Le avventure di Pinocchio: Storia di un burattino. Carlo Collodi

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Le avventure di Pinocchio: Storia di un burattino - Carlo Collodi


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miseria, quando è miseria davvero, la intendono tutti: anche i ragazzi.

      — Pazienza! — gridò Geppetto tutt'a un tratto rizzandosi in piedi; e infilatasi la vecchia casacca, di frustagno, tutta toppe e rimendi, uscì correndo di casa.

      Dopo poco tornò: e quando tornò, aveva in mano l'Abbecedario per il figliuolo, ma la casacca non l'aveva più. Il pover'uomo era in maniche di camicia, e fuori nevicava.

      — E la casacca, babbo?

      — L'ho venduta.

      — Perchè l'avete venduta?

      — Perchè mi faceva caldo. —

      Pinocchio capì questa risposta a volo, e non potendo frenare l'impeto del suo buon cuore, saltò al collo di Geppetto e cominciò a baciarlo per tutto il viso.

       Indice

      Smesso che fu di nevicare, Pinocchio, col suo bravo Abbecedario nuovo sotto il braccio, prese la strada che menava alla scuola: e strada facendo, fantasticava nel suo cervellino mille ragionamenti e mille castelli in aria, uno più bello dell'altro.

      E discorrendo da sè solo, diceva:

      — Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani poi imparerò a scrivere, e domani l'altro imparerò a fare i numeri. Poi, colla mia abilità, guadagnerò molti quattrini e coi primi quattrini che mi verranno in tasca, voglio subito fare al mio babbo una bella casacca di panno. Ma che dico di panno? Gliela voglio fare tutta d'argento e d'oro, e coi bottoni di brillanti. E quel pover'uomo se la merita davvero; perchè insomma, per comprarmi i libri e per farmi istruire, è rimasto in maniche di camicia.... a questi freddi! Non ci sono che i babbi che sieno capaci di certi sacrifizi!... —

      Mentre tutto commosso diceva così, gli parve di sentire in lontananza una musica di pifferi e di colpi di grancassa: pì-pì—pì, pì-pì—pì, zum, zum, zum, zum.

      Si fermò e stette in ascolto. Quei suoni venivano di fondo a una lunghissima strada traversa, che conduceva a un piccolo paesetto, fabbricato sulla spiaggia del mare.

      — Che cosa sia questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se no.... —

      E rimase lì perplesso. A ogni modo, bisognava prendere una risoluzione; o a scuola, o a sentire i pifferi.

      — Oggi anderò a sentire i pifferi, e domani a scuola. Per andare a scuola c'è sempre tempo — disse finalmente quel monello, facendo una spallucciata.

      Detto fatto, infilò giù per la strada traversa e cominciò a correre a gambe. Più correva e più sentiva distinto il suono dei pifferi e dei tonfi della grancassa: pì-pì—pì, pì—pì-pì, pì-pì—pì, zum, zum, zum, zum.

      Quand'ecco che si trovò in mezzo a una piazza tutta piena di gente, la quale si affollava intorno a un gran baraccone di legno e di tela dipinta di mille colori.

      — Che cos'è quel baraccone? — domandò Pinocchio, voltandosi a un ragazzetto che era lì del paese.

      — Leggi il cartello, che c'è scritto, e lo saprai.

      — Lo leggerei volentieri, ma per l'appunto oggi non so leggere.

      — Bravo bue! Allora te lo leggerò io. Sappi dunque che in quel cartello a lettere rosse come il fuoco, c'è scritto: Gran Teatro dei Burattini....

      — È molto che è incominciata la commedia?

      — Comincia ora.

      — E quanto si spende per entrare?

      — Quattro soldi. —

      Pinocchio che aveva addosso la febbre della curiosità, perse ogni ritegno e disse, senza vergognarsi, al ragazzetto col quale parlava:

      — Mi daresti quattro soldi fino a domani?

      — Te li darei volentieri, — gli rispose l'altro canzonandolo — ma oggi per l'appunto non te li posso dare.

      — Per quattro soldi ti vendo la mia giacchetta — gli disse allora il burattino.

      — Che vuoi che mi faccia di una giacchetta di carta fiorita? Se ci piove su, non c'è più verso di cavarsela da dosso.

      — Vuoi comprare le mie scarpe?

      — Sono buone per accendere il fuoco.

      — Quanto mi dai del berretto?

      — Bell'acquisto davvero! Un berretto di midolla di pane! C'è il caso che i topi me lo vengano a mangiare in capo! —

      — Vuoi darmi quattro soldi di quest'Abbecedario nuovo?

      Pinocchio era sulle spine. Stava lì lì per fare l'ultima offerta: ma non aveva coraggio: esitava, tentennava, pativa. Alla fine disse:

      — Vuoi darmi quattro soldi di quest'Abbecedario nuovo?

      — Io sono un ragazzo e non compro nulla dai ragazzi — gli rispose il suo piccolo interlocutore, che aveva più giudizio di lui.

      — Per quattro soldi l'Abbecedario lo prendo io — gridò un rivenditore di panni usati, che s'era trovato presente alla conversazione.

      E il libro fu venduto lì su due piedi. E pensare che quel pover'uomo di Geppetto era rimasto a casa, a tremare dal freddo in maniche di camicia, per comprare l'Abbecedario al figliuolo!

       Indice

      Quando Pinocchio entrò nel teatrino delle marionette, accadde un fatto che destò una mezza rivoluzione.

      Bisogna sapere che il sipario era tirato su, e la commedia era già incominciata.

      Sulla scena si vedevano Arlecchino e Pulcinella, che bisticciavano fra di loro e, secondo il solito, minacciavano da un momento all'altro di scambiarsi un carico di schiaffi e di bastonate.

      La platea tutta attenta, si mandava a male dalle grandi risate, nel sentire il battibecco di quei due burattini, che gestivano e si trattavano d'ogni vitupero con tanta verità, come se fossero proprio due animali ragionevoli e due persone di questo mondo.

      Quando all'improvviso, che è che non è, Arlecchino smette di recitare, e voltandosi verso il pubblico e accennando colla mano qualcuno in fondo alla platea, comincia a urlare in tono drammatico:

      — Numi del firmamento! sogno o son desto? Eppure quello laggiù è Pinocchio!...

      — È Pinocchio davvero! — grida Pulcinella.

      .... Eppure quello laggiù è Pinocchio!...

      — È proprio lui! — strilla la signora Rosaura, facendo capolino in fondo alla scena.

      — È Pinocchio! è Pinocchio! — urlarono in coro tutti i burattini, uscendo a salti fuori delle quinte.

      — È Pinocchio! È il nostro fratello Pinocchio! Evviva Pinocchio!...

      — Pinocchio, vieni quassù da me! — grida Arlecchino — vieni a gettarti fra le braccia dei tuoi fratelli di legno! —

      A questo affettuoso invito, Pinocchio spicca un salto, e di fondo alla platea va nei posti distinti; poi con un altro salto, dai posti distinti monta sulla testa del direttore d'orchestra, e di lì schizza sul palcoscenico.

      È


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