Le avventure di Pinocchio: Storia di un burattino. Carlo Collodi

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Le avventure di Pinocchio: Storia di un burattino - Carlo Collodi


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fratellanza, che Pinocchio ricevè in mezzo a tanto arruffio degli attori e delle attrici di quella compagnia drammatico-vegetale.

      Questo spettacolo era commovente, non c'è che dire: ma il pubblico della platea, vedendo che la commedia non andava più avanti, s'impazientì e prese a gridare: — Vogliamo la commedia! vogliamo la commedia! —

      Tutto fiato buttato via, perchè i burattini, invece di continuare la recita, raddoppiarono il chiasso e le grida, e, postosi Pinocchio sulle spalle, se lo portarono in trionfo ai lumi della ribalta.

      Allora uscì fuori il burattinaio, un omone così brutto, che metteva paura soltanto a guardarlo. Aveva una barbaccia nera come uno scarabocchio d'inchiostro, e tanto lunga, che gli scendeva dal mento fino a terra: basta dire che, quando camminava se la pestava coi piedi. La sua bocca era larga come un forno, i suoi occhi parevano due lanterne di vetro rosso, col lume acceso di dietro; e con le mani schioccava una grossa frusta, fatta di serpenti e di code di volpe attorcigliate insieme.

      All'apparizione inaspettata del burattinaio, ammutolirono tutti.

      All'apparizione inaspettata del burattinaio, ammutolirono tutti: nessuno fiatò più. Si sarebbe sentito volare una mosca. Quei poveri burattini, maschi e femmine, tremavano come tante foglie.

      — Perchè sei venuto a mettere lo scompiglio nel mio teatro? — domandò il burattinaio a Pinocchio, con un vocione d'Orco gravemente infreddato di testa.

      — La creda, illustrissimo, che la colpa non è stata mia!...

      — Basta così! stasera faremo i nostri conti. —

      Difatti, finita la recita della commedia, il burattinaio andò in cucina, dov'egli s'era preparato per cena un bel montone, che girava lentamente infilato nello spiede. E perchè gli mancavano le legna per finirlo di cuocere e di rosolare, chiamò Arlecchino e Pulcinella e disse loro:

      — Portatemi di qua quel burattino, che troverete attaccato al chiodo. Mi pare un burattino fatto di un legname molto asciutto, e sono sicuro che a buttarlo sul fuoco, mi darà una bellissima fiammata all'arrosto. —

      Arlecchino e Pulcinella da principio esitarono; ma impauriti da un'occhiataccia del loro padrone, obbedirono: e dopo tornarono in cucina portando sulle braccia il povero Pinocchio, il quale, divincolandosi come un'anguilla fuori dell'acqua, strillava disperatamente: — Babbo mio, salvatemi! Non voglio morire, no, non voglio morire!... —

       Indice

      Il burattinaio Mangiafoco (che questo era il suo nome) pareva un uomo spaventoso, non dico di no, specie con quella sua barbaccia nera che, a uso grembiale, gli copriva tutto il petto e tutte le gambe; ma nel fondo poi non era un cattiv'uomo. Prova ne sia, che quando vide portarsi davanti quel povero Pinocchio, che si dibatteva per ogni verso, urlando «Non voglio morire, non voglio morire!» principiò subito a commuoversi e a impietosirsi; e dopo aver resistito un bel pezzo, alla fine non ne potè più, e lasciò andare un sonorosissimo starnuto.

      A quello starnuto, Arlecchino che fino allora era stato afflitto e ripiegato come un salcio piangente, si fece tutto allegro in viso, e chinatosi verso Pinocchio gli bisbigliò sottovoce:

      — Buone nuove, fratello! Il burattinaio ha starnutito, e questo è segno che s'è mosso a compassione per te, e oramai sei salvo. —

      Perchè bisogna sapere che, mentre tutti gli uomini quando si sentono impietositi per qualcuno, o piangono, o per lo meno fanno finta di rasciugarsi gli occhi, Mangiafoco, invece, ogni volta che s'inteneriva davvero, aveva il vizio di starnutire. Era un modo come un altro, per dare a conoscere agli altri la sensibilità del suo cuore.

