Un Amore Come Il Vostro . Sophie Love

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Un Amore Come Il Vostro  - Sophie Love


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rispose lei, percependo la tensione nelle proprie parole.

      Alle sue spalle, sentì Milo che si alzava. Lui le si avvicinò e la prese per le spalle. Si irrigidì, incapace di sopportare qualsiasi gesto di gentilezza in quello stato di grande vulnerabilità emotiva. Ma era troppo tardi. Bastò la sensazione di vicinanza per spezzare le sue barriere. Dai occhi le scivolarono grosse lacrime.

      Si voltò e si lasciò avvolgere dal suo abbraccio. Rimasero fermi in quella posizione a lungo, mentre Keira dava libero sfogo alle emozioni represse. Con una certa sorpresa, scoprì che concedersi di essere vulnerabile e di piangere indeboliva il loro potere. Si riprese on fretta, molto più velocemente di quanto non avrebbe fatto di solito, e poi si sentì molto meglio.

      “Caffè?” chiese allora, allontanandosi dall’abbraccio.

      Lui annuì e si risedettero insieme sul letto, condividendo un’ultima colazione. Le lacrime sulle guance di Keira si asciugarono.

      “Non ho una gran voglia di dire addio ai tuoi,”  confessò la giovane donna tra un sorso dalla tazza e l’altro. “Voglio dire, ormai è come se foste la mia famiglia. Farò la figura della scema piagnucolosa.”

      Milo alzò le labbra in un sorrisetto. “Andrà tutto bene. Non è un addio definitivo. O almeno non deve esserlo.”

      Keira rimase in silenzio, riflettendo. Ancora non era certa di che cosa volesse da quel rapporto, né di come la storia sarebbe proseguita. Non sapeva nemmeno se c’era davvero una relazione tra di loro.

      Milo dovette notare la sua esitazione.

      “Ma non dobbiamo parlarne adesso,” le assicurò, distogliendo lo sguardo.

      Finirono le bevande calde e la colazione, poi Keira si lavò e si vestì per prepararsi al lungo volo che avrebbe preso di lì a poco. In passato non le era piaciuto viaggiare, ma ormai si era tanto abituata che quasi non ci pensava più. Aveva fatto il callo allo stile di vita da viaggiatrice. E con una piccola scintilla d’eccitazione ricordò che a New York l’aspettava il suo nuovo appartamento, il suo primo vero passo verso la totale indipendenza.

      Con le valige pronte, lei e Milo scesero al piano di sotto. La famiglia era riunita in cucina, anche loro a metà della colazione. Keira sapeva che avevano fatto lo sforzo di svegliarsi presto solo per salutarla, e fu commossa dal gesto.

      Regina fu la prima ad alzarsi. Le si avvicinò per abbracciarla stretta, e la sua espressione normalmente severa si addolcì.

      “Mi mancherà la presenza di un’altra donna in questo posto,” disse. “È stato bello avere una sorella per una settimana.”

      “Chiamami ogni volta che vuoi,” le promise Keira.

      Nils prese il posto di Regina, torreggiando sulla giovane scrittrice dal suo metro e novanta d’altezza. Le diede una solida pacca sulla spalla.

      “Sei la benvenuta quando vuoi,” disse. “Non farti problemi.”

      “Grazie,” rispose lei.

      Poi l’attirò in un goffo abbraccio. Keira si sentì come una bambina, avvolta dalle sue grandi braccia.

      Si allontanò dall’uomo e spostò l’attenzione su Yolanta. Tra tutti i familiari di Milo, la madre era quella a cui si era avvicinata di più durante le vacanze, e salutarla sarebbe stato doloroso.

      Yolanta le accarezzò una guancia in un gesto materno.

      “Stupenda ragazza piena di talento,” mormorò. “Tornerai a trovarci, non è vero?”

      Keira arrossì. “Lo farò.”

      La donna annuì, soddisfatta, e poi le due si abbracciarono forte.

      “Faremo meglio ad andare,” disse Milo dietro di loro.

      Keira si allontanò dall’abbraccio e si gettò un’occhiata alle spalle. Il suo innamorato era in piedi alla porta, con il bagaglio ai piedi. Poi riportò lo sguardo sulla famiglia.

