Le novelle marinaresche di mastro Catrame. Emilio Salgari
Читать онлайн книгу.ancora attorno al Caronte e sparve fra le onde.
– Ci allontanammo dal capitano, inorriditi, esclamando:
«Sciagura!… sciagura!…»
– Egli ci rispose con un uragano di imprecazioni orribili.
– Il mastro d’equipaggio, un vecchio dalla barba bianca, che credeva come me al ritorno delle anime, scese nella sua cabina, prese la croce e la piantò sulla prua del legno.
– Quell’atto rese più che mai furibondo il bestemmiatore. Slanciatosi giù dal ponte di comando, balzò sul castello di prua e gettò la croce in mare!
– Quasi subito un lampo livido balenò fra le nubi, seguito da un rombo così spaventevole che cademmo tutti tramortiti sul ponte. Quando ci rialzammo la giustizia di Dio era compiuta: l’empio giaceva ai piedi dell’albero maestro senza vita: un fulmine l’aveva ucciso!…
– Allora sulla linea fosca dell’orizzonte vedemmo il mare alzarsi a prodigiosa altezza, mentre sulle alte rocce del Capo Horn lampeggiava; poi apparve fra una luce sanguigna un gran vascello tutto nero, colle vele pure nere sciolte al vento e guidato da un uomo di statura gigantesca. Era il vascello dell’olandese maledetto, che veniva a reclamare l’anima del bestemmiatore!
– Correva con una velocità spaventevole, urtato da tutte le parti da onde mostruose e sulla cima dei suoi alberi brillavano tre fiamme azzurre. Percorse un tratto dell’orizzonte, poi scomparve improvvisamente come se si fosse inabissato.
– Voi mi direte che era una nave qualunque, ingrandita dalla nostra paura, poiché voi non credete al vascello fantasma; ma io l’ho veduto coi miei occhi, e gli occhi di papà Catrame erano buoni in quel tempo! Voi direte che ho creduto di vedere, ma io vi affermo che ho veduto bene e nessuno potrà mai farmi credere il contrario.
– Volete sapere di più? Quando l’indomani gettammo in mare il cadavere del bestemmiatore, lo vedemmo alzarsi tre volte sopra l’acqua; poi le onde se lo presero e lo portarono lontano lontano, verso il luogo ove era scomparso il vascello fantasma.
– Papà Catrame è qui ancora, ma il capitano del Caronte è a bordo dell’olandese, dannato anche lui a navigare eternamente sul mare tempestoso fra il Capo Horn e quello di Buona Speranza!…
Un silenzio glaciale accolse la sinistra chiusa del vecchio marinaio. Nessuno fiatava, all’infuori del capitano, che sorrideva sempre: si sarebbe detto che tutti avevano paura di volgersi per la tema di scorgere il vascello maledetto solcare l’orizzonte. Su tutti i volti si leggeva un superstizioso terrore e i mozzi specialmente erano pallidissimi.
Papà Catrame centellinò un altro bicchiere di Cipro, si mise la bottiglia sotto il braccio, ci augurò la buona notte con tono canzonatorio e discese dal barile per tornare nella cala, quando il nostro capitano, che non aveva cessato di sorridere durante la intera narrazione, gli fe’ cenno di arrestarsi:
– È questa la tua storia? – gli chiese con voce beffarda.
– Sì, – rispose il mastro, stupito per quella interrogazione.
– Dunque tu credi all’esistenza del vascello fantasma?
– Se credo!… L’ho veduto coi miei propri occhi!
– O hai creduto di vederlo?
Mastro Catrame lo guardò con certi occhi che pareva volessero dire: «Ma voi impazzite?»
– Catrame, – disse il capitano, diventato serio. – Non ti è mai passato pel capo il dubbio di aver veduto male o di essere stato ingannato da qualche fenomeno?
– Mai, signore, – rispose il mastro, sempre più stupito.
– Dimmi allora: hai mai udito parlare del miraggio, o, se meglio ti piace, della fata morgana?
– Non so cosa volete dire.
– Allora ti spiegherò io. Sul mare, come sugli ampi deserti, specialmente sul Sahara, per esempio, avviene talvolta un fenomeno strano, ma spiegabilissimo.
