L'Uomo In Riva Al Mare. Jack Benton

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L'Uomo In Riva Al Mare - Jack Benton


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tempi e a sue spese.

      Per prima cosa, passò da Cramer Cove per fare quattro passi, sperando che i suoi promontori selvaggi potessero ispirarlo.

      Era giovedì e la spiaggia era deserta. Con una strada d’accesso così tortuosa, piena di buche e messa così male in alcuni punti da non poter neppure essere definita una strada sterrata, non era una sorpresa che Cramer Cove non fosse poi tanto popolare. Tuttavia, in cima alla spiaggia, delle fondamenta in pietra suggerivano che dovesse aver riscosso molta più fama ai vecchi tempi.

      Nell’altopiano sopra il lungomare, Slim trovò pezzi di legno sparsi sull’erba e tracce di vernice ancora visibili. Chiuse gli occhi e si girò, respirando il profumo dell’aria di mare ed immaginando una spiaggia colma di turisti, sdraiati sugli asciugamani, gustando un gelato, giocando a palla sulla sabbia.

      Quando aprì gli occhi, c’era qualcosa in piedi davanti al lontano bagnasciuga.

      Slim strizzò gli occhi, che non erano più gli stessi di quando era giovane. Tastò le tasche del giaccone, ma aveva lasciato il suo binocolo in macchina.

      Era ancora lì, un miscuglio di grigio e nero dalle sembianze umane. L’acqua gli brillava sui vestiti, sui lunghi capelli aggrovigliati.

      Sotto gli occhi di Slim, si fuse con il mare e scomparì.

      Continuò a fissare quel punto a lungo, incredulo, e, con il passare dei minuti, iniziò a chiedersi se avesse realmente visto qualcosa. Solo un’ombra, forse, mentre una nuvola sorvolava la spiaggia. O persino nulla di antropomorfo, forse una delle foche grigie che popolano questo tratto di costa.

      Provò a ricordare quanto avesse bevuto quel giorno. C’era stato il solito goccetto nel caffè mattutino, un bicchiere — o erano due? — a pranzo, e forse uno prima di uscire?

      Era arrivato il momento di provare a darci un taglio. Giocava alla roulette russa ogni volta che entrava in macchina, ma aveva investito così tanto tempo nel sopprimere il senso di colpa e la vergogna che non ci faceva neanche più caso.

      Stava contando sulle le dita tutti i possibili drink della giornata, quando si rese conto che la marea non era ancora bassa. Se vi fosse stato veramente qualcosa, ne sarebbero state ancora visibili le impronte sulla sabbia bagnata.

      Slim scavalcò una barriera di metallo arrugginita, e si fiondò sul bagnasciuga roccioso, per arrivare alla parte sabbiosa della spiaggia. Prima ancora di raggiungere la battigia si rese conto che sarebbe stata una ricerca inutile. La sabbia era uniforme, e presentava solamente i segni lasciati dalle onde che tornavano al mare.

      Quando arrivò alla macchina, si era già convinto del fatto che la figura che lo stava osservando dalla spiaggia facesse solo parte della sua immaginazione.

      Dopotutto, cos’altro poteva essere?

      9

      Il venerdì seguente, Ted replicò il solito rituale. Slim aveva pensato di incontrare Emma quella mattina, per poi portarla con lui alla spiaggia come prova della veridicità della sua storia, ma dopo gli irruenti sogni della notte prima, con mostri marini e onde impetuose, ci ripensò. Osservare Ted dalla stessa sporgenza erbosa da cui l’aveva osservato nelle ultime cinque settimane, lo fece sentire stranamente impotente, come se fosse andato a schiantarsi contro una parete di mattoni e non sapesse più come procedere.

      Scendendo verso la spiaggia, dopo che Ted se n’era andato, diede un calcio ai resti di una paletta rosa di platica e decise che era arrivato il momento di investigare più a fondo.

      Supponendo che sabato e domenica fossero i giorni in cui la maggior parte delle persone si trovano a casa, scese in strada, bussando alle porte e facendo domande, negli ormai familiari panni del finto documentarista. Poche persone gli dedicarono il proprio tempo e, dopo essersi si fermato al terzo pub per riordinare le idee su ciò che aveva scoperto, iniziò a dubitare di essere nelle condizioni di continuare con la sua impresa.

