Novelle e paesi valdostani. Giacosa Giuseppe

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Novelle e paesi valdostani - Giacosa Giuseppe


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un cannocchiale.

      —Sì? A me!

      E senza pure un secondo di esitanza, il Rosso si pose a ricaricare il fucile dopo di aver minacciato con un gesto le guardie.

      —Giù!—gridò il Balmet, e si gettò lungo e disteso sulla roccia.

      Dall'altra partì una schioppettata; il Rosso lasciò cadere l'arma, urlò un Cristo, tentò un passo verso il compagno e rotolò a terra. Le guardie, fatto il colpo, erano scomparse.

      Balmet si precipitò verso il Rosso. Era vivo ed in sensi; con uno sforzo violentissimo s'era raccolto a sedere e stava tastandosi colla destra [pg!28] il braccio e la gamba sinistra gridando: I porci! i porci! i porci! Due grossi pallettoni lo avevano colpito all'avambraccio sinistro ed alla coscia sinistra ed erano usciti tutti e due, quello del braccio rigando profondamente la carne, e quello della coscia lacerando certo qualche muscolo o qualche nervo motore. Balmet prese un pugno di neve e lo cacciò nelle ferite dopo averle denudate; il Rosso lasciava fare imprecando sempre colla stessa parola ai feritori.

      —Puoi reggerti?

      —Impossibile.

      —Come scendere?

      —Portami.

      Ma il Balmet non poteva bastare al peso, il ferito era un demonio di omaccione alto e pieno, da stancare otto braccia.

      —Aspettami.

      —Aiutami a levarmi di qui, posami là,—e indicava una macchia verde di erba nuova in basso del nevato.

      Come vi fu adagiato, il Balmet gli diede la fiaschetta dell'acquavite, un grosso pane, uno straccio di carne salata, si levò di dosso la giacca di lanaccia, gliela pose sulle spalle, gli promise che sarebbe tornato al più presto con aiuti, e via a precipizio per la più diritta.

      Era forse l'una pomeridiana. Il sole batteva [pg!29] a perpendicolo e l'aria tremava e fumava. Il nevato sudava e si squagliava in rigagnoletti, i quali saltellando per le asperità del suolo o scorrendo lisci sulla neve, rendevano mille musiche allegre, suoni metallici, mormorii sommessi di innamorati, brontolii corrucciati come di vespa rinchiusa, gorgogliavano con accenti di rabbiuzza impotente nelle strette rocciose e poi si combinavano e, come lieti di ritrovarsi dopo tanto silenzio di prigionia, acceleravano la corsa fino a precipitare in cascata di spruzzi argentini giù per qualche dirupo che serbava ancora lungo la parete la riga secca e nericcia che gli avevano lasciato le acque degli anni addietro. Qua e là, nei seni meno assiduamente percossi dal sole, un filo d'acqua tardivo e stantìo gocciolava miseramente con intermittenze di singhiozzo, ed alla prima nuvola che l'oscurasse, stagnava ad un tratto, per rilamentarsi, tornato il sole, come un fanciullo piagnucoloso.

      Nei larghi fortemente inclinati, in certi punti la terra trapelava con toni neri lucentissimi fra un nevischio diradato come una mussola; in altri luoghi ogni traccia di candore era sparita ed un'erbetta minuscola e tenerissima luccicava al sole. Il Rosso rimaneva immobile, le gambe distese sull'erba, la schiena appoggiata ad un sasso, muto nella rabbia e negli spasimi delle ferite. [pg!30] Ad ora ad ora allungava il braccio sano, raspava quel po' di neve che gli veniva fatto e mutava empiastri alla piaga; così aveva fermato il sangue. Misurando colla memoria lo spazio che lo separava dalle prime case, contava il tempo che gli rimaneva d'attesa prima che tornasse il compagno. A quest'ora è giunto all'abetaia; avrà preso per il Clapey, il terreno è sdrucciolevole, ma egli salta come un camoscio; e lo faceva qui e là e più in basso e ne seguiva la corsa, minuto per minuto, rivedendo i luoghi, richiamandosi in mente tutti i particolari della via. Come la sapeva a memoria la sua montagna; non si era mai avveduto di conoscerla tanto! Chi verrà? Questi è in casa di certo, quell'altro bettoliere sfaccendato sarà giù in Cogne briaco. E poi ci sono le donne. Ma già bisognava fare i conti larghi; la gente ha da fare, non si trovano subito tre o quattro disposti alla prima chiamata. E allora si metteva a capo fitto negli ostacoli, si lambiccava il cervello a cercarne; e forse alle prime case della gente non ce n'era; pazienza saranno un'ora, due ore di più, che importa? ne rimangono delle ore di sole!

