Il ritorno dell’Agente Zero . Джек Марс
Читать онлайн книгу.da rovesciare, e nessun paese troppo piccolo o debole per poter fare la differenza.” Fece l’occhiolino. “Pensateci la prossima volta che vi sentite poco più di una briciola in questo mondo.”
Alla fine della lezione, c’era una netta differenza tra gli studenti stanchi e ciondoloni che erano entrati e il gruppo ridente e ciarliero che uscì dall’aula. Una ragazza dai capelli rosa si fermò alla sua cattedra mentre usciva e commentò: “Bel discorso, professore. Quale era il nome del tenente americano di cui ha parlato prima?”
“Oh, era Stephen Decatur.”
“Grazie.” Se lo annotò e corse fuori dall'aula.
“Professore?”
Lawson alzò lo sguardo. Era lo studente di prima fila. “Sì, signor Garner? Che cosa posso fare per lei?”
“Volevo chiederle un favore, se fosse possibile. Sto facendo domanda per un tirocinio al Museo di Storia Naturale, e uh, mi sarebbe utile una sua lettera di raccomandazione.”
“Certo, nessun problema. Ma lei non si sta laureando in antropologia?”
“Sì, ma uh, ho pensato che una lettera scritta da lei avrebbe avuto più peso, capisce? E, uhm…” Il ragazzo abbassò lo sguardo sulle sue scarpe. “Questo è tipo, il mio corso preferito.”
“Il suo corso preferito finora.” Lawson sorrise. “Ne sarei felice. Gliela porterò domani, ah, in realtà stanotte ho un impegno importante a cui non posso proprio mancare. Che ne dice di venerdì?”
“Nessuna fretta. Venerdì andrà benissimo. Grazie, professore. Ci vediamo!” Garner uscì dall’aula, lasciando Lawson da solo.
Il professore si guardò intorno nella sala vuota. Quello era il momento che preferiva della giornata, la pausa tra una lezione e l’altra, in cui la soddisfazione per quella appena finita si mescolava all’anticipazione per quella che stava per iniziare.
Il suo telefono squillò. Era un messaggio da Maya. A casa per le 5:30?
Sì, rispose lui. Non me lo perderei mai. L’’impegno importante’ di quella sera era la sera dei giochi a casa Lawson. Adorava trascorrere quei bei momenti insieme alle sue due ragazze.
Bene, scrisse a sua volta la figlia. Ho delle novità.
Che novità?
Più tardi, fu la sua risposta. Lui si accigliò davanti a quel messaggio vago. All’improvviso la giornata gli sembrò molto lunga.
Non appena la giornata di lavoro arrivò alla fine, Lawson riempì la tracolla, prese il pesante cappotto invernale e si diresse verso il parcheggio. Febbraio a New York era sempre gelido, e ultimamente era stato persino peggio. Persino il più leggero refolo di vento tagliava la pelle dal freddo.
Avviò l’auto e lasciò che si riscaldasse per qualche minuto, portando una mano alla bocca e soffiando il fiato caldo sulle dita gelate. Era il suo secondo inverno a New York e sembrava che non riuscisse ad abituarsi a quel clima. In Virginia aveva pensato che cinque gradi a febbraio fossero glaciali. Almeno non sta nevicando, pensò. Meglio guardare il lato positivo.
Il viaggio dal campus della Columbia University fino a casa era di sole sette miglia, ma a quell’ora del giorno c’era un gran traffico e tutti i pendolari erano generalmente irritati. Reid lo passava ascoltando degli audiolibri, come sua figlia maggiore gli aveva recentemente consigliato. Attualmente era a metà de Il nome della rosa di Umberto Eco, anche se quel giorno non riuscì ad ascoltare neanche una parola. Stava pensando al messaggio criptico di Maya.
Casa Lawson era un bungalow a due piani di mattoni marroni che si ergeva a Riverdale, nella zona a nord del Bronx. Lui amava quel quartiere bucolico e suburbano, la sua prossimità alla città e all'università, le stradine tortuose che a sud si trasformavano in ampi viali. Anche le ragazze lo amavano, e se Maya fosse stata accettata alla Columbia, o persino alla sua seconda scelta di New York, non avrebbe dovuto lasciarlo.