      Stava barcollando lungo l’ultima strada al confine nord della città, quando la luce intermittente di una sirena annunciò l’arrivo di una macchina della polizia, che si fermò alle sue spalle.

      Slim si arrestò e si girò, sostenendosi ad un lampione per riprendere fiato. Un agente di polizia abbassò il finestrino e fece cenno a Slim di salire.

      L’uomo, sulla cinquantina, aveva dieci anni più di Slim, ma sembrava più in forma e in salute, il tipo di uomo che mangia muesli e succo d’arancia per colazione e va a correre nella pausa pranzo. Slim ricordava con piacere i giorni in cui poteva dire di vedere un uomo simile nel proprio riflesso, ma da un paio d’anni era caduto, rompendo l’unico specchio dell’appartamento, e in ogni caso non fissava mai troppo il proprio riflesso, caso potesse portare sfortuna.

      L’agente di polizia sorrise. “Di cosa si tratta stavolta? Ho ricevuto tre chiamate oggi. Il doppio del solito. Quale casa sta pensando di svaligiare?”

      Slim sospirò. “Se dovessi scegliere, opterei per la casa verde su Billing Street. Numero 6, giusto? Due Mercedes nel vialetto anche quando il marito è al lavoro? Solo dal ronzio dell’aria condizionata si capisce che quella casa è un vero bottino. Insomma, chi ha un condizionatore nel nord dell’Inghilterra? Ci sarei già andato, ma temevo che l’allarme avesse una linea diretta con la polizia.”

      “Ce l’ha infatti. Terry Easton è un avvocato locale.”

      “Sanguisughe.”

      “Su questo ha ragione. Quindi, suppongo, Signor—”

      “John Hardy. Può chiamarmi Slim. Mi chiamano tutti così.”

      “Slim?”

      “Non chieda, è una storia lunga.”

      “Come preferisce. Quindi, suppongo, Signor Hardy, che non sia veramente interessato nei miti e nelle leggende locali. Da dove viene, da Scotland Yard sotto copertura?”

      “Mi piacerebbe. Servizi segreti militari, in congedo. Ho aggredito un uomo che in realtà non si faceva mia moglie. Ho scontato la mia pena, e sono uscito con un set di vecchie abilità e un problema di alcolismo che si sarebbe presto manifestato.”

      “E ora?”

      “Investigatore privato. Lavoro soprattutto nella zona di Manchester. Il digiuno forzato mi ha fatto venire così a nord.” Si accarezzò la pancia gonfia. “Non si lasci ingannare, è solo birra ed acqua.”

      Non sapendo se Slim stesse dicendo la verità o se scherzasse, l’uomo abbozzò un sorriso. “Beh, Signor Hardy, il mio nome è Arthur Davis, sono l’ispettore capo del nostro piccolo corpo di polizia qui a Carnwell, anche se date le dimensioni del dipartimento si fa fatica a chiamarlo tale. Se non mi sbaglio ha cercato di contattarmi a proposito di un caso irrisolto. Joanna Bramwell?”

      “Esordisce sempre così dopo una telefonata persa?”

      Arthur diede una risata così baritonale che fece fischiare le orecchie a Slim. “Stavo tornando a casa. Ho pensato di cercarla. Ora, vuole dirmi di cosa si tratta? Ben Orland è un vecchio amico e l’unica ragione per cui ho accettato di parlare con lei. Ci sono casi ormai chiusi, e poi c’è il caso Joanna Bramwell. Un caso che la nostra comunità è sempre stata felice di mantenere archiviato.”

      “C’è qualche ragione in particolare?”

      “Perché le interessa?”

      Senza chiedere, Arthur entrò nel drive-in di McDonald’s, offrendo a Slim una tazza di caffè fumante.

      “Io ci metto tre di zucchero,” disse Arthur, aprendo una bustina. “Lei?”

      Slim abbozzò un sorriso stanco. “Un goccio di whiskey se ce l’ho a portata,” rispose. “Ma lo prendo amaro. Doppio, se possibile.”

      Arthur accostò l’auto e spense il motore. Filtrato dalla luce dei lampioni, il viso del comandante di


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