Il Mostro A Tre Braccia E I Satanassi Di Torino. Guido Pagliarino

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Il Mostro A Tre Braccia E I Satanassi Di Torino - Guido Pagliarino


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lo chiamavo Vittorio.

      "Benissimo. Le volanti son tutte occupate. Perciò ti prendi due uomini in divisa e con la nostra auto di servizio corri in via" – aveva scandito – "Cot-to-len-go. La conosci via Cottolengo, no? Ditta Mostro le Antichità. Ha telefonato 'na femmina che stanno, let-te-ral-men-te! ammazzandosi di botte. Il pranzo te lo fai dopo."

      Avevamo inserito la sirena della nostra Alfa Romeo 1900 senza contrassegni e l’avevamo tenuta fin all'ultimo, sperando che il suo urlo in avvicinamento intimorisse i violenti e li facesse desistere prima d'un possibile epilogo tragico.

      Il negozio, un ampio oscuro magazzino al dettaglio e all'ingrosso di mobili e soprammobili usati, era prossimo alla piazzetta del Balon1, il mercatino delle pulci di Torino.

      "Polizia!" Prestavo servizio in borghese, ma essendo i due colleghi in divisa non avevo mostrato il tesserino. Un uomo sanguinante, il viso tumefatto, giaceva a terra supino, privo di conoscenza e forse moribondo. Qualcosa si agitava stranamente sotto la sua camicia. Avevo guardato con stupore quel movimento sul suo petto e avevo pensato che gli fosse uscito il cuore e continuasse a battere esposto sotto l'indumento anche se, come presto avrei realizzato, era un'idea assurda. A semicerchio attorno al morente stavano ferme, come indifferenti, quattro persone.

      "Cosa fate?! Le belle statuine? Chi è costui? e voi chi siete?"

      "Il padrone; e noi siamo i magazzinieri", aveva risposto una ragazza per tutti.

      "L'avete già chiamata, l'ambulanza?"

      "N...no", aveva balbettato.

      "Lei chi è?"

      "Mariangela."

      "Potrei denunciarvi per omissione di soccorso, lo sapete?!" Avevo chiesto a uno dei miei di chiamare un'autoambulanza per telefono, quindi avevo identificato i quattro. Si trattava d’un uomo grande e grosso sulla trentina, un certo Alfonso, torinese, dal viso lungo pallidissimo e denti cavallini, che portava la fede nuziale, e di tre signorine sui diciassette, diciott'anni, tutte del sud, della prima immigrazione, e tutte molto belle, Mariangela, Jolanda e Annunziata, bionde ma, come denunciavano le loro sopracciglia e gli occhi neri, certamente tinte.

      Era giunta l'ambulanza, che aveva condotto il ferito al vicino Ospedale Istituto della Carità Cristiana. Avevo mandato un mio uomo assieme alla vittima, nel caso avesse ripreso conoscenza e pronunciato qualcosa a proposito dell’aggressione: inutilmente, come avrei saputo.

      Avevo ordinato ai magazzinieri di narrarmi i fatti. M’avevano risposto sovrapponendo le voci; perciò li avevo interrogati singolarmente. Era stata Mariangela a telefonarci; come m'aveva testimoniato per prima, un omone, mai visto prima, aveva fatto irruzione improvvisamente dalla strada, urlando rosso in viso: "Dov'è il mostro da baraccone? Vieni fuori, porco!" A gran passi era arrivato all'ufficio del titolare, Tarcisio Benvenuto, in quel momento seduto alla scrivania a fare conti. Qui aveva cominciato senz'altre parole a prenderlo a pugni. Il proprietario, riuscendo a schermirsi con le braccia, aveva potuto alzarsi dalla sedia e scappare fin quasi all'uscita del negozio, sotto una tempesta di calci nel sedere, ma prima che potesse fuggire nella via l'altro l'aveva afferrato con la destra per il bavero e, tenendolo schiacciato contro il mobile della cassa, gli aveva mollato col pugno sinistro una grandinata di colpi sul viso e sulla testa fin quando la vittima non era crollata sul pavimento. Poi l'omaccio era senz'altro uscito, esclamando con accento piemontese: "Così per l'avvenire impara, 'sta merda!"

      Gli altri magazzinieri avevano confermato la versione.

      "Vi risulta che il Benvenuto avesse nemici?"

      "Credo che ne avesse un mucchio", aveva risposto per tutti Alfonso. Jolanda e Annunziata avevano approvato col capo. Mariangela, invece, m’aveva guardato dritto negli occhi, dischiudendo leggermente la bocca, come per pronunciare qualcosa; ma aveva taciuto.