– Quando gli strati dell’aria, dilatati pel contatto caldo col suolo o con una distesa d’acqua che ha una certa temperatura ed aventi una densità differente, non si mescolano a quelli soprastanti, fanno vedere delle curiosissime illusioni d’ottica: di una semplice roccia ti fanno vedere un’isola verdeggiante, di un canotto un vascello, di un vascello un naviglio mostruoso, di un uomo un gigante, eccetera. Ora cosa pensi tu dell’apparizione del preteso olandese?
– Che gli scienziati hanno inventato delle belle frottole, signore.
– No, Catrame: la frottola ce l’hai data da bere tu, o meglio sei stato corbellato da un semplice miraggio. Il grande vascello che tu hai veduto e che credevi appartenesse all’olandese maledetto, il quale, se non lo sai, non è mai esistito, era una nave qualunque che passava all’orizzonte, ingrandita e trasformata dalla fata morgana. Ah, Catrame, come sei credulo!…
Il mastro lo guardava trasognato. Stette parecchi minuti immobile fissando il capitano, poi si allontanò a lenti passi e sparve pel boccaporto. Benché quella spiegazione scientifica fosse giusta, fu poco persuasiva pel nostro equipaggio, ed io scommetterei che quella notte più d’un marinaio non dormì e che gli uomini di guardia aguzzarono più volte gli occhi per vedere se all’orizzonte appariva il legno dell’olandese maledetto.
Il passaggio della linea
Per tutto il giorno seguente papà Catrame non comparve sul ponte della nave. Rintanato nella cala, aveva dormito come un ghiro, russando come una trottola d’Allemagna. Svegliatosi, sorseggiò ciò che era rimasto nella bottiglia e divorò con un appetito da pescecane la razione recatagli dai mozzi.
Del resto, la sua presenza in coperta non era necessaria, poiché il tempo si manteneva tranquillo, l’oceano era liscio come uno specchio, e il vento debole.
Quando però il sole scomparve all’orizzonte e la luna si alzò in cielo, riflettendosi vagamente nell’azzurra e limpida superficie del mare, si udì la scala del boccaporto maestro scricchiolare, e poco dopo si vide apparire il vecchio marinaio.
Aspirò avidamente una boccata d’aria marina, percorse il legno da prua a poppa, con quel suo dondolamento che lo faceva rassomigliare a un orso bianco, diede una sbirciata alle vele senza guardare in viso nessuno, caricò flemmaticamente la sua corta pipa, nera come la camicia di uno spazzacamino, poi andò a sedersi con tutta gravità sul barile e parve immerso in profondi pensieri.
Tosto i marinai, a due, a tre alla volta, i più coraggiosi prima, i paurosi poi, ed i superstiziosi ultimi, s’avvicinarono silenziosamente al vecchio marinaio, circondandolo. Il capitano fu l’ultimo a giungere, tenendo in mano un’altra bottiglia.
Tutti rispettavano il raccoglimento del vecchio, e certo nessuno avrebbe osato strapparlo alle sue meditazioni; ma la pazienza non era la virtù del capitano.
– Olà, papà Catrame, sei morto? – gli chiese.
II vecchio alzò il capo e, fissando il comandante, gli domandò a bruciapelo: – Credete al re del mare, voi?
Il capitano scoppiò in una risata fragorosa, ma nessun marinaio lo imitò. Bensì tutti lo guardarono con stupore, come se fossero meravigliati che egli non prestasse fede a ciò che narrava papà Catrame.
Il lupo di mare non mostrò tuttavia di offendersi, però la sua fronte si corrugò, e, battendo con quelle mani callose e irte di nodi i bordi del barile, esclamò: – Me lo direte poi!
Ricadde nelle sue meditazioni, ma per pochi istanti, poiché ad un tratto si scosse, come se avesse trovato quello che cercava nei suoi lontani ricordi, e disse: – Oggi non si costuma più; i lodevoli usi degli antichi marinai sono messi da un lato come ferravecchi inservibili, e non si crede che valga la pena di rendere omaggio a Nettuno, il re degli abissi marini. Che importa se le navi affondano più spesso che una volta? Sono casi, dicono gli scettici; sono accidenti, affermano gli spregiudicati. Al diavolo le superstizioni dei vecchi marinai! Lasciamo da parte le leggende, distruggiamo tutto, ché il mondo deve rifarsi. Non è cosi?
Papà Catrame fece udire un riso