da l'arbor mio:

      basti che 'l mio mal proprio mi flagella,

      senza altra pena, senza altro dolore

      ch'a tormentarmi ancor venga di fuore. —

      29

      Al primo suon di quella voce torse

      Ruggiero il viso, e subito levosse;

      e poi ch'uscir da l'arbore s'accorse,

      stupefatto restò più che mai fosse.

      A levarne il destrier subito corse;

      e con le guance di vergogna rosse:

      — Qual che tu sii, perdonami (dicea),

      o spirto umano, o boschereccia dea.

      30

      Il non aver saputo che s'asconda

      sotto ruvida scorza umano spirto,

      m'ha lasciato turbar la bella fronda

      e far ingiuria al tuo vivace mirto:

      ma non restar però, che non risponda

      chi tu ti sia, ch'in corpo orrido ed irto,

      con voce e razionale anima vivi;

      se da grandine il ciel sempre ti schivi.

      31

      E s'ora o mai potrò questo dispetto

      con alcun beneficio compensarte,

      per quella bella donna ti prometto,

      quella che di me tien la miglior parte,

      ch'io farò con parole e con effetto,

      ch'avrai giusta cagion di me lodarte. —

      Come Ruggiero al suo parlar fin diede,

      tremò quel mirto da la cima al piede.

      32

      Poi si vide sudar su per la scorza,

      come legno dal bosco allora tratto,

      che del fuoco venir sente la forza,

      poscia ch'invano ogni ripar gli ha fatto;

      e cominciò: — Tua cortesia mi sforza

      a discoprirti in un medesmo tratto

      ch'io fossi prima, e chi converso m'aggia

      in questo mirto in su l'amena spiaggia.

      33

      Il nome mio fu Astolfo; e paladino

      era di Francia, assai temuto in guerra:

      d'Orlando e di Rinaldo era cugino,

      la cui fama alcun termine non serra;

      e si spettava a me tutto il domìno,

      dopo il mio padre Oton, de l'Inghilterra.

      Leggiadro e bel fui sì, che di me accesi

      più d'una donna: e al fin me solo offesi.

      34

      Ritornando io da quelle isole estreme

      che da Levante il mar Indico lava,

      dopo Rinaldo ed alcun'altri insieme

      meco fur chiusi in parte oscura e cava,

      ed onde liberati le supreme

      forze n'avean del cavallier di Brava;

      vêr ponente io venìa lungo la sabbia

      che del settentrion sente la rabbia.

      35

      E come la via nostra e il duro e fello

      destin ci trasse, uscimmo una matina

      sopra la bella spiaggia, ove un castello

      siede sul mar, de la possente Alcina.

      Trovammo lei ch'uscita era di quello,

      e stava sola in ripa alla marina;

      e senza rete e senza amo traea

      tutti li pesci al lito, che volea.

      36

      Veloci vi correvano i delfini,

      vi venìa a bocca aperta il grosso tonno;

      i capidogli coi vecchi marini

      vengon turbati dal loro pigro sonno;

      muli, salpe, salmoni e coracini

      nuotano a schiere in più fretta che ponno;

      pistrici, fisiteri, orche e balene

      escon del mar con mostruose schiene.

      37

      Veggiamo una balena, la maggiore

      che mai per tutto il mar veduta fosse:

      undeci passi e più dimostra fuore

      de l'onde salse le spallacce grosse.

      Caschiamo tutti insieme in uno errore,

      perch'era ferma e che mai non si scosse:

      ch'ella sia una isoletta ci credemo,

      così distante a l'un da l'altro estremo.

      38

      Alcina i pesci uscir facea de l'acque

      con semplici parole e puri incanti.

      Con la fata Morgana Alcina nacque,

      io non so dir s'a un parto o dopo o inanti.

      Guardommi Alcina; e subito le piacque

      l'aspetto mio, come mostrò ai sembianti:

      e pensò con astuzia e con ingegno

      tormi ai compagni; e riuscì il disegno.

      39

      Ci venne incontra con allegra faccia

      con modi graziosi e riverenti,

      e disse: — Cavallier, quando vi piaccia

      far oggi meco i vostri alloggiamenti,

      io vi farò veder, ne la mia caccia,

      di tutti i pesci sorti differenti:

      chi scaglioso, chi molle e chi col pelo;

      e saran più che non ha stelle il cielo.

      40

      E volendo vedere una sirena

      che col suo dolce canto acheta il mare,

      passian di qui fin su quell'altra arena,

      dove a quest'ora suol sempre tornare. —

      E ci mostrò quella maggior balena,

      che, come io dissi, una isoletta pare.

      Io, che sempre fui troppo (e me n'incresce)

      volonteroso, andai sopra quel pesce.

      41

      Rinaldo m'accennava, e similmente

      Dudon, ch'io non v'andassi: e poco valse.

      La


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