Non Andare Mai Dal Dentista Di Lunedì. Ana Escudero

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Non Andare Mai Dal Dentista Di Lunedì - Ana Escudero


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ce n'è bisogno – iniziò a dire l'Esattore per poi aggiungere —, ma continua, cos'altro?

      – L'infermiera ha detto che potevamo entrare, ma io non potevo fare un passo. Osservavo Alexis che mi stava tirando, ma io non volevo entrare.

      – Tuo figlio dev'essere un santo per sopportarti. Cos'altro è successo quando hai smesso di fare lo sciocco?

      – Ho inspirato e ho espirato… ho inspirato e ho espirato… – ripeté Peter tante volte quante l'aveva fatto nello studio.

      – Se continui a spiegare le cose di questo passo, faremo notte. Accelera!

      – Dopo aver fatto la revisione ad Alexis, ha insistito affinché mi sedessi io e poi ha insistito sul fatto che avevo un molare cariato e che doveva otturarlo.

      – Ed era vero?

      – No, ma mi ha minacciato che me l'avrebbe tolto un dentista sadico. Dopo un po' c'è stata l'esplosione.

      – Esplosione? Che esplosione?

      – Non dirmi che non l'hai sentita! È stata molto forte, anche se è sembrata lontana. Boom!

      – Io ho sentito come dei rimbombi, mi sono sembrati più dei fuochi d'artificio che un'esplosione, ma adesso che ci penso ti do ragione.

      – Bene. Be', il dottore ordinò all'infermiera di portare Alexis in un'altra stanza e poco dopo ho sentito una sedia muoversi, come se qualcuno si stesse alzando, ho sentito una porta aprirsi e dei passi – ricordò Peter – e poi silenzio.

      – Ma Alexis è andato nell'altra stanza o no? Perché mi sembra che tu abbia detto che è andato a cercare il dottore.

      – Questo è successo dopo. Alexis è uscito a cercare il dottore e anch'io. – La suoneria del cellulare lo interruppe —. È Vivian! Cosa le dico?

      – La verità. È tua moglie e la madre di Alexis.

      – Non posso dirle la verità. Si arrabbierà molto.

      – Con ragione, non credi?

      – Io non posso dirglielo, sarà meglio che glielo dica tu. Con te non si arrabbierà.

      – Che non mi tocchi portare questa croce! – rispose l'Esattore, dopodiché prese il telefono e rispose: – Vivian, ciao. Adesso ti passo tuo marito. – E tese il cellulare a Peter.

      – Ciao, Vivian, cosa vuoi?

      – Peter, hai lasciato qui la tessera sanitaria di Alexis.

      – Eh? Cosa? – rispose Peter, che non si aspettava quella risposta.

      – La receptionist non te l'ha chiesta?

      – No. Siamo passati direttamente nello studio.

      – Allora te la chiederà quando uscirete. E Alexis?

      – Sta bene. Sai, credo che manderò l'Esattore a prenderla. Ci ha accompagnato fin qui – le comunicò di fronte allo sguardo di rimprovero di quest'ultimo.

      – Buona idea. Frans gli aprirà la porta.

      – Vuoi dirmi qualcos'altro? No? – E riattaccò senza dare tempo a Vivian di reagire.

      – Ho guadagnato un po' di tempo. Mentre tu vai a prendere la tessera, io e Sultán cerchiamo Alexis.

      – Sai già dove cercarlo? Hai qualche piano?

      – No, però magari qualcuno l'ha visto. Ho una foto sul cellulare – disse facendogliela vedere.

      – Solo una? Bel padre! Anch'io ho delle foto di Alexis sul cellulare essendo suo zio.

      – I miei genitori hanno avuto solo un figlio, cioè me. Dopo tanti anni credevo che ti fosse chiaro.

      – È vero? Ne sei sicuro? Tua madre mi ha sempre trattato molto bene.

      – Mia madre tratta tutti bene. È stata una madre in affidamento, lo sapevi?

      – Credi che sia un momento opportuno per affrontare questo argomento? Non hai in ballo qualcosa di più importante?

