Il Quadriregio. Frezzi Federico

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Il Quadriregio - Frezzi Federico


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m'appressa' a loro e dissi:—O ninfe belle,

       in questo loco sí silvestre e rio

      per consigliarmi alcuna mi favelle:

       deh! non v'incresca che alquanto qui stia,

       135 stancato tra le selve amare e felle.—

       p. 54

       La ninfa, che risposto m'avea pria:

       —O giovin—disse,—non abbiam temenza,

       né anco incresce a noi tua compagnia.

      Ma noi Minerva, dea di sapienza,

       140 aspettiam qui; e da noi qui s'aspetta

       con lo gran carro della sua eccellenza;

      ché qui tra noi è una giovinetta,

       che vuoi menare al suo regno felice,

       la qual tra le sue ninfe ha per sé eletta;

      145 e non sappiam di qual di noi si dice.

       Noi non voramo, quando ella discende,

       che alcun uomo con noi trovasse quice.

      Per quella cortesia, che 'n te risplende,

       ti prego che di qui ti parti alquanto,

       150 ché tua presenza sospette ne rende.

      —O ninfa, veder te m'è grato tanto

       —risposi a lei—e tanto a te mi lego,

       che io non posso andar in alcun canto.

      Ma io a me stesso la mia voglia niego

       155 contra mia voglia ed al partire assento,

       da che ti piace: tanto può 'l tuo priego.

      E, da che io mi parto con tormento,

       dimmi chi se'; e quando qui ritorno,

       prego, del tuo parlar fammi contento.—

      160 Per la vergogna arrosciò il viso adorno,

       e ch'io non fossi udito ella temea:

       però ella mirava intorno intorno.

      Poscia rispose:—Io nacqui giá 'n Alfea,

       Ilbina ho nome e tra li duri scogli

       165 vo seguitando la selvaggia dea.

      Piú non ti dico: omai partir ti vogli.—

      p. 55

       Indice

      Come la dea Minerva discese e seco menò Ilbina ninfa.

      Io me n'andai in un boschetto alpestro,

       distante a quelle ninfe, a mio parere,

       ben quasi una gettata di balestro,

      sí ch'io poteva udire e ben vedere

       5 tutti lor atti e tutte lor parole,

       ed aspettando mi stava a sedere.

      Ed ecco, come quando il chiaro sole

       tra le men folte nubi sparge il raggio,

       che quasi strada in cielo apparir sòle,

      10 cosí da cielo ingiú si fe' un viaggio;

       e la via lattea, che pel caldo s'arse,

       piú che quella in splendor non ha vantaggio.

      Le ninfe tutte alla strada voltârse;

       e come quando rischiara l'aurora,

       15 cosí lucente in cielo un carro apparse.

      E poco stando io vidi una signora

       splendente quanto il sol su la mattina,

       quando dell'orizzonte egli esce fòra,

      incoronata come la regina,

       20 che venne a Salomon dal loco d'Austro

       per udire e saper la sua dottrina.

      Quando piú presso ingiú si fece il plaustro,

       lo scudo cristallin gli vidi in mano,

       lucente quanto al sol nullo alabastro.

      25 Ed era sí scolpito e sí sovrano,

       che tanto adorno nol fece ad Achille,

       per preghi della madre, dio Vulcano.

       p. 56

       Appresso al carro stavan le sue ancille,

       inclite ninfe, intorno a coro a coro,

       30 ed ogni coro in sé n'ha piú di mille.

      Non ebbe piú splendor, né piú lavoro

       il carro, a cui Fetòn lasciò lo freno,

       quando trasse i corsier dal cammin loro.

      Vedendo lo splendor tanto sereno,

       35 l'alpestre ninfe stavan ginocchioni

       con reverenza sul basso terreno.

      Quando discesa fu con canti e suoni

       la dea Minerva e che fu posto fine

       a tanti balli ed a tante canzoni,

      40 le ninfe alpestre riverenti e chine

       dissono:—O dea, qual vorrai che vegna

       di noi e che al tuo regno al ciel cammine?—

      Rispose ella:—Di voi ognuna è degna;

       ma ora eleggo Ilbina e voglio questa,

       45 che venga meco ove da me si regna.—

      E, detto questo, con canti e con festa

       la coronò d'alloro e poi d'uliva,

       e di fin òr gli fe' vestir la vesta.

      Poi per la strada, che da ciel deriva,

       50 la menò seco pel cammin ad erto,

       forte a salire ad uom mortal, che viva.

      Io, che m'era occultato in quel deserto

       tra dure spine e pungenti cespogli,

       il viso alzai di lacrime coperto.

      55 —Perché, o Palla, Ilbina mia mi togli?

       —dissi piangendo;—e perché a questa volta

       d'Ilbina, o dio Cupido, ancor m'addogli?—

      E fuora uscii e con fatica molta

       per la celeste strada insú mi mossi

       60 dietro alla ninfa, la qual m'era tolta.

      E ben un miglio cred'io andato fossi,

       che la dea Venus si chinò a pietade:

       tanto con li miei preghi io la commossi.

       p. 57

       Nell'aere apparse con grande beltade;

       65 poi scese al carro con faccia proterva,

       il qual saliva le splendenti strade.

      —Non senza gran cagione, o dea Minerva

       —disse Venus,—io vengo tra la schiera,

       che segue te e tuo comando osserva,

      70 ché insino al cielo, ove il gran Iove impera,

       d'un vago giovinetto è giunto il grido,

       che sempre ha 'n me sperato e sempre spera.

      Ed io ed anche il mio figliuol Cupido

       una ninfa, ch'è qui, gli abbiam promessa,

       75 sí come a nostro caro amico e fido.


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