      Proprio a lei avevo chiesto: "Avete qualche idea sul perché dell’epiteto mostro da baraccone?"

      "Perché... lo è, poveretto."

      "Poveretto?!" avevano fatto in coro gli altri tre, guardando Mariangela con disapprovazione. Poi la sola Annunziata aveva detto: "Ha il fisico giusto per il suo carattere."

      "Cosa intende dire?" m'ero incuriosito.

      "Intendo dire che ha un braccio in più, sul petto, che a intravederlo sotto i vestiti pare attaccato alla spalla destra, anche se non l'ha mai mostrato: al massimo, qualche volta, sono spuntate le sole dita, a far capolino tra i bottoni della camicia, dico in certi momenti in cui era più arrabbiato e non riusciva a frenarsi.

      "Inoltre", era intervenuta Jolanda, dalla parte destra ha una doppia fila di denti; e una suora che una volta venne qui ci disse che ha pure un pezzo di cervello in più. Certo è che, a volte, l'abbiamo sorpreso a farsi domande e a rispondersi da solo a bassa voce. Poi... c'è anche un'altra cosa... che non oso dire."

      "Un'altra cosa?"

      "Sì", aveva precisato Alfonso, "pare che tra le gambe... ne abbia due!" ed era scoppiato a ridere.

      "Chi ve l'ha detto? Sempre la suora?!" avevo domandato fra il contegnoso e il divertito.

      "No", aveva risposto Annunziata, "ce l’aveva detto Giulia."

      "Sarebbe?"

      "Una collega ch'è stata licenziata giorni fa: pare che il padrone le avesse fatto proposte... insomma, pare... che la volesse nei due modi assieme, oh!"

      "Veramente", s’era intromesso Alfonso, "che lui volesse farsela nei due modi assieme lei non l'ha detto, però il fatto che sapesse dei due cosi fra le gambe fa pensare che Tarcisio glieli avesse almeno fatti vedere"; e aveva riso più forte di prima.

      Avevo chiesto di descrivermi l'aggressore. Tutti erano stati concordi: si trattava d'un uomo molto alto sulla cinquantina, occhi cisposi castani, senza sopracciglia e completamente calvo, grandi orecchi a sventola, grasso e grosso, collo corto possente, braccia da scaricatore e spalle larghe, schiena ricurva. Portava una cicatrice violacea orizzontale sulla fronte che l'attraversava quasi completamente e aveva il naso schiacciato dei pugili. La bocca era piccola, quasi senza labbra.

      "…e indossava delle scarpe che saranno state della misura cinquanta", aveva completato Mariangela.

      "Anche lui, come mostro, non sta male", avevo scherzato con un breve sorriso. Poi m’ero fatto dare cognome e indirizzo della commessa licenziata e m’ero copiato dalle schede contabili le generalità di fornitori e clienti: dati incompleti perché, come avevo saputo da Alfonso, molte delle vendite al dettaglio, quelle dei soprammobili, erano verso ignoti passanti e la maggior parte degli acquisti veniva da privati, pagata in contanti senza che ne restasse traccia2.

      Era ormai l'una. Annunciando che forse sarei ripassato e che, comunque, loro sarebbero stati convocati per la testimonianza formale, avevo lasciato che i magazzinieri chiudessero il negozio e m’ero avviato verso la casa dei miei.

      Dopo qualche centinaio di metri, mentre imboccavo via della Consolata, m’aveva raggiunto la voce di Alfonso: "Brigadiere!". M'aveva seguito, aveva soggiunto non appena vicino, per darmi una notizia all'insaputa di Mariangela: "Pare che quella criña3 se la faccia col padrone. Si vede, aveva ghignato, "che le piace farsi fare in due modi nello stesso tempo! È per quello che sta dalla sua parte. Comunque... non so, sarà forse un'idea sbagliata, ma... e se fosse stato un parente di Mariangela a fraccare di botte il padrone?"

      "M’avete detto che l'uomo aveva accento piemontese, mentre Mariangela è meridionale. Se fosse un suo parente..."

      "…potrebbero essersi imparentati qui, con uno dei nostri", aveva suggerito, calcando sulla parola nostri come a intendere che di ben migliore stirpe si trattava, ed esprimendo una smorfia disgustata.

      "Va beh, controlleremo."

      "…ma mi raccomando..."

      "Non


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