      “Credo di sì,” asserì, con un lungo sospiro. “Mi mancherete. Grazie per la vostra ospitalità. È stato il miglior Natale che abbia mai avuto. Custodirò per sempre questi ricordi.”

      “È stato bellissimo averti con noi,” disse Nils.

      “Torna quando vuoi,” aggiunse Regina.

      “Ci vedremo presto,” promise Yolanta, enfatizzando l’ultima parola.

      Keira annuì. Poi si voltò e si unì a Milo, prendendo una delle sue borse dal mucchio. Il giovane uomo aprì la porta e lei rabbrividì, colpita da una folata gelida del vento invernale svedese. Il compagno uscì nella giornata fredda, diretto verso l’auto. Keira deglutì il groppo che aveva in gola, salutandoli per l’ultima volta con un cenno della mano.

      “Arrivederci!” replicarono tutti all’unisono.

      Poi seguì Milo, chiudendosi piano la porta alle spalle. Percorse il sentiero innevato attraverso il giardino, godendosi ancora una volta il panorama montuoso, cercando di imprimerlo nella mente. Non voleva dimenticarselo mai, né quel luogo né quella famiglia. Voleva che ogni dettaglio le rimanesse per sempre nella testa.

      Infilò la borsa nel bagagliaio dell’auto e salì sul lato passeggero del piccolo veicolo di Milo, che girò la chiave nell’accensione.

      “Pronta?” le chiese.

      “Pronta,” rispose lei con un gesto deciso.

      Mentre si allontanavano, Keira si guardò indietro un’ultima volta, studiando il paesaggio per non dimenticarlo mai più.

      Non appena ebbe perso di vista la casa, udì lo squillo del suo cellulare. Lo ripescò dalla borsa e scoprì che aveva ricevuto un messaggio da Elliot. Si accigliò. Non era da lui scriverle; di solito manteneva le loro comunicazioni a un livello molto formale.

      Lo aprì e lo lesse.

      Buon Natale, Keira! Spero che tu abbia avuto il tuo lieto fine…

      Sorrise, commossa dal fatto che si fosse ricordato di farle gli auguri. Ma poi fece scorrere il testo e lesse il resto:

      Volevo solo ricordarti che il termine per la consegna del tuo articolo è domani. Hai già avuto un’estensione, quindi è la data definitiva.

      Gemette tra sé e sé. Elliot conosceva l’orario della sua partenza e aveva scelto ugualmente di contattarla in quel momento, con il mezzo più personale e diretto che aveva, invece che con una email come al solito. Era tutto un modo per rubarle il poco tempo che le rimaneva con Milo. Spense il cellulare e lo rigettò nella borsa.

      “Va tutto bene?” chiese Milo.

      “Sì,” rispose con un sorriso noncurante.

      In verità sentiva di star tornando rapidamente alla realtà. Il suo fantastico viaggio era finito. Doveva riportare i piedi a terra.

*

      Keira e Milo erano una di fianco all’altro, mano nella mano, davanti al suo gate d’imbarco. Il numero del suo volo stava lampeggiando sullo schermo, e una voce si alzava dagli altoparlanti:

      “Chiamata d’imbarco per il volo Swedish Air uno quaranta cinque dalla Svezia a New York. Si pregano tutti i passeggeri di dirigersi verso il gate dieci.”

      Keira si girò verso Milo. “È il mio.”

      Lui annuì. La sua espressione era più cupa che mai mentre si chinava a baciarle la fronte.

      “Buona fortuna con tutto, Keira,” le augurò.

      “Sembra così definitivo,” mormorò lei in risposta.

      “Mi dispiace,” rispose Milo. “È tutta la mattina che mi dai la sensazione che una volta che te ne sarai andata, sarà tutto finito.”

      Keira alzò le sopracciglia. Era insolito che una persona tanto diretta quanto Milo si lasciasse guidare dalle sensazioni. Ma non si sbagliava.

      Sospirò.

      “È solo una questione di praticità,” spiegò. “Lo sai, vero? Tu non vuoi prendere l’aereo o lasciare


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