Novelle e paesi valdostani. Giacosa Giuseppe
Читать онлайн книгу.signore, dalla montagna.
[pg!43] —Impossibile, l'avrei visto scendere, sono qui in vedetta da un'ora.
—Quello non passa dove passano gli altri.
—Perchè?
Ma l'oste non volle spiegarsi altrimenti; solo chiamò ad alta voce: Jacques.
Era un bell'uomo alto alto, membruto, sui trent'anni; grondava di sudore e le stille gli si incanalavano in certe rughe profonde che davano al viso un'espressione di volontà dura e travagliosa. Gran naso retto, gran bocca, una selva di capelli neri e crespi, barba di due giorni. Volli rientrare per levarlo alla brezza assiderante, ma crollò le spalle e mi disse subito:
—Lei vuole andare al Fiery e salire prima sul piccolo Cervino?
—Al piccolo Cervino ci ho rinunziato, a meno che stassera non capiti un mulattiere che mi passi la valigia per le Cime Bianche.
—La porto io.
—Allora mi ci vorrebbe una guida per il Cervino.
—Vengo io.
—Voi volete portare la mia valigia lassù?
—Quanto pesa?
—Saranno quattro miria.
—Bella roba! Mi dà quindici lire.
Il prezzo era più che discreto; ma l'amico mi [pg!44] pareva un gradasso. Gli offersi di vedere almeno la valigia, ma ne rise. Non mi piaceva.
—Voi fate la guida?
—Sicuro.
—Avete il libretto?
—No. Ho il certificato di congedo assoluto. Ero in artiglieria.
—Come vi chiamate?
—Tutto per quindici lire?
E si mise a ridere con un'aria acerba.
—Basta, il nome glie lo dico gratis. Mi chiamo Giacomo Balma. Le accomoda?
Visto che il suo ghigno non mi andava, mutò faccia subitamente e aggiunse con accento profondo:
—Tre scudi mi fanno comodo, sa; domani sera mi saprà dire se li ho meritati.
E dopo una pausa indagatrice:
—L'oste mi ha detto che lei lo conosce da un pezzo. Gli domandi pure di me. Riverisco.
E scese in cucina.
L'indomani partimmo alle tre della mattina. La mia valigia a soffietto, piena zeppa gli parve un fuscello: la portava legata con corde al dorso, come un zaino. Camminava leggiero e spedito zufolando la marcia del Flick e Flock in tempo da bersagliere. La sua andatura aveva qualche cosa d'insolito: non sapevo dire che fosse, ma [pg!45] la avvertivo dissimile dall'altre; più tardi me ne diedi conto: il suo passo non faceva rumore, sembrava sfiorare la terra. Appena avviato s'era messo a discorrere, ma fosse il sonno o il senso di disagio che mi dava la sua compagnia, non gli risposi. Tentò due o tre argomenti, poi smesse e prese a zufolare affrettando il passo. Per salire al piccolo Cervino, si passa il colle del Saint Theodule, un colle di ghiacciaio, la cui altezza rimane impressa a memoria per i quattro 3 che ne formano la cifra. È alto 3333 metri. Di solito partendo dal Giomen si sale tosto per il dorso erboso del monte e si affronta poi il ghiacciaio in alto, dov'è quasi piano e quindi meno rotto dai crepacci. Il mio uomo prese invece ad aggirare il monte nella sua falda più bassa, finchè non ebbe trovato una specie di canale inciso nella rocca viva, scabrosissimo e nudo come una lavagna; lo imboccò senza interrogarmi, e vi si inerpicava lesto come uno scoiattolo. Certo a quel modo la salita era più divertente e spedita; dove ci s'aiuta di mani e di ginocchia ed ogni passo vuol essere studiato e misurato, la mente distratta non avverte la fatica; senza contare che il lavoro compiuto appare evidente e l'altezza guadagnata vi ripaga dello sforzo. Ma in certi punti il canale era così scosceso da impensierire. Sul principio, Jacques, nei punti più [pg!46] ardui si voltava e mi porgeva la mano, ma fresco di forze avevo respinto l'aiuto, orgoglioso di cimentarmi colla dura montagna. Allora l'amico s'era messo a camminare per suo conto, abbandonandomi al mio destino. Pericolo di vita non c'era mai, ma quel vederlo su in alto mi faceva un dispetto acerbo. Certe volte, tutto intento ai miei passi, lo