Il Guerriero Sfregiato. Brenda Trim

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Il Guerriero Sfregiato - Brenda Trim


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brevemente le stelle. Scoprì quindi i canini e si accovacciò, quindi colpì Breslin allo stinco. Udiva qualcuno urlare qualcosa in sottofondo ma non vi prestò attenzione.

      Breslin l’afferrò per la caviglia e tirò. Shae aveva trascorso mesi sul ring, e fu quindi in grado di restare in piedi senza smettere di prendere a pugni la Principessa. Combattere era diventato la sua seconda natura, e non perdeva mai. Perdere sul ring significava morire, e non aveva intenzione di morire nel futuro prossimo. Breslin ringhiò e scoprì i canini, quindi Shae notò che negli occhi color ambra di lei presero a brillare delle fiamme di rabbia. Nemmeno lei aveva intenzione di arrendersi. Improvvisamente qualcuno cinse la vita di Shae, e delle forti braccia la sollevarono da terra.

      “Tutto ok, dolcezza?” Domandò il demone di fuoco alla Principessa quando si accucciò accanto a lei. Non le interessava chi la stesse trattenendo, avrebbe fatto in modo che Breslin non potesse rispondere alla domanda. Shae si agitò nella presa, e in risposta venne stretta ulteriormente, rendendole impossibile muoversi anche solo di un centimetro.

      “Non chiamarmi dolcezza” sbuffò Breslin uscendo infuriata dalla stanza.

      “Le piaccio, me lo sento” commentò il demone del fuoco nel momento in cui Shae affondò le unghie nella carne delle braccia che le stavano trattenendo i fianchi. Impiegò tutte le proprie energie per voltarsi e capire chi l’avesse vincolata. Era Gerrick e aveva un ghigno in volto.

      “Mettimi giù. Me ne vado” sbottò portando indietro la testa. Il Guerriero cercò di evitare l’offesa, ma la sommità della testa della ragazza lo raggiunse al mento. Sperava di riuscire a rompergli il naso e restò delusa quando si rese conto che non l’aveva ferito nemmeno un po’.

      “Non vai da nessuna parte, Shae. Non adesso” le mormorò Gerrick all’orecchio quando la strinse ulteriormente a sé. La rabbia di lei riaffiorò con veemenza e riprese a contrastarlo. Si rifiutava di venir messa in un’altra gabbia.

      CAPITOLO TRE

      Era come se Gerrick stesse stringendo a sé una lince. Shae era esplosa senza ascoltare ragioni. Non che lui fosse d’accordo con il trattenere quelle donne, ma capiva che al momento stavano avendo a che fare con qualcosa di sconosciuto, e non le avrebbero lasciate andare così facilmente.

      Era strano; le altre donne erano arrabbiate e avevano protestato, ma solamente Shae era impazzita. La rossa tra le sue braccia era completamente fuori controllo.

      Aveva portato indietro la testa e lo aveva colpito al mento, al che Gerrick aveva imprecato. “Smettila, accidenti. Stiamo cercando di aiutarti. Non stai migliorando la tua situazione”. Era come se stesse parlando con un muro. Quando portò l’attenzione su Jessie lesse lo stupore sul volto di lei.

      Jessie, l’amica di Cailyn si era unita al gruppo qualche mese prima dopo essere stata morsa e infettata dal medesimo Arcidemone. Era stato grazie a lei se il Reame aveva appreso la differenza tra il morso di un Arcidemone su un maschio e su una femmina. Prima di Jessie nessuna donna era stata infettata da un Arcidemone, quindi era credenza comune che il morso portasse al mutamento in uno Skirm decerebrato.

      Fece appello ai propri poteri e mormorò “Codlata”; le sue dita irradiarono luce blu e l’uomo percepì il formicolio a lui familiare quando si attivò l’incantesimo. Qualche istante più tardi Shae si abbandonò tra le braccia di Gerrick e la ragazza chiuse gli occhi.

      “Che cosa le hai fatto?!” Domandò Cami.

      Gerrick la vide trasalire quando portò l’attenzione sull’umana. Chiaramente non era pronta ad affrontarlo come aveva fatto Shae. Era al corrente che molti lo vedessero come un Guerriero spietato, freddo e menefreghista, ma non si era mai prestato a modificare la concezione altrui di sé perché gli andava bene così. Credeva che fosse meglio essere temuto piuttosto che facilmente approcciabile. “Non l’ho uccisa, se è questo che ti preoccupa. Le ho solamente fatto un incantesimo soporifero, si sarebbe fatta male”.

