Solo Per Uno Schiavo. Svyatoslav Albireo

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Solo Per Uno Schiavo - Svyatoslav Albireo


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dopo.

      La Bestia non aveva pace.

      “E il Cuore sarà proprio qui, tra le tue palle. Che non ti verranno tagliate solo perché Gene è più che contrario. Chissà poi perché.”

      “Ma mia Signora. Volete rinunciare a me per darmi ad altri Padroni?” chiese lo Schiavo.

      “Macché! Il tuo destino è quello di morire sotto la mia proprietà, fattene una ragione,” disse. Poi, rise. “Chi mai rinuncerebbe a te?”

      “Ma Signora. Perché mi fate scegliere, tra intestino e Cuore? Voi avrete sicuramente già deciso.”

      “Embè? Voglio che tu scelga lo stesso!” rispose la donna, senza mai smettere né di ridere né di schiacciare i testicoli -ormai martoriati- di Al.

      Al era certo che, qualsiasi cosa scegliesse, Aletta l’avrebbe obbligato a fare il contrario. Cosa scegliere, quindi, tra la padella e la brace?

      “Distruggete il mio intestino, Signora. Il mio culo diventerà il luogo più pulito dell’universo, per i miei Padroni,” disse, infine, Al. La sua cautela era quasi visibile, mentre pronunciava quelle parole.

      “Bene. Mangia,” ordinò la donna, tornando a sedersi e osservandolo.

      Lo Schiavo ripensò alle parole che aveva sentito migliaia di volte, quando si trovava ancora a Dora. Morirai qui. E invece era stato comprato da Aletta. Anche lei, talvolta, lo diceva. Ma la Bestia sperava davvero si sbagliasse. Dopotutto, le capitava -molto spesso- di parlare a vanvera. Quindi, continuò a trangugiare la sua colazione. La donna sorrise tutto il tempo. Quando finì, Al scoprì il motivo del suo buonumore. Un vibratore.

      Ecco cosa nascondeva.

      Quell’arnese era enorme. Ci aveva già a provato, ma non si adattava affatto alla Bestia. L’ultima volta lo aveva perfino tagliato. Al rabbrividì, quando la sua Padrona lo accarezzò con quel glande di gomma. Si fermò proprio sull’entrata. E lo Schiavo rabbrividì.

      “Lo riconosci? Siete vecchi amici, mi pare.”

      “Vi prego, mia Signora! Perché volete punirmi?” implorò lo Schiavo. E sembrava crederci.

      “Ma non è una punizione!” esclamò Aletta, con lo stupore più fasullo che potesse tirare fuori. “Si tratta di una ricompensa! Sborrerai fino all’ora di cena! Non sei contento?”

      Il concetto di Premio periodicamente veniva abbinato a quello di Punizione. Senza nessuna logica, ovviamente. I Padroni agivano così perché così era, punto. Un gruppo di bambini troppo cresciuti a cui piace impiccare lucertole e gattini, giusto per. Non provavano nemmeno a nasconderla, la loro natura. Capitava che il bullismo fosse talmente estremo che perfino uno Schiavo navigato come Al se ne lamentasse. Aletta lo sapeva e lo puniva di conseguenza. Sperava, in tal modo, di scacciare la Bestia.

      “Vi prego! La mia ricompensa più grande è quella di ammirarvi e stare con Voi! Non perdete tempo a ricompensarmi!” esclamò Al. Ma, in realtà, quel cambio nella routine lo interessava.

      Poi, voleva riprovarci. Chissà che quella volta sarebbe stato in grado di ingoiarlo tutto.

      Aletta rise. Era riuscita a spaventare un Dio Pagano. Poverella. Mica l’aveva capito che fingeva!

      “Alza quel culetto, da bravo,” cantilenò la Signora.

      E Al obbedì. Come sempre, i Padroni si rivelavano creature stupide. La donna tirò fuori una lama e incise lo sfintere del poveretto. Era passato del tempo, troppo tempo. E se si fosse abituato e non si fosse tagliato? Meglio prevenire. Dopo, spalmò la verga di lubricante. Quando -poi- iniziò a preparare il passaggio, Al cominciò a masturbarsi. Un disperato tentativo di alleviare il dolore. Ma la Padrona non era affatto d’accordo e gli strizzò le palle.

      “Se ti contorci, io -queste- te le strappo.”

      Lo Schiavo si bloccò. Allontanò le mani dal suo scroto e se le portò al volto. Quando la punta venne, lentamente, introdotta, urlò. Il dolore fu come lava rovente nel suo intestino. Bene.