      Provava una tenerezza immensa per gli amici e conoscenti della valle, una vivacità infantile d'affetto per gente cui non parlava da anni. Nel suo monologo silenzioso chiamava: Quel buon [pg!31] Pietro, quel buon Stefano; un Pietro ed uno Stefano che aveva minacciato di schiaffi il giorno addietro, e tirava i conti al bilancio delle sue buone azioni, ripensando i mille minuti servigi resi qua e là; ad uno aveva dato mano a levare la vacca da un burrato; un altro quando egli saliva ai camosci lo pregava di sterrargli la tura per dar da bere ai prati; e quando scendeva in Aosta, quante diverse incombenze gli fioccavano addosso! e quante volte i cacciatori suoi compagni l'avevano richiesto d'aiuto per ficcargliela alle guardie; ed egli non aveva mai rinculato.

      Era un buon diavolaccio in fin dei conti, e colla sua forza un altro sarebbe stato ben più prepotente e manesco di lui. Ma poi veniva la pagina del passivo, ed i pugni ed i calci menati senza misericordia gli facevano, ripensandoli, una sorpresa dolorosissima.

      Una volta, un marito lo aveva colto allo scuro sul fienile colla moglie, perchè egli era stato un bel pezzo di giovinotto dieci anni addietro e le donne non gli dicevano di no, e a quel marito era stata somma grazia tacere perchè lo conosceva. Che idea di fare così il galluccio su tutte le stie! Bel profitto glie ne restava. Ogni nuovo torto che si scopriva gli dava una trafittura più acuta che non facessero le ferite. Ma era un fanciullo ad accorarsi così. Egli sarebbe [pg!32] ben corso ad aiutare un altro, il primo venuto, anche un nemico quando lo avesse saputo alle sue strette. Oh come sarebbe corso! Che zelo di carità lo infervorava! Avrebbe affrontato mille pericoli per salvare un convalligiano, perchè la valle è una patria stretta e fa parentela. E poi egli era vittima delle guardie, e contro le guardie non si doveva forse dar tutti? Ogni idea che gli veniva gli durava un gran pezzo, non già che la rivolgesse per vederne il fondo o se ne compiacesse; era l'idea che stava lì ferma a martellarlo, picchiando sempre colle stesse parole, e le più testarde erano le cattive. A volte chiudeva gli occhi e pareva dormisse, poi li riapriva di scatto per guardarsi dattorno. E nessuno veniva. Che tempo era passato? Benchè i valloni fossero già scuri, la valle stava tutta sdraiata al sole come una pigra, e le acque seguitavano le loro chiacchere da comari. Ma il soffio freddo del tramonto era imminente. Egli lo vide salire, correre la vallata come un brivido febbrile. Le foreste se lo comunicavano d'una in altra, i rami verdi scuri degli abeti lontani prendevano un fuggevole riflesso argentino che li lasciava più scuri ed immobili, i fieni diventavano grigi un istante curvandosi, e si risollevavano più rigogliosi, ed il soffio passava e saliva sempre rapidissimo. Gli abeti più vicini agitarono le punte [pg!33] come volessero ricusare la notte, i prati più vicini ondeggiarono in disordine; tutti i suoni, tutte le voci della valle furono ad un tratto portati in alto da un'ondata echeggiante; il ferito ebbe un fremito gelido, e poi tornò la calma ridente di prima.

      Ma il segno era dato! Quella potente onda di suoni aveva chiusa come in un crescendo finale, la grande sinfonia diurna; il sole aveva un bel risplendere ancora, la giornata era finita. La crosta del nevato rassodandosi mandò mille piccoli scricchiolii secchi come scatti di molla, tutte le note allegre dell'acqua tacquero, tutti i rigagnoli stagnarono, la neve mutò la sua mollezza umida in durezza cristallina, e l'aria diventò fredda, tagliente, acerba come un nemico.

      Già da qualche minuto un sospetto sordo e confuso si era insinuato di mezzo ai pensieri del Rosso. Egli lo avvertiva ad un senso di amarezza acuto, ma non se ne rendeva ragione e non sapeva dargli nome nè corpo. Più che un sospetto, era una tentazione. Rifacendo il cammino che doveva seguire il Balmet, battendo mentalmente a tutti gli usci dei casolari, discutendo fra il timore e la speranza tutte le probabilità di soccorsi, era giunto a dimenticare il suo stato presente ed il dolore delle piaghe, e gli pareva di essere egli sano e disposto, che [pg!34] cercasse aiuto pel compagno ferito. Ma nella sua corsa gli tornava, con una insistenza sempre crescente, il pensiero dei tre camosci uccisi immobili laggiù sulla neve terrosa della valanga. Una bella preda per un uomo solo! Tre camosci! Chi lo impediva di nasconderli in qualche cavo di roccia, o sotto la neve, e di venir poi la notte caricarli sul ciuco ed a tirarne e serbarne tutto il profitto? Anche respingendola, quell'idea lo faceva sorridere di compiacenza. E quando il primo soffio gelato lo richiamò bruscamente alla coscienza de' suoi dolori, quell'idea non lo lasciò più un istante; ma non era sua, era del


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