      Sollevò le gambe di Shae portandosele al petto, percependo immediatamente la pelle morbida di lei addosso. Abbassò lo sguardo sulla ragazza, come attratto dal viso che aveva rilassato sul proprio braccio. Aveva i capelli sporchi e secchi, ma erano quelli più lunghi che avesse visto da secoli. Immaginò che una volta puliti e pettinati le avrebbero raggiunto il sedere. Non era tipico per le donne moderne portare i capelli talmente lunghi, il che rendeva quella tra le sue braccia un enigma.

      Le ciocche tempestate di nodi le scivolarono oltre la spalla, attirando l’attenzione di lui sul seno nudo. Era molto sporca, eppure si distingueva il rosa dei capezzoli. Era pronto a scommettere che se li avesse trattati come voleva si sarebbero fatti rossi e turgidi.

      Prese un respiro profondo prima di avanzare verso le scale che portavano al seminterrato. Per la prima volta fu in grado di distinguere l’aroma naturale di lei di gelsomino, nonostante la puzza che le assediava la pelle. Aveva un profumo divino, e Gerrick non riuscì a limitare la propria erezione. Fece di tutto per distrarsi, ma il suo stupido membro non lo ascoltò. Voleva ciò che voleva, e non gli importava che non fosse il momento giusto.

      Era incuriosito dalla reazione del proprio corpo. Stava portando una donna nelle loro segrete per imprigionarla, eppure gli era venuto duro come la pietra. L’ultima cosa che doveva accadere era che Rhys o Orlando se ne accorgessero, in quanto non gli avrebbero più dato tregua. Scese le scale cercando di concentrarsi su nient’altro che la donna che aveva tra le braccia.

      Gli risultò però impossibile, distratto dai suoi respiri delicati e i gemiti. Da sveglia era un uragano, mentre in quello stato era una donna fragile che Gerrick voleva semplicemente tenere con sé e proteggere. E, cazzo, quanto la odiava per il modo in cui lo faceva reagire. Non aveva provato una tale attrazione per nessuno da quando aveva incontrato la sua Evanna. Il suo cuore e la sua anima appartenevano alla sua Prescelta defunta.

      Era stato amore a prima vista quello che aveva provato per Evanna quattrocento anni prima. All’epoca era un giovane stregone di soli cinquant’anni, e l’aveva catturato sin da subito. Gli tornarono alla mente i suoi capelli biondi e i suoi occhi del colore della giada, e di come sorrideva con facilità. Era qualcosa che Gerrick faceva in sua compagnia.

      Avevano scoperto di essere Prescelti quando avevano fatto sesso per la prima volta ed erano apparsi i relativi marchi di accoppiamento. L’aveva persa di lì a poco, era morta per mano di un Arcidemone e il suo Skirm. Nulla era servito a riportarla da lui, nemmeno la propria abilità di plasmare il tempo. Per poco non si era giocato completamente il proprio dono quando aveva tentato ripetutamente di salvarla in quel maledetto giorno, e in quell’occasione aveva imparato che l’uso del potere ti presenta sempre il conto. La cicatrice sul proprio volto era il prezzo che aveva richiesto la Dea per il tentativo di lui di cambiare il destino. Avrebbe accettato di venir ricoperto di cicatrici se solo fosse servito a salvare Evanna. Si corrucciò nel scendere le scale e cercando di allontanare i ricordi dolorosi dalla mente.

      Udì Zander e gli altri accompagnare le donne lungo le scale dietro di sé. Si accorse che Elsie, la Prescelta di Zander stava cercando di rassicurare una delle vittime. Gerrick non sapeva come mai perdesse tempo; nemmeno a lui piaceva la situazione, ma non c’era modo di cambiarla. Non aveva senso cercare di confortarle, e francamente gli sembrava uno spreco di fiato.

      Non era freddo e ostile come credevano in molti, semplicemente non vedeva il senso di dire a queste donne che sarebbe andato tutto bene. Le stavano imprigionando nuovamente, qualche ora dopo averle liberate. Nessuno sapeva se le cose sarebbero effettivamente migliorate o se avrebbero dovuto eliminarle a causa della loro pericolosità. Abbassò lo sguardo su quello pacifico di Shae e le giurò in quel momento che non avrebbe mai permesso che le venisse fatto del male, non importava che cosa avrebbero appreso su di loro.

      Gerrick avanzò oltre il seminterrato, dove si trovavano una clinica medica, una stanza delle armi, uno spazio per l’allenamento e delle stanze extra per gli ospiti. Al piano inferiore i mattoni e il cemento lasciavano spazio alla pietra e alla terra. A Seattle era una vera e propria sfida avere un piano interrato, figurarsi delle segrete, ma erano riusciti a farlo grazie all’uso della magia. Si ricordò di aver scavato e


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