      Dopo avere starnutito, il burattinaio, seguitando a fare il burbero, gridò a Pinocchio:

      — Finiscila di piangere! I tuoi lamenti mi hanno messo un'uggiolina qui in fondo allo stomaco.... sento uno spasimo, che quasi quasi.... etcì, etcì! — e fece altri due starnuti.

      — Felicità! — disse Pinocchio.

      — Grazie. E il tuo babbo e la tua mamma sono sempre vivi? — domandò Mangiafoco.

      — Il babbo, sì; la mamma non l'ho mai conosciuta.

      — Chi lo sa che dispiacere sarebbe per il tuo vecchio padre, se ora ti facessi gettare fra quei carboni ardenti. Povero vecchio! lo compatisco.... etcì, etcì, etcì, — e fece altri tre starnuti.

      — Felicità! — disse Pinocchio.

      — Grazie. Del resto bisogna compatire anche me, perchè come vedi, non ho più legna per finire di cuocere quel montone arrosto, e tu, dico la verità, in questo caso mi avresti fatto un gran comodo! Ma ormai mi sono impietosito e ci vuol pazienza. Invece di te, metterò a bruciare sotto lo spiede qualche burattino della mia compagnia. Olà, giandarmi! —

      A questo comando comparvero subito due giandarmi di legno, lunghi lunghi, secchi secchi, col cappello a lucerna in testa e colla sciabola sfoderata in mano.

      — Pigliatemi lì quell'Arlecchino....

      Allora il burattinaio disse loro con voce rantolosa:

      — Pigliatemi lì quell'Arlecchino, legatelo ben bene, e poi gettatelo a bruciare sul fuoco. Io voglio che il mio montone sia arrostito bene! —

      Figuratevi il povero Arlecchino! Fu tanto il suo spavento, che le gambe gli si ripiegarono e cadde bocconi per terra.

      Pinocchio alla vista di quello spettacolo straziante, andò a gettarsi ai piedi del burattinaio, e piangendo dirottamente e bagnandogli di lacrime tutti i peli della lunghissima barba, cominciò a dire con voce supplichevole:

      — Pietà, signor Mangiafoco!...

      — Qui non ci sono signori! — replicò duramente il burattinaio.

      — Pietà, signor Cavaliere!...

      — Qui non ci sono cavalieri!

      — Pietà, signor Commendatore!

      — Qui non ci sono commendatori!

      — Pietà, Eccellenza!... —

      A sentirsi chiamare Eccellenza, il burattinaio fece subito il bocchino tondo, e diventato tutt'a un tratto più umano e più trattabile, disse a Pinocchio:

      — Ebbene, che cosa vuoi da me?

      — Vi domando grazia per il povero Arlecchino!...

      — Qui non c'è grazia che tenga. Se ho risparmiato te, bisogna che faccia mettere sul fuoco lui, perchè io voglio che il mio montone sia arrostito bene.

      — In questo caso — gridò fieramente Pinocchio, rizzandosi e gettando via il suo berretto di midolla di pane — in questo caso conosco qual è il mio dovere. Avanti, signori giandarmi! Legatemi e gettatemi là fra quelle fiamme. No, non è giusta che il povero Arlecchino, il vero amico mio, debba morire per me! —

      Queste parole, pronunziate con voce alta e con accento eroico, fecero piangere tutti i burattini che erano presenti a quella scena. Gli stessi giandarmi, sebbene fossero di legno, piangevano come due agnellini di latte.

      Mangiafoco, sul principio, rimase duro e immobile come un pezzo di ghiaccio: ma poi, adagio adagio, cominciò anche lui a commuoversi e a starnutire. E fatti quattro o cinque starnuti, aprì affettuosamente le braccia e disse a Pinocchio:

      — Tu sei un gran bravo ragazzo! Vieni qua da me, e dammi un bacio. —

      Pinocchio corse subito, e arrampicandosi come uno scoiattolo su per la barba del burattinaio, andò a posargli un bellissimo bacio sulla


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