Reid capì che c’era qualcosa di diverso non appena entrò in casa. Lo sentiva nell’aria. Udì delle voci smorzate che venivano dalla cucina in fondo al corridoio. Appoggiò la tracolla e si sfilò silenziosamente la giacca sportiva prima di avanzare in punta di piedi nell’ingresso.
“Che cosa sta succedendo qui?” chiese a mo’ di saluto.
“Ciao, papà!” Sara, la sua figlia quattordicenne saltellava sui talloni mentre guardava Maya, la sorella maggiore, che eseguiva un losco rituale sopra una pirofila di Pyrex. “Stiamo preparando la cena!”
“Io sto preparando la cena,” mormorò Maya, senza alzare lo sguardo. “Lei assiste solamente.”
Reid batté le palpebre per la sorpresa. “Okay. Ho delle domande.” Sbirciò sopra la spalla di Maya che stava applicando una gelatina viola su un fila ordinata di costolette di maiale. “A partire da… uh?”
Maya continuò a tenere lo sguardo basso. “Non guardami così,” disse. “Sono stata costretta a seguire il corso di economia domestica, quindi sarà meglio che ne faccia buon uso.” Alla fine spostò gli occhi su di lui e gli lanciò un sorriso teso. “E non farci l’abitudine.”
Reid alzò le mani con aria conciliatoria. “Assolutamente.”
Maya aveva sedici anni ed era pericolosamente intelligente. Era ovvio che avesse ereditato il cervello da sua madre; quello sarebbe stato il suo ultimo anno del liceo dato che aveva saltato la terza media. Aveva i capelli scuri di Reid, il suo sorriso pensieroso e il suo talento per il dramma. Sara, d'altra parte, aveva preso tutto da Kate. Man mano che diventava adolescente, a Reid capitava di intristirsi guardandola, ma non lo faceva mai vedere. Aveva anche assunto il carattere focoso di Kate. La maggior parte del tempo Sara era una ragazza dolce, ma di tanto in tanto esplodeva e le conseguenze erano terribili.
Reid guardò sbalordito mentre le ragazze apparecchiavano e servivano la cena. “Sembra tutto buonissimo, Maya,” commentò.
“Oh, aspetta. Ancora una cosa.” La ragazza prese qualcosa dal frigo, una bottiglia marrone. “La tua preferita è la belga, vero?”
Reid strinse gli occhi. “Come hai fatto a…?”
“Non preoccuparti, l’ho fatta comprare a zia Linda.” Aprì il tappo e versò la birra in un bicchiere. “Ecco. Ora possiamo mangiare.”
Reid era estremamente grato che Linda, la sorella di Kate, abitasse a pochi minuti di distanza. Ottenere la cattedra da professore associato crescendo due adolescenti sarebbe stato impossibile senza di lei. Era uno dei motivi principali per cui si era trasferito da New York, perché le ragazze potessero avere vicino un’influenza femminile positiva. (Anche se doveva ammettere che non era proprio entusiasta che Linda avesse comprato la birra alla figlia adolescente, a prescindere da per chi fosse.)
“Maya, è incredibile,” esclamò dopo il primo boccone.
“Grazie. È una gelatina al chipotle.”
Si pulì la bocca, appoggiò il tovagliolo e domandò: “Va bene, è tutto molto sospetto. Che cosa hai fatto?”
“Cosa? Niente!” insistette lei.
“Che cosa hai rotto?”
“Io non ho…”
“Ti hanno sospesa?”
“Papà, andiamo…”
Reid afferrò drammaticamente il tavolo tra le mani. “Oh, Dio, non dirmi che sei incinta. Non ho nemmeno un fucile.”
Sara ridacchiò.
“La vuoi smettere?” sbuffò Maya. “Posso essere gentile, sai.” Mangiarono in silenzio per un minuto circa prima che lei aggiungesse con disinvoltura: “Ma visto che stiamo parlando…”
“Oh, accidenti. Ecco che arriva.”
Lei si schiarì la gola e disse: “Ho un appuntamento, ecco. Per San Valentino.”
Reid quasi si strangolò sulla sua costoletta.
Sara