Il Quadriregio. Frezzi Federico

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Il Quadriregio - Frezzi Federico


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via smarrita

       Cupido, come andasse quindi a caso.

      E disse a me:—Lippea ov'è fuggita,

       5 che m'ha sfidato e mette me a dispetto?

       Ma converrá che da me sia punita,

      ch'io gli trapasserò il core e il petto

       con un acceso dardo delli miei;

       e farla a te soggetta io ti prometto.

      10 Io, che ho domato Iove ed altri dèi

       con la potenza della mia saetta,

       non vincerò, non domerò costei?—

      Quando egli disse voler far vendetta,

       pensa, lettore, s'io mi feci lieto,

       15 da che affermava a me farla soggetta.

      Egli si mosse, ed io gli andai dirieto;

       e sempre per la costa andò all'ingiúe

       tra 'l duro bosco e l'aspero spineto.

      Quando presso alla valle giunto fue,

       20 vidi io Lippea che guidava il ballo

       'nanti alle dèe con le compagne sue.

      L'arco suo dur, che mai ferisce in fallo,

       prese Cupido, e d'uno stral gli diede

       a venti braccia forse d'intervallo

      25 sol nelli panni e giú appresso il piede;

       ché se a lor desse in petto o molto forte,

       sí come a' viri ed agli dèi e' fiede,

       p. 41

       perché ad amar le ninfe non son scorte,

       pel grande incendio del sacrato foco

       30 verrebbon meno e caderebbon morte.

      Il caldo cominciò a poco a poco

       passargli al cor con l'infocato dardo;

       e giá ferita non trovava loco.

      Lippea allora a me alzò lo sguardo

       35 e con gli occhi mirommi, con li quali

       tanto m'accese il cor, ch'ancora io ardo.

      L'Amor, movendo poi le splendide ali,

       per man menommi insino alla fontana,

       menacciando anco con suoi duri strali.

      40 Di me s'avvide allora dea Diana

       e disse irata e con acerbo volto:

       —Or che fa qui quella persona strana?—

      Lo dio Cupido meco s'era folto,

       ma non veduto; ch'egli alla sua posta

       45 si può manifestare e farsi occolto.

      Egli mi disse:—Fa', fa' la risposta.—

       Onde io andai, e riverente e chino

       mi posi al carro suo appresso e a costa.

      E dissi a lei:—Mio caso e mio destino,

       50 o dea, m'ha qui condotto nel tuo regno

       per uno errante ed aspero cammino.

      Forse Dio il fe' che alla tua festa vegno:

       per lui ti prego, o alma dea selvaggia,

       che non mi scacci e che non m'abbi a sdegno.

      55 E prego te che una grazia io aggia:

       che come starvi Ippolito a te piacque,

       cosí possa io tra questa turba gaggia.—

      E come chi consente, ella si tacque:

       cosí sospeso e dubbioso rimasi

       60 e tornai a Cupido presso all'acque.

      Il carro della dea ben venti pasi

       dal fonte, a mio parere, era distante,

       e 'l sol calato all'orizzonte o quasi,

       p. 42

       quando con vergognoso e bel sembiante

       65 venne Lippea inverso il fiumicello,

       ond'io andai dicendo a lei davante:

      —O ninfa mia gentil col viso bello,

       deh! non t'incresca e non aver temenza

       se io, che tanto t'amo, ti favello.

      70 Perché pur fuggi e pur fai resistenza

       a quell'Amor, ch'anco li dèi percote

       con le saette della sua potenza?—

      Sí come onesta donna, che non puote

       soffrir lascivo sguardo, sottomette

       75 e abbassa gli occhi e fa rosse le gote:

      cosí fece ella alle parole dette,

       che abbassò il viso e diventò vermiglia

       e lagrimò e le parol tacette.

      —Mostra i zaffiri, c'hai sotto le ciglia

       80 —dissi,—o Lippea, ed alza sú la vista,

       che alle dèe del ciel si rassomiglia.—

      Sfogando il pianto:—Oimè, misera, trista!

       Oimè!—diss'ella.—Io ho tanto tormento:

       Amor non vuol che a lui io piú resista.

      85 Se mai il dispettai, io me ne pento;

       se mai il gran Cupido io ebbi a vile,

       dico «mia colpa» e dico «me ne mento».

      Con la potenza dell'orato astile

       di mie parole folli ora mi paga

       90 e col foco, che al cor va sí sottile.

      Ma io il prego o che il dardo ritraga,

       che m'ha ferito il cor, o che mi uccida,

       sí che la morte risani la piaga.—

      Ed io a lei:—Cupido fu mia guida

       95 insino a te, ed egli mi promise

       donarti a me con sua parola fida.—

      Udito questo, il viso sottomise;

       poi disse sospirando e con vergogna:

       —Perché, quando ferí, e' non mi uccise?

       p. 43

       100 —Da che egli vuole, e questo esser bisogna

       —diss'io a lei,—io prego che mi dichi

       se tu se' mia, e non mi dir menzogna.—

      Come la sposa, cui pudor fatichi,

       cosí un «sí» de' labbri gli uscí fuore

       105 pur con vergogna e con atti pudichi.

      Il viso bianco di smorto colore

       prima dipinse e poscia si fe' rosso

       de' due color, che fuor dimostra Amore.

      Poi disse:—Oimè, oimè che piú non posso

       110 celar l'amor!—E questo ella dicendo,

       cadea, se non che io gli tenni il dosso.

      Soggiunse poi:—Amor, a te mi rendo:

       non trova l'arco tuo difesa o scudo;

       però invan contra te mi difendo.—

      115 Poi disse a me:—O amoroso drudo,

       io prego te, da che Amor mi ti dona,

       che contra me non sie cotanto crudo,

      che tu mi lievi la bella corona,

      


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