      “Perché mai devi fare sempre queste sceneggiate ogni volta che ti infilo qualcosa in culo? Non stai mica morendo!”

      Al tremava, coperto di sudore freddo. Il dolore era acuto, fisso e pulsante. Calde lacrime gli rigarono il viso. Finalmente, qualcosa di nuovo! La donna aveva infilato quel coso tutto fino alla fine, dove lo bloccò con un plug. Poi, gli toccò il cazzo. Stranamente, era ancora duro.

      “Ma che bravo! Guarda, non ti metto nemmeno l’anello!” disse, aprendo il portatile.

      Al non si mosse. Cercò di rilassarsi, ma il dolore non accennava a diminuire. Anzi, il buco si strinse. Di conseguenza, divenne ancora più doloroso. Lo Schiavo strinse i pugni, tirandosi i capelli. Tremava tutto. Poi, vennero i singhiozzi. Dopo, si pisciò addosso. Non si era mai sentito così vivo.

      Aletta sorrise. Tutto il tempo.

      “Padrona, mia Padrona! Vi prego, basta,” pianse la Bestia, sperando di non essere ascoltato.

      “Ma che dici? La cena è ancora lontana! Goditelo!” rispose la vipera. “A meno che non ci sia qualcos’altro che catturi la mia attenzione. Sono tutti al capezzale di Amir, adesso. Io sto cercando quel nuovo bocconcino su Internet. Così verrà a giocare con noi!”

      D’improvviso, il lampo di genio. E se-?

      “Potrei punire qualcuno per Voi, Signora,” propose Al. E si sentì una merda, quando lo fece. Ma quel dolore non lo stava facendo ragionare. E quell’Efebo era troppo conturbante, per lasciarselo sfuggire.

      Aletta si voltò, di scatto, il volto illuminato dalla gioia. Uno spettacolo orribile.

      “Bello! Punirai il ragazzino in pubblico! Non ti limiterai a scopartelo a sangue, oh no, lo punirai come si deve! Voglio che lo umili nell’intimo! Ma sappi una cosa,” aggiunse, poi, maligna. “Se non ti impegnerai, se non farai del tuo meglio, se non mi piace come ti comporti, se dovesse dispiacerti per lui, povero te! Quello che stai subendo ora, ti sembrerà il Paradiso.”

      Dopo di che, gli si avvicinò. Poi, tirò fuori il vibratore. Piano piano. Al si pisciò, di nuovo, addosso.

      “Ora vai in bagno e pulisciti. Puoi riposare, almeno due orette. Tanto, quello lì, non si farà vedere prima di pranzo.”

      CAPITOLO SEI

      Tutta la Compagnia era riunita sul Ponte Superiore. Stine annuì, quasi impercettibile.

      “Okay,” disse Aletta, capendo al volo. Poi, si voltò verso Al. “Vedi quel ragazzo? Prima fila, terza sdraio. Bene, vai e colpisci. Vedi di non deludermi.”

      E Al lo vide. Aveva sperato fino all’ultimo che non si trattasse di lui. Aletta lo aveva usato altre volte, come mezzo di vendetta. Litigava con qualcuno, o qualcuno osava non leccarle il culo, e lei colpiva. Usando proprio lui. Era la sua arma. Ma in quel momento, la vittima era il suo Angelo. Tutti quei discorsi riguardavano lui. Si erano incazzati. Ma perché? Al non lo sapeva.

      Si avvicinò, col gelo nel cuore, non appena ricevuto l’ordine. Sicuramente i Padroni l’avevano già adocchiato, ancor prima che loro due si conoscessero. E come dar loro torto? Una tale bellezza non passava certo inosservata.

      Il piano era sempre uguale. Al avrebbe lusingato la vittima e quella ci sarebbe cascata con tutte le scarpe. Poi, una volta venuta a conoscenza che era tutta una finzione istigata da Aletta -e non perché Al trovasse l’oppresso di turno particolarmente attraente- l’umiliante martirio poteva cominciare.

      Ma non quella volta.

      Doveva assolutamente avvisare il ragazzo, dirgli di fuggire dalla nave. Ma come? Ormai era di fronte a lui. Che fare? Improvvisazione era la parola chiave.

      “Ciao”, esordì Al, inginocchiandosi accanto alla sdraio. Ad aprì gli occhi, restando senza fiato. Si ricordava, eccome, di cotanta magnificenza. Il suo microslip


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