scordavo e quando levavo la testa seccato di trovarmi solo, il canale mi appariva vuoto fino alla cima. Dov'era andato colui? Il suo aspetto, la scelta di quella via inusata, la sua andatura, e quello scomparire misterioso, tutto ciò mi metteva in sospetto. Ero sicuro che l'oste, non mi avrebbe affidato ad un cattivo soggetto, ma questa sicurezza non bastava a tranquillarmi. Seguitavo a salire e quando levavo di nuovo la testa, eccolo un'altra volta a suo posto, ma lontano lontano e sempre incurante di me. In principio avevo pensato che in certi punti il canale divenisse impraticabile e che convenisse uscirne per ripigliarlo più sopra, ma mano mano che procedevo mi accorgevo che il passaggio c'era sempre, anzi che andava sempre facendosi più agevole. Gli gridai di fermarsi, ma bisogna dire che la mia voce non gli giungesse, perchè fu gridare al vento. Se non era della valigia, credo che me ne sarei tornato senz'altro. Finalmente lo vidi seduto a terra, aspettarmi. Lo raggiunsi di malo [pg!47] umore; il fondo quasi liscio della roccia si era fatto sdrucciolevole per una vena d'acqua, ed egli s'era fermato per darmi mano che non cadessi.
—Perchè vi allontanate? voglio avervi presso di me.
—Mi era parso che le piacesse di star solo non volevo seccarlo.
—Perchè abbandonate la strada così spesso? Che fate in giro?
—Sono della razza dei bracchi, mi piace fiutare intorno il terreno.
—Bene, ora non mi lascierete più.
—Come comanda.
Cercai di intavolare io il discorso, ma questa volta era lui che non ci mordeva. Era spuntato il sole, egli s'era levata la giacca e la portava sul braccio. Dalla cinta di cuoio gli pendeva una accetta da potatore, istrumento insolito alle guide.
—Perchè portate quell'accetta?
—La porto sempre.
—Per farne che?
—Così.
Mi guardò bene fiso e aggiunse:
—Ho anche una pistola, guardi.
Levò di saccoccia una pistola corta a due canne e me la diede avvertendomi che era carica. Fui tentato di serbarla: in montagna da noi nessuno [pg!48] cammina armato, le pistole sono un arnese di lusso destinato alle salve d'allegria in occasione di nozze. Ma pensai che, volendo farne cattivo uso, non me l'avrebbe mostrata e glie la ritornai senza far parola. Dopo un quarto d'ora di cammino, mi disse:
—Scusi, torno subito. Vada pure lei, lo raggiungerò fra due minuti.
E via per la costa. Volli levarmi di dubbio e appena fu avviato uscii dietro di lui dalla gora; lo vidi correre ad una rovina di grossi massi discosta un dieci metri; si chinò, smosse due o tre pietrone, frugando per la terra e tornò indietro. Come avvertì che lo stavo spiando, corrugò la fronte e accese lo sguardo, ma lo spianò e lo spense in un minuto.
—Sono andato a pigliare questo pane e questa crosta di formaggio che avevo riposto ieri. Io giro spesso per le montagne e vi dispongo i depositi di viveri.—Mi guardò di nuovo negli occhi e—Non crede?
No, non credevo; il pane lo avevo veduto levarselo di saccoccia e il suo turbamento al dubbio di esser sorpreso doveva pure avere una ragione. Cominciavo a sentirmi vivamente inquieto. Egli se ne accorse e diventò subito gioviale e verboso; mi conosceva, aveva domandato di me all'oste, sapeva che ero uno scrittore, come [pg!49] a dire un giornalista, che dev'essere un gran bel mestiere da guadagnare sacchi di quattrini. Lui conosceva la vita della città e leggeva sempre i giornali. Anche sapeva che avevo scritto delle opere per il teatro, un'altra miniera d'oro; ma se volevo dargli retta egli sì che me ne avrebbe raccontate delle storie, e fatti conoscere dei birbanti! Ah, loro vengono qui per il gusto di provare che cos'è la fatica? Se lo sapessero che cos'è! E quanto costa un pezzo di pane! E c'è della gente che ce lo vorrebbe rubare; ma (e si toccava in saccoccia la pistola) ma c'è qui il giudice, il giurato, il pretore,