      – È vero! Corri, vai a casa. Io e Sultán ti aspettiamo qui.

      L'Esattore rifletté un millesimo di secondo: era meglio fidarsi di Peter e seguirlo nel gioco, per così dire.

      Parcheggiò la macchina in doppia fila e disse a Peter:

      – Scendete. Io torno subito.

      Peter saltò giù dalla macchina, seguito da un Sultán ricalcitrante. La macchina si perse dietro l'angolo.

      – E adesso cosa facciamo, Sultán?

      – Bau – rispose quest'ultimo. Aveva perso la traccia quattro strade prima.

      – Bau? Non capisco questo bau. Io non parlo il cagnesco. Cosa vuoi dire, Sultán?

      – Bau – abbaiò di nuovo e si sdraiò sulla strada allungandosi più che poté.

      – Sultán! Non è né l'ora, né il luogo adatto per un sonnellino.

      Sultán chiuse gli occhi. Non pensava di muoversi finché l'Esattore non fosse tornato, non aveva intenzione di andare in giro senza una meta precisa.

      – Alzati, Sultán! So che gli anni pesano, ma Alexis ha bisogno di noi – disse Peter.

      – Bau! – rispose Sultán con più energia, sedendosi di nuovo dopo aver sentito il nome di Alexis.

      IV – Sette biglie

      Alexis si guardò intorno, soprattutto meravigliato. Non riconosceva il luogo dove si trovava, né si ricordava com'era arrivato fin lì. L'ultima cosa di cui si ricordava era il fatto di essere nello studio con suo padre ed essere uscito dopo il dottore. Il corridoio era costellato di biglie e lui si era chinato per prenderle e tenersele nella tasca dei pantaloni. Ne era sicuro perché un attimo prima aveva messo le mani nelle tasche e ora vedeva davanti ai suoi occhi una di quelle biglie colorate.

      Sentì un rumore fuori dalla stanza. A sei anni non riconosceva molti rumori, per questo per un attimo non fu capace di identificarlo.

      Si alzò e corse verso la porta, quindi girò il pomello per aprirla. La porta rimase chiusa.

      – Papà, aprimi! Papà! Non posso uscire! Papà!!! – gridò così forte che sembrava di poterlo sentire a distanza di un chilometro.

      Né suo padre, né nessun altro rispose alla disperata richiesta di Alexis.

      Si guardò intorno istintivamente cercando una finestra. A un metro e mezzo da terra vide una finestrella sporca. Si avvicinò a essa e si allungò più che poté, ma non raggiunse neanche l'infisso inferiore. Alexis non era un bambino alto e ora ricordava sua madre che gli diceva:

      – Alexis, mangia tutta la verdura. Devi crescere e diventare un uomo alto e bello.

      Corse verso l'unica sedia che c'era nella stanza e la trascinò fino alla finestra. Si girò un attimo in direzione della porta e aspettò per vedere se sentiva qualche rumore da fuori.

      Niente. Salì sulla sedia, si mise in ginocchio e guardò dalla finestra sporca. Passò la punta delle dita sul vetro, cercando di pulirlo per poter vedere meglio fuori. Non riuscì a fare granché, sicuramente erano secoli che non la pulivano. Sputò sul vetro, allungò la manica della felpa fino a nascondere la mano, nascondendo così del tutto il suo costume da supereroe e in seguito strofinò il vetro, facendo diventare la manica da grigia chiara a grigia scura.

      Provò ad aprirla, ma fu inutile. Osservò i cardini, pieni di ruggine. Alexis li guardò senza sapere cosa fossero, ma capì che erano la causa per cui non poteva aprire la finestra.

      Saltò giù dalla sedia e rimase a pensare qualche secondo. Cosa avrebbe dovuto fare ora?

      La porta si aprì e davanti agli occhi di Alexis apparve Topolino con in mano una foto di un bambino dall'età di Alexis, ma con una tonalità di capelli un po' meno rossiccia, che stava osservando comparandola con il bambino che aveva davanti.

      – Topolino!


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