Il Quadriregio. Frezzi Federico

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Il Quadriregio - Frezzi Federico


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regno mio è fatto a questo verso,

              com'io t'ho detto: or di' se vuoi venire

              o per le selve errando andar disperso. —

        115 Io era pronto e giá volea dire:

              – Io voglio, o dea, seguire il tuo consiglio

              e dietro a' piedi tuoi sempre vo' ire. —

              Ma, quando in aer su alzai il ciglio,

              vidi Venus, la quale una donzella

        120 mi mostrò lieta e Cupido suo figlio,

              non vista mai al mio parer sí bella;

              e cenno mi facían che su non gisse,

              ché fermamente mi darebbon quella.

              E parve che Cupido mi ferisse

        125 di piombo e d'oro; e con quelle due polse

              fece che allora non mi dipartisse.

              Quella del piombo il buon amor mi tolse,

              ch'avea d'Ilbina, e con quella dell'oro,

              oh lasso me! che a boschi anco mi volse.

        130 Per questo non seguii quel sacro coro;

              per questo lascia' io la compagnia,

              che mi menava all'alto concistoro.

              Risposi a Palla: – O dea, la possa mia

              non si confida e forse non può tanto

        135 che vinca i mostri e saglia sí gran via. —

              Cosí discesi di quel plaustro santo

              e giú nell'aspre selve ritornai

              intra le spine e punto d'ogni canto.

              Ratto ch'io giunsi, Venere trovai,

        140 che mi aspettava in una valle piana,

              sí bella quanto si mostrasse mai.

              Di mirto e rose e d'erba ambrosiana

              portava su la testa tre corone

              e faccia avea di dea e non umana.

        145 Ella mi disse: – Or di': per qual cagione

              volevi lasciar me e 'l mio figlio anco

              o per Minerva o per muse elicone?

              Se sí poco salendo fosti stanco,

              se tu fossi ito per quelle erte vie,

        150 saresti, andando insú, venuto manco.

              Ma, se verrai nelle contrade mie,

              le ninfe del mio regno al tuo desio

              saran condescendenti e preste e pie.

              E quella ninfa, ch'io e 'l figliuol mio

        155 t'abbiam mostrata, ancor te la prometto;

              e mezzo e guida a ciò ti sarò io.

              – O Citarea – diss'io, – a te soggetto

              sempre son stato ed anco al tuo Cupido,

              sperando aver da voi alcun diletto;

        160 onde per tue parole mi confido

              la bella ninfa aver, che mi mostrasti,

              e, ciò sperando, dietro a te mi guido

      per questi lochi sí spinosi e guasti. —

      CAPITOLO XIII

      Come l'autore trova una ninfa chiamata Taura, la quale gli rende ragione di molti fenomeni.

              Appena eravamo iti un miglio e mezzo,

              ch'io vidi in una valle una donzella

              sotto una quercia, che si stava al rezzo.

              Io andai a lei e dissi: – O ninfa bella,

          5 di qual reame se'? O dolce dama,

              deh, fammi cortesia di tua favella,

              e dimmi il nome tuo come si chiama.

              Cosí soletta senza compagnia

              aspetti tu alcun, che forse t'ama? —

         10 Ella si volse e riverenzia pria

              fece alla dea; e poi cosí rispose

              alle parol della domanda mia.

              – Del van Cupido saette amorose

              giammai sentii; ed egli mi dispiace

         15 e suoi costumi e sue caduche cose.

              Dall'alto regno, che a Vulcan soggiace,

              son io venuta all'ombra a mio diletto,

              ché starsi al fresco alle sue ninfe piace.

              Se vuoi saper come il mio nome è detto,

         20 Taura son chiamata e qui dimoro

              a questo orezzo e nullo amante aspetto.

              E spesso l'altre ninfe del mio coro

              vengono qui e vanno quinci a spasso

              con vestimenti e con corone d'oro.

         25 Ma tu chi se' e dove movi il passo? —

              Ed io risposi: – L'amor m'ha condutto

              per questo loco faticoso e lasso.

              Chi sono e donde vengo a dirti il tutto

              sarebbe lungo: io gusto ora l'amaro,

         30 sperando di fatica dolce frutto.

              Se la dea assente, io prego, fammi chiaro:

              o ninfa bella, volentier domando,

              perché io so poco e domandando imparo.

              Però, mentr'io sto teco dimorando,

         35 dimmi del regno, che Vulcan nutríca

              sotto il suo freno e sotto il suo comando.

              Il tuo dolce parlare anche mi dica

              del loco ov'egli sta, s'egli ti done

              che piú dell'altre ninfe a lui sie amica.

         4